Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28765 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annnalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17282-2013 proposto da:

S.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA APPIA NUOVA 519 presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA

BONELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati CONCETTA LEONE,

ANTONELLA LEONE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAL CRISTALLINA 3, presso lo

studio dell’avvocato AMILCARE SESTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIA ELENA MANCUSO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 819/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/06/2012 R.G.N. 948/2008.

Fatto

RILEVATO

1. che con sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto da S.G. nei confronti della Regione Calabria avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato inammissibile la domanda volta al pagamento dell’assegno per il nucleo familiare perchè non era stata comprovata la presentazione della domanda amministrativa;

2. che la Corte d’Appello ha ritenuto la domanda ammissibile in quanto era stato provato che la domanda amministrativa era stata presentata, ha affermato la legittimazione passiva della Regione ed ha rigettato la domanda sul rilievo che i lavoratori di pubblica utilità (LPU) non hanno diritto a percepire l’assegno per il nucleo familiare;

3. che avverso questa sentenza S.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese la Regione Calabria con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

4. che con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c.; la ricorrente sostiene che, benchè essa lavoratrice avesse impugnato la sentenza di primo grado solo con riguardo alla dichiarata inammissibilità della domanda per mancanza della domanda amministrativa, il giudice di secondo grado aveva ampliato il “thema decidendum” con riguardo alla legittimazione passiva benchè non vi fosse appello incidentale della Regione;

5. che con il secondo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza per contraddittorietà tra dispositivo e motivazione e per manifesta illogicità della motivazione di rigetto, sul rilievo che la Corte d’Appello, pur rilevando la presentazione della domanda amministrativa e la legittimazione passiva della Regione aveva rigettato la domanda;

6. che con il terzo motivo è denunciato vizio di falsa ed erronea applicazione di norme di diritto; la ricorrente sostiene che dal D.Lgs. n. 468 del 1997, artt. 22 e 26 e dal successivo D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 8, comma 3, emergeva che alcuna differenza ontologica poteva essere fatta tra lavoratori socialmente utili e lavoratori di pubblica utilità in relazione all’attribuzione dell’assegno per il nucleo familiare;

7. che il primo motivo non è fondato, atteso che, come si legge nello stesso ricorso per cassazione della lavoratrice (pag. 15), la Regione nel costituirsi in appello aveva eccepito, come già fatto in primo grado (pag. 5 del ricorso per cassazione), il proprio difetto di legittimazione passiva;

8. che essendo parte totalmente vittoriosa in primo grado, la Regione non doveva proporre appello incidentale sul proprio difetto di legittimazione passiva;

9. che il secondo motivo è infondato in quanto, sebbene il giudice di appello avrebbe dovuto più propriamente riformare la pronuncia di inammissibilità e respingere nei merito la domanda, tuttavia non è ravvisabile il contrasto qualora sia il dispositivo che la motivazione siano univocamente diretti a disattendere la domanda riproposta in sede di gravame (Cass. 24841/2014);

10. che il terzo motivo è fondato;

11. che la sentenza impugnata, che pone a fondamento della decisione la asserita ontologica diversità fra le due categorie di lavoratori sopra richiamati, contrasta con il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui il rapporto tra il disposto di cui al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 2 – che delinea i settori di attività per i “progetti di lavoro di pubblica utilità” – e quello di cui al D.Lgs. n. 280 del 1997, art. 3 – diretto ad individuare i “lavori di pubblica utilità” in funzione della “creazione di occupazione” in uno specifico bacino di impiego – si configura in termini di specificazione di intenti generali in ambiti territoriali determinati, all’interno di una medesima tipologia di attività e di una medesima finalità del legislatore, connessa ad obiettivi di tutela dalla disoccupazione e di inserimento dal lavoro (Cass. nn. 6041/2014, 8003/2014, 3475/2013, 3476/2013, 6589/2012, 1461/20111);

12. che è stato anche affermato (Cass. 17015/2017, 8573/2016, 8574/2016) che detto principio, sebbene affermato in relazione all’incremento dell’assegno previsto dalla L. n. 141 del 1999, art. 45, comma 9, porta a ritenere che l’assegno per il nucleo familiare debba essere riconosciuto anche ai lavoratori di pubblica utilità, ove ne ricorrano i presupposti;

13. che nelle sentenze richiamate nel punto 12 di questa sentenza è stato osservato che: il D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8,comma 3, prevede l’applicazione all’assegno per i lavori socialmente utili delle disposizioni in materia di indennità di mobilità, se non diversamente disposto; a sua volta la L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 10, stabilisce che “per i periodi di godimento dell’indennità di mobilità spetta l’assegno per il nucleo familiare di cui al D.L. 13 marzo 1988, n. 69, art. 7,comma 10, convertito con modificazioni, dalla L. 13 maggio 1988, n. 153”; detta disposizione in quanto non espressamente derogata, risulta applicabile ai lavoratori socialmente utili, per il richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8 ed anche ai lavoratori di pubblica utilità, per quanto sopra si è detto sulla necessaria equiparazione delle due categorie; il D.Lgs. 7 agosto 1997, n. 280, art. 3, comma 3 rinvia per le modalità di attuazione del progetti di lavori di pubblica utilità al D.L. n. 510 del 1996, art. 1 convertito dalla L. n. 608 del 1996, che, all’epoca, disciplinava il sussidio da corrispondere agli LSU e che prevedeva, al pari del successivo D.Lgs. n. 468 del 1997, la applicabilità delle disposizioni in tema di indennità di mobilità, se non espressamente derogate;

14. che il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate condividendone le ragioni esposte;

15. che la sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che deciderà la controversia uniformandosi ai principi di diritto di cui ai punti da 11 a 13 di questa sentenza e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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