Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28766 del 30/11/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/11/2017, (ud. 21/09/2017, dep.30/11/2017),  n. 28766

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONE DELLA DECISIONE

Il dottore commercialista S.P. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, avverso l’ordinanza del Tribunale di Padova del 17 ottobre 2013, emessa sull’opposizione avanzata dal medesimo ricorrente D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 170 come modificato dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 15 contro il decreto di liquidazione del compenso reso il 25 novembre 2011 dal giudice dell’esecuzione dello stesso Tribunale.

B.F. si difende con controricorso.

Il ricorrente S.P. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

S.P. era stato nominato CTU e custode nel procedimento esecutivo conseguente al pignoramento di quote sociali promosso da B.F. contro B.A. e R.L., con l’incarico di stimare le partecipazioni di B.A. e di R.L. nella B. s.r.l. in liquidazione, nonchè la partecipazione della B. s.r.l. in liquidazione nella Coopertessile s.r.l., e di custodire e gestire le quote pignorate. Il Giudice dell’esecuzione aveva liquidato a carico della parte esecutante il compenso di Euro 4.000,00 in favore del S.. Il Tribunale di Padova accoglieva poi parzialmente l’opposizione del CTU, liquidando in suo favore l’importo di Euro 5.640,97, oltre IVA. Il giudice dell’opposizione richiamava la consulenza tecnica d’ufficio che era stata espletata proprio per accertare la congruità del compenso accordato al dottore commercialista S.P., e affermava che a quest’ultimo spettasse l’onorario a percentuale nell’importo massimo (Euro 5.128,16) per l’ultimo scaglione, ritenendo, tuttavia, che dovesse essere remunerata la sola attività di stima della quota nella s.r.l. B. in liquidazione, tenuto conto che la stima riguardava valori superiori ad Euro 516.456,90, e che per determinare il valore della s.r.l. B. era stato necessario determinare anche il valore delle quote possedute in altre società, in quanto compreso nel primo, mentre la stima della partecipazione di R.L. si era limitata ad applicare un valore percentuale alla complessiva valutazione già operata della s.r.l. B.. Infine, il Tribunale di Padova affermava che l’attività di custode della quota pignorata, in quanto inerente alla partecipazione a società in liquidazione non operativa, non avesse comportato alcuna ulteriore attività del CTU, se non la partecipazione ad un’assemblea opportuna per la stima del valore della quota stessa.

Il primo motivo di ricorso di S.P. deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancata valutazione della CTU disposta nel procedimento di opposizione ed il conseguente discostamento dagli esiti della stessa, avendo tale CTU determinato i compensi spettanti al ricorrente in complessivi Euro 12.662,33.

Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame del fatto decisivo dell’esistenza di tre stime distinte (aventi ad oggetto la partecipazione della B. s.r.l. in liquidazione nella Coopertessile s.r.l., e le partecipazioni di B.A. e di R.L. nella B. s.r.l. in liquidazione) e dell’attività di custodia delle quote pignorate, nonchè la “violazione delle tabelle di cui al D.M. 30 maggio 2002, n. 114” e del “D.M. 20 luglio 2012, n. 140”.

Il terzo motivo di ricorso allega “l’illegittima disapplicazione e violazione della normativa D.M. 15 maggio 2009, n. 80 sul compenso per la custodia”, non essendovi tra stima e custodia alcun collegamento materiale, formale o funzionale, e giacchè “dagli atti risulta che il dr. S. P. ha partecipato a più di un’assemblea e che una certa attività – anche preparatoria alla vendita – è stata compiuta”.

Sull’eccezione del controricorrente, che contesta la ricorribilità per cassazione dell’impugnato provvedimento, deve affermarsi che avverso l’ordinanza che abbia deciso sull’opposizione proposta, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 contro il decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del magistrato, nella disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, trattandosi di provvedimento definitivo, non altrimenti impugnabile (art. 15, comma 6, cit.), decisorio di questioni relative a diritti soggettivi.

Nella memoria dell’11 settembre 2017, il ricorrente S.P. ha invece eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1 per contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto tale norma, a differenza dell’art. 380 bis c.p.c., non consente ai difensori (ai quali viene letteralmente “tappata la bocca”) di conoscere le ragioni per cui sia stata fissata l’adunanza in camera di consiglio, nè quindi quali argomenti convenga trattare nelle “note”.

L’eccezione di incostituzionalità è manifestamente infondata.

L’art. 375 c.p.c., comma 2, aggiunto dalla L. n. 197 del 2016, art. 1 bis che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 168 del 2016, ha stabilito che la Corte di cassazione pronuncia con ordinanza in camera di consiglio “in ogni altro caso” rispetto a quelli per i quali sia già prevista la decisione camerale nel comma 1, salvo che la particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale essa deve pronunciare renda opportuna la trattazione in pubblica udienza (e salva pure la diversa eventualità che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’art. 376 c.p.c. in esito alla camera di consiglio che non abbia definito il giudizio). E’ quindi evidente che il procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice è stato previsto dal legislatore per quei ricorsi che non siano stati ritenuti rientranti nei casi previsti dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5), e che, allo stesso tempo, neppure abbiano ad oggetto una questione di diritto di particolare rilevanza.

