Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28767 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 16/12/2020), n.28767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8089/2019 proposto da:

D.I., elettivamente domiciliato in Roma Piazza dei Consoli, 62,

presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Paolinelli Lucia, con procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.

presso l’Avvocatura dello Stato in Roma, alla via dei Portoghesi n.

12, dalla quale è rappres. e difeso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1701/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 10/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2020 da Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

D.I. – cittadino del (OMISSIS) – appellò l’ordinanza del Tribunale di Ancona che rigettò il ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego dell’istanza di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria. La Corte d’appello, con sentenza del 10.8.18, respinse l’impugnazione, osservando che: le dichiarazioni del ricorrente (il quale aveva narrato di essere fuggito dal paese d’origine per sottrarsi all’arruolamento forzato da parte dei ribelli del (OMISSIS) che gli avevano anche procurato ferite da taglio) non erano credibili sia perchè prive di coerenza intrinseca e di riscontri fattuali, sia perchè in contrasto con le informazioni generali sul paese di provenienza; non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, per la mancata allegazione di condizioni individuali di vulnerabilità del ricorrente, non essendo a tal fine sufficiente lo svolgimento di attività lavorativa.

D.I., ricorre in cassazione con tre motivi.

Resiste il Ministero con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Con il primo motivo il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia adottato una motivazione apparente in quanto tautologica, contenente solo affermazioni generali non pertinenti alla fattispecie concreta, puramente ripetitive della decisione della Commissione territoriale e dell’ordinanza del Tribunale in ordine alla ritenuta inattendibilità del ricorrente e all’ammissione dei motivi economici della usa migrazione.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 A Conv. Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32, non avendo la Corte d’appello riconosciuto la protezione internazionale e sussidiaria per la non credibilità del racconto del ricorrente il quale, invece aveva reso dichiarazioni circostanziate relative alla sua fuga dal Senegal dovuta al pericolo concreto di restare vittima della violenza esplosa nella regione della Casamance, e di subire lesioni dei diritti fondamentali come desumibile dai report indicati.

Il ricorrente lamenta altresì che la Corte avrebbe omesso di acquisire informazioni precise e aggiornate sulla situazione specifica del paese di provenienza del ricorrente, avendo invece esaminato, al fine di decidere sul riconoscimento della protezione internazionale e sussidiaria, un’unica fonte informativa (il sito (OMISSIS) del Ministero), riportata peraltro in modo parziale e frettoloso, senza alcun approfondimento legato alla specifica zona di provenienza del ricorrente.

Con il terzo motivo si denunzia violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, non avendo la Corte territoriale riconosciuto la protezione umanitaria per aver omesso di acquisire informazioni aggiornate sulla violazione dei diritti fondamentali in Senegal, come desumibile da plurime fonti, indicate in ricorso, senza peraltro tener conto dell’avvenuta integrazione del ricorrente in Italia attraverso l’apprendimento della lingua e lo svolgimento di attività lavorativa.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente censura genericamente la motivazione della sentenza impugnata, lamentandone il carattere apparente perchè ripetitivo delle argomentazioni adottate dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, senza peraltro riportare gli specifici capi della motivazione impugnata. Al riguardo, va osservato che la Corte territoriale ha invece motivato in maniera chiara e plausibile in ordine a tutti i punti del ricorso in appello.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito non abbia correttamente valutato la credibilità del suo racconto, pronunciando la sentenza sulla base dell’esame di un’unica fonte informativa.

Anzitutto, va osservato che, in tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., n. 33858/19; n. 16925/18).

Nel caso concreto, il motivo è diretto al riesame dei fatti circa i criteri di valutazione della credibilità del ricorrente, avendo la Corte territoriale ampiamente motivato sull’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente e sulla mancanza di collegamento tra il narrato e la situazione generale del paese d’origine, con decisione incensurabile in questa sede.

Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass., n. 26728/19).

Nel caso concreto, il ricorrente si è limitato a censurare il provvedimento d’appello perchè fondato sull’esame di una sola fonte informativa (il sito (OMISSIS) del Ministero), allegando altre fonti informative che, secondo la sua prospettazione, avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione del giudice d’appello.

Al riguardo, la censura in esame è inammissibile in quanto genericamente diretta, in sostanza, a prospettare una diversa ricostruzione, in punto di fatto, della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla Corte territoriale. Invero, il ricorrente ha riportato due fonti informativi sul Senegal: una prima, attinta dal rapporto 2017/2018 di Amnesty International, che riguarda genericamente la situazione socio-politica del paese, senza nessun specifico riferimento ad una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; una seconda, tratta dal sito “(OMISSIS)”, che è riferita ad alcuni scontri armati nella regione meridionale dl paese, informazione dalla quale non può dedursi la suddetta situazione di violenza.

Il terzo motivo è inammissibile non avendo, al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, il ricorrente allegato condizioni individuali di vulnerabilità, lamentando genericamente l’omessa acquisizione di informazioni sulla situazione generale del paese di provenienza. Nè può configurare un indice di vulnerabilità, per la concessione del permesso umanitario, lo svolgimento di un’attività lavorativa che, di per sè, come rettamente affermato dal giudice d’appello, non può rappresentare una forma d’integrazione nel territorio italiano che induca a ritenere che, in caso di rimpatrio, il ricorrente possa subire la violazione dei diritti fondamentali della persona.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, la somma di Euro 2100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre la maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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