Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28764 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 16/12/2020), n.28764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4861/2018 R.G. proposto da:

V.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Avallone

Pierluigi del foro di Latina giusta procura in calce al ricorso e

presso lo stesso elettivamente domiciliato in Fondi, nel viale

Vittorio Emanuele III n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3969/3/2017 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio depositata in data 30 giugno 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Corradini Grazia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 299/3/2012 la Commissione Tributaria Provinciale di Latina rigettò il ricorso proposto da V.F., commerciante all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con cui la Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Latina, sulla base di una verifica fiscale eseguita nel 2009 dalla Guardia di Finanza – attraverso la quale era emerso che, fra le altre, la ditta individuale “La Costiera di V.F.” si era avvalsa nelle annualità 2006, 2007 e 2008 di manodopera, ritenuta irregolare, fornita dalla Cooperativa sociale Europa 3000 Onlus a r.l., soggetto da considerare inesistente sul piano sostanziale poichè creato allo specifico scopo di realizzare interposizioni fittizie di manodopera, al fine di fare convergere gli obblighi fiscali e contributivi della manodopera impegnata sulla cooperativa anzichè sulle imprese committenti, che potevano così vantare un credito IVA inesistente, suscettibile di rimborso, in assenza oltretutto di versamento dell’IVA da parte della cooperativa – e di successivo processo verbale di constatazione, aveva recuperato a tassazione costi ritenuti indeducibili e disconosciuto la detrazione IVA.

Il contribuente aveva dedotto con il ricorso che la tesi dell’Ufficio non era fondata su elementi gravi, precisi e concordanti e che comunque l’Ufficio non era stato grado di indicare i nomi dei lavoratori che, secondo la sua tesi, sarebbero stati licenziati dal contribuente per essere poi assunti formalmente dalla cooperativa.

La CTP rilevò che era emerso in modo chiaro come la cooperativa fosse priva di strutture e di beni strumentali propri e che inoltre i lavoratori, in parte licenziati dalla ditta contribuente per essere assunti dalla cooperativa, usavano i beni della impresa apparentemente committente ed erano inseriti in unità produttive della stessa ricevendo ordini e direttive dai responsabili di detta impresa, il che integrava precise prove in merito alla inesistenza giuridica della operazione commerciale idonea a determinare un’evasione di imposta riducendo il carico fiscale nella determinazione del reddito di impresa; prove riscontrate dagli accertamenti della Guardia di Finanza che avevano un valore rafforzato stante la natura di atto pubblico della verifica, mentre il contribuente, limitandosi a contestare la sufficienza degli indizi, non aveva offerto alcun credibile motivo diretto ad inficiare l’attendibilità dell’assunto probatorio offerto dall’Ufficio, restando irrilevanti, in proposito, la produzione delle fatture che non poteva prescindere dalla effettiva stipulazione della cessione e la esibizione degli strumenti di pagamento che notoriamente vengono utilizzati per simulare la sussistenza di reali attività economiche ed il cui peso doveva essere valutato nell’ambito del complesso di tutte le risultanze processuali. Ad avviso della Commissione Tributaria Provinciale si era inoltre verificato un vantaggio fiscale per il cessionario sia ai fini IVA che delle imposte dirette, essendo stata detratta indebitamente l’IVA, tra l’altro neppure versata dalla cooperativa e portato indebitamente in deduzione il costo fatturato.

