Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28775 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/12/2011, (ud. 15/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso iscritto al n. 27460 del R.G. anno 2010 proposto da:

Ministero degli Affari Esteri domiciliato in ROMA, Via dei Portoghesi

12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

S.A.;

– intimato –

avverso il decreto 14.05.2010 della Corte di Appello di Bologna;

udita la relazione della causa svolta nella c.d.c. del 15.12.2011 dal

Consigliere Dott. Luigi MACIOCE; presente il P.M., in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio.

Fatto

RILEVA IN FATTO

Il cittadino della (OMISSIS) S.A. si vide negare dall’Ambasciata d’Italia in Tunisi in data 5.5.2009 il visto di ingresso per ricongiungimento con il proprio coniuge, la cittadina italiana C.E., stante l’esistenza di una segnalazione “Schengen” per precedenti penali e di polizia; lo straniero pertanto impugnò il diniego innanzi al Tribunale di Ravenna che ordinò il rilascio del visto con provvedimento del 4.1.2010; l’Amministrazione degli Esteri propose reclamo specificando che la segnalazione si fondava su specifici precedenti penali (da un canto una condanna ex art. 444 c.p.p., per episodio di detenzione di hashish, detenzione di coltello e false generalità e dall’altro canto una condanna per il reato di cui all’art. 14, comma 5 ter del T.U.); la Corte di Bologna con decreto 14.5.2010 ha negato fondamento a tale deduzione posto che, dovendosi applicare il D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, comma 1, come novellato dal D.Lgs. n. 32 del 2008, era denegabile l’ingresso dello straniero per ricongiungimento con cittadino comunitario solo per i motivi di sicurezza dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza, quali descritti ai commi 2 e 3, nonchè per altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Ad avviso della Corte di merito poichè tali ultimi motivi, tra i quali poteva annoverarsi la condizione del S., dovevano essere, in quanto equiparati, di pari gravità di quelli indicati ai commi 2 e 3 e poichè le ragioni indicate per negare il visto allo straniero, non potevano essere assimilate a quelle di cui ai commi 2 e 3, ne conseguiva la insussistenza della condizione ostativa al rilascio del visto. Il provvedimento è stato fatto segno a ricorso per cassazione in data 15.11.2010 al quale non ha resistito l’intimato. Il relatore, nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., del 15.3.2011, ha proposto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

A criterio del Collegio – ed in piena condivisione di quanto esposto in relazione – il ricorso dell’Avvocatura Erariale pare certamente fondato nel denunziare l’errata interpretazione data dalla Corte di merito, discostandosi dalla linea seguita da questa Corte con la pronunzia 27224 del 2008: affermare infatti che le previsioni – tutte abilitanti il diniego di ricongiungimento dello straniero al cittadino comunitario – di cui al D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, comma 1, novellato con il D.Lgs. n. 32 del 2008 – devono delineare condizioni ostative di pari gravità appare infatti tanto evidente quanto irrilevante se non si cercano elementi che, pur differenziandosi nettamente dalle ipotesi esplicitate ai commi 2 e 3, rendano nondimeno ostativa la minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza. Nella specie il giudice del merito ha risolto l’indagine semplicemente negando che quelle condanne assumessero valore sintomatico di gravità ostativa, in tal guisa dimenticando che i motivi imperativi di pubblica sicurezza esplicitati al comma 3 sono costruiti attorno alla esistenza di indici processuali di indiscussa pericolosità sociale così che la previsione di motivi di pubblica sicurezza non imperativi, e come tali non compresi nel comma 3, deve attestarsi sulla esistenza pura e semplice di precedenti penali anche se non sintomatici di pericolosità elevata (e quindi delineante ragioni di pubblica sicurezza pur se non imperative).

Pertanto la previsione di cui al comma 1 dell’art. 20 delinea un quadro diverso di ragioni ostative che si qualificano per una scelta non irragionevole di equiparare, quanto a divieto, tanto le ragioni di sicurezza dello Stato quanto quelle di tutela indifferibile della sicurezza pubblica quanto quelle di (semplice) ordine e sicurezza pubblici, queste ultime non nominate e pertanto lasciate all’interprete in sede di valutazione della condizione penale del richiedente. Nel caso sottoposto sussiste certamente, come non valutato dal giudice del merito, un quadro di precedenti penali che non sono stati ritenuti sintomatici in base ad un errato ed immotivato “pregiudizio in diritto e con evidente contraddittorietà tra la affermazione di consistenza sotto il profilo della valutazione di pericolosità e la loro devalutazione comparativa (evidentemente non tali da essere assimilabili alle gravi ipotesi di cui all’art. 20….). Sarà quindi compito del giudice del rinvio, cassato il decreto, valutare specificamente ed adeguatamente motivare, in ordine alla sintomaticità o meno dei fatti attribuiti – con le sentenze di condanna o di applicazione della pena su richiesta – di una condizione di pericolosità per ragioni di pubblica sicurezza a carico di S.A. che, pur diversa dalle altre condizioni ostative di cui ai commi 2 e 3, sia ad esse accostabile per la pari prevalenza dell’interesse dello Stato, sull’interesse del cittadino al ricongiungimento, a tenere lontano dal suo territorio un soggetto la cui “storia criminale” fondi un giudizio di pericolosità seria, attuale e concreta.

La Corte di rinvio dovrà anche regolare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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