E’ dunque manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. -dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1 (nel testo introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016), costituendo non irragionevole esercizio del potere legislativo di conformazione degli istituti processuali la scelta di assicurare un contraddittorio solo cartolare alla decisione, in sede di legittimità, di questioni prive di rilievo nomofilattico, senza che, peraltro, la fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, impedisca al collegio, in caso di rilevanza delle questioni da trattare, la sua rimessione all’udienza pubblica in caso di particolare rilevanza delle questioni da trattare, tenuto altresì conto del contenuto delle eventuali conclusioni scritte del pubblico ministero e delle memorie delle parti (arg. da Cass. Sez. 2, 06/03/2017, n. 5533).

I tre motivi di ricorso possono poi essere esaminati congiuntamente, per la loro connessione, e si rivelano tutti in parte inammissibili e comunque infondati.

Sono inammissibili le doglianze di omesso esame degli esiti della CTU, dell’esistenza di tre distinte stime e dell’attività di custodia, in quanto esse non si conformano al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, che ha ormai riguardo al solo omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), e che venga denunciato dal ricorrente nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Ciò premesso, l’omesso esame di elementi istruttori (quali, nella specie, le considerazione svolte dalla CTU) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, tanto più quando il fatto storico, rilevante in causa (nella specie, la pluralità delle stime e l’attività di custodia), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Anche nella denuncia contemporanea che il ricorrente fa della violazione di norme di diritto e del difetto di motivazione, egli, in realtà, auspica dalla Corte di legittimità una diversa ricostruzione e una nuova valutazione dei fatti, comunque esaminati dal giudice del merito.

Parimenti inammissibili (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) sono le denunce di violazione di legge in relazione ad un intero corpo di norme (nella specie, il D.M. 30 maggio 2002, n. 114 il D.M. 20 luglio 2012, n. 140 il D.M. 15 maggio 2009, n. 40), precludendo al collegio di individuare la norma che si assume violata o falsamente applicata (Cass. Sez. U, 18/07/2013, n. 17555).

Inammissibile è il rinvio generico agli atti da cui risulterebbe che il S. ha partecipato a più di un’assemblea e che una attività preparatoria alla vendita è stata compiuta, atteso che il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’onere di indicare a quale documento prodotto nel giudizio di merito si faccia riferimento, e di evidenziarne il contenuto, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo.

Quanto al resto, l’impugnata ordinanza del Tribunale di Padova risulta aver fatto corretta applicazione dei principi più volti affermati da questa Corte, in forza dei quali per la liquidazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, cui debba essere applicato il D.M. 30 maggio 2002, art. 3 (che, appunto, si riferisce alla consulenza tecnica in materia di valutazione di aziende, enti patrimoniali, situazioni aziendali, patrimoni, ecc.), allorchè al CTU sia affidato il compito di stimare il valore delle quote pignorate di una società, la cui attività comprenda l’assunzione ed amministrazione di una partecipazione in altra società, è legittima la determinazione di un compenso unitario. La quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, ed ha un suo valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti, di tal che, nella valutazione della partecipazione ad una società a responsabilità limitata oggetto di pignoramento, la pluralità delle verifiche non esclude l’unicità dell’incarico nè, quindi, giustifica la liquidazione di un compenso distinto per ogni stima compiuta, potendo, piuttosto, la molteplicità delle operazioni rilevare nell’ambito dell’arco tra il minimo e il massimo fissato dalla legge per lo scaglione di riferimento, come opportunamente disposto dal Tribunale di Padova (cfr. Cass. Sez. 2, 11/02/1999, n. 1156; Cass. Sez. 2, 24/10/2013, n. 24128). Appartiene invece all’apprezzamento di fatto del giudice di merito, che il ricorrente intende sovvertire sulla base di una sua personale opposta ricostruzione storica, l’esclusione del diritto di un autonomo compenso per la custodia della quota pignorata, esclusione che il Tribunale ha motivato tenendo conto della attività svolta e della particolare natura dell’opera prestata, spiegando la partecipazione del S. ad un’unica assemblea della s.r.l. B. con l’esigenza di pervenire alla valutazione delle quote pignorate. Il principio di onnicomprensività del compenso del consulente tecnico d’ufficio, sancito dal D.M. 30 maggio 2002, art. 29 riguarda, invero, tutte le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico, risultano tuttavia strumentali all’accertamento tecnico, e non trova applicazione unicamente in presenza di pluralità di indagini non interdipendenti, che presuppongono necessariamente una pluralità di incarichi di natura differente (Cass. Sez. 3, 25/03/2010, n. 7174).

Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 settembre 2017.

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