Presentò appello il contribuente contestando la presenza di operazioni soggettivamente inesistenti e le considerazioni poste a sostegno della sentenza di primo grado, nonchè la attendibilità del verbale della Guardia di Finanza e sostenendo che mancava qualsiasi prova della pretesa interposizione fittizia, poichè l’Ufficio avrebbe dovuto fornire i nominativi dei lavoratori e non invece trincerarsi dietro la fede privilegiata delle proprie dichiarazioni.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 3969/2017, depositata il 30.6.2017, rigettò l’appello quanto all’accertamento delle operazioni soggettivamente inesistenti poichè la struttura della società cooperativa, la mancanza di una autonoma gestione organizzativa separata da quella dell’impresa appellante, nonchè di spazi e di strutture logistiche adeguate alla natura ed alla portata della cooperativa, l’inserimento dei lavoratori della cooperativa nelle unità produttive della impresa committente cosicchè ricevevano ordini e direttive dal responsabile di quest’ultima ed usavano i beni della società committente promiscuamente con i dipendenti di questa di cui avevano gli stessi orari e turni di lavoro, la sostanziale identità dei lavoratori che prestavano prima servizio presso la impresa contribuente ed erano stati licenziati da questa per essere assunti dalla cooperativa, nonchè la circostanza che la cooperativa non avesse poi effettuato i dovuti versamenti, così vanificando le pretese impositive del Fisco, rendevano evidente che il soggetto interposto era stato creato al solo scopo di consentire alla impresa appellante la detrazione dell’IVA e lo scorporo degli altri oneri, integrando un soggetto inesistente, con la conseguenza che le relative operazioni documentate nelle fatture emesse erano soggettivamente inesistenti. Nel contempo, in parziale riforma della sentenza appellata, la Commissione Tributaria Regionale ritenne peraltro deducibili i costi sostenuti dal contribuente per la produzione dei beni, consistenti nelle prestazioni di servizio documentate nelle fatture, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale della Corte Suprema secondo cui la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012 n. 44) opera, in ragione del citato comma 3, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”; con la conseguenza che la nuova normativa comporta che, poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni, ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti deducibilità dei costi stessi in relazione ai criteri generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione il contribuente V.F., quale titolare della ditta individuale “La Costiera di V.F.”, con atto notificato il 30- 31 gennaio 2018, affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, nonchè dell’art. 118 delle disp. att. c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4, stante l’error in procedendo in cui era incorsa la sentenza impugnata per non avere indicato i fatti storici che avevano determinato la controversia, nonchè gli atti ed i comportamenti di carattere processuale, destinati, unitamente alla motivazione, a determinare il contenuto della decisione, avendo omesso di riferire in merito alle richieste del contribuente finalizzate ad ottenere la produzione dei documenti evocati dalla Amministrazione Finanziaria ma non prodotti in giudizio e di disporre l’acquisizione d’ufficio dei mezzi di prova attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, così omettendo altresì qualsiasi approfondimento o considerazione su quanto eccepito e motivato in appello con riguardo alle genericità delle contestazioni dell’Ufficio in merito al numero ed al nominativo “dei lavoratori riassunti dalla cooperativa presi a lavorare presso la ditta Vinaccia” (pag. 15 del ricorso per cassazione), di fatto omettendo qualsiasi disamina logico – giuridica che la circostanza di fatto richiedeva ed incorrendo in contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione.

1.1.11 motivo rivela in primo luogo ampi profili di inammissibilità nella prima parte si esso in cui sostiene la omissione di pronuncia con riguardo alla asserzione con cui lamenta, genericamente, che la sentenza impugnata non avrebbe indicato i fatti storici che avevano determinato la controversia, nonchè gli atti ed i comportamento di carattere processuale destinati, unitamente alla motivazione, a determinare il contenuto della decisione, avendo omesso di riferire in merito alle richieste del contribuente finalizzate ad ottenere la produzione dei documenti evocati dalla Amministrazione Finanziaria ma non prodotti in giudizio e di disporre l’acquisizione d’ufficio dei mezzi di prova attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7. Infatti – a parte il rilievo che il ricorrente trascura di trascrivere quali sarebbero state le sue specifiche doglianze e si limita ad asserzioni apodittiche prive di qualsiasi riferimento ai fatti concreti di causa che sarebbero stati omessi, il che rende inammissibile tale parte del motivo per difetto di specificità -, in ogni caso dalla stessa trascrizione parziale della sentenza di appello operata dal ricorrente e dal suo esame diretto da parte di questo giudice risulta con chiarezza come la sentenza impugnata abbia ricostruito non solo i fatti essenziali di causa (in particolare a pagina 1 laddove trascrive con sufficiente precisione il contenuto del processo verbale di constatazione), ma anche lo specifico contenuto delle doglianze del contribuente sia in primo che in secondo grado e la risposta ad esse date sia da parte del giudice di primo grado che da parte di quello d’appello. Non si può quindi sostenere un error in procedendo per difetto di pronuncia.

1.2. Quanto poi all’unico punto specifico con riguardo al quale il ricorrente assume la omessa pronuncia e cioè quello concernente il motivo di appello con cui era stato contestata la mancata indicazione dei nominativi dei lavoratori transitati dalla ditta ricorrente alla cooperativa, la sentenza di appello, trascritta dal ricorrente a pag. 15 del ricorso per cassazione, espone a pagina 3 il motivo di appello secondo cui “l’Ufficio avrebbe dovuto fornire i nomi dei lavoratori e non trincerarsi dietro la fede privilegiata delle proprie dichiarazioni” e poi continua nella parte motivazionale rilevando che “Va preliminarmente osservato che la sentenza di primo grado relativamente alla ricostruzione del fatto e all’accertamento delle responsabilità va ampiamente condivisa: la struttura della cooperativa, la mancanza di una autonoma gestione organizzativa che differisse da quella della società appellante, la mancanza di spazi e di strutture logistiche adeguate alla natura e portata della cooperativa, la sostanziale identità dei lavoratori che prestavano servizio dell’uno e vennero poi assunti nell’altra, sono sicuro indice della circostanza che la cooperativa in questione fu creata al solo scopo di consentire alla società appellante la detrazione dell’IVA e lo scorporo degli altri onero

1.3. Non è quindi pertinente la deduzione del vizio di omessa pronuncia poichè sono riportati nella sentenza il motivo di appello che ad avviso del ricorrente non avrebbe avuto risposta e la pronuncia di rigetto offerta dal giudice di appello autonomamente, ma anche con specifico riferimento per relationem alla motivazione sullo stesso punto da parte della sentenza di primo grado, con la quale si andava a saldare quella di appello, che la ha richiamata e di cui era confermativa. La circostanza che la sentenza di appello non trascriva i nomi dei lavoratori transitati dalla ditta contribuente alla cooperativa come dipendenti o come soci, facendo riferimento invece alla sostanziale identità di lavoratori che prestavano servizio nell’una e vennero poi assunti nell’altra, nonchè (come rilevato dallo stesso ricorrente a pagina 8 del ricorso) alla fede privilegiata del processo verbale di constatazione nel quale erano racchiusi quegli accertamenti, non solo non esclude che una risposta vi sia stata, bensì rende evidente che vi è stata una risposta autonoma anche da parte del giudice di appello alla doglianza del contribuente, pur in assenza della indicazione dei nominativi dei lavoratori che secondo il contribuente avrebbero dovuto essere trascritti nella sentenza. Non si tratta perciò di risposta inesistente, contraddittoria o manifestamente illogica come sostiene il ricorrente, bensì di una risposta in parte autonoma ed in parte per relationem alla sentenza di primo grado, pur se non corrispondente a quella che avrebbe preteso il ricorrente (sul valore probatorio del pvc v. per tutte Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018 Rv. 651211 – 01: “In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore”).

1.4. Avendo quindi il giudice di appello dato risposta alla richiesta della parte, non può ritenersi sussistente nè la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, nè la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma, come nel caso in esame, che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (v. Cass. sentenza n. 26764 del 21/10/2019 Rv. 655514 – 01; N. 27415 del 2018 Rv. 651028 – 01; N. 13977 del 2019 Rv. 654145 – 01; N. 20721 del 2018 Rv. 650018 – 02; N. 16611 del 2018 Rv. 649628 – 01; N. 6145 del 2019 Rv. 653076 – 01)

1.5. In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è infatti più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018 (Rv. 650880 – 01). Nel caso in esame, però, una risposta vi è stata con riguardo non solo a quella già fornita dal giudice di primo grado ma anche in riferimento alla sostanziale identità dei lavoratori ed al richiamo agli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza i quali erano assistiti proprio su tale specifico punto da fede privilegiata, per cui il primo motivo di ricorso è infondato con riguardo alla parte in cui è specifico.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e / o falsa applicazione della L. n. 357 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 poichè il diritto alla detrazione IVA, nel caso di fatture soggettivamente inesistenti, deve essere riconosciuto al cessionario qualora si dimostri che non sapeva o poteva non sapere di partecipare ad una operazione inesistente e nella specie il contribuente aveva fornito nel giudizio la prova della sua estraneità e totale inconsapevolezza con riguardo alle vicende della cooperativa ed alla inesistenza giuridica della stessa, mentre l’Ufficio non aveva presentato elementi da cui dedurre una adeguata conoscenza in capo al ricorrente della natura fittizia della Cooperativa Europa 3000 e comunque la prestazione era stata resa per cui doveva essere riconosciuto il diritto alla detrazione IVA anche in base alla giurisprudenza della Code di Giustizia.

3. Con il terzo motivo si duole di violazione e / o falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 52,artt. 2697 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21, 54 e 56, della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè dei principi generali in tema di onere della prova, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè, in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia spettava alla Amministrazione Finanziaria, nel caso di contestazione della detrazione IVA, provare, sia pure sulla base di elementi indiziari, la malafede o la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente non essendo possibile richiedere particolari incombenze a chi ha detratto l’imposta, mentre nella specie tale prova non era stata fornita in quanto la cooperativa era un soggetto vero ed operante che fatturava operazioni vere ai committenti, si trattava di una Onlus riconosciuta ufficialmente dalla Agenzia delle Entrate ed, in presenza di modeste prestazioni periodiche, la contribuente non aveva mai saputo, nè avrebbe mai avuto i mezzi per sapere che la cooperativa era inadempiente all’assolvimento dei propri obblighi fiscali.

4. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente poichè riguardano, ripetitivamente, sotto l’esclusivo profilo della violazione di legge, la prova, non tanto della inesistenza soggettiva delle operazioni poste in essere dalla cooperativa, che non viene contestata (anche se

men, poi il ricorrente sostiene, sia pure incidentalmente, che la ONLUS era un soggetto vero iscritto all’elenco delle Onlus), quanto la pretesa estraneità ed incolpevolezza del ricorrente rispetto alle vicende della cooperativa che non aveva versato l’IVA ed i contributi per propria scelta, nonchè la pretesa violazione, da parte del giudice d’appello, della regola iuris in ordine alla divisione dell’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti sempre con riguardo alla consapevolezza, in capo al contribuente, di partecipare ad una operazione fraudolenta al fine della esclusione, da parte della Amministrazione Finanziaria, del diritto alla detrazione IVA.

4.1. In proposito occorre premettere che il vizio di violazione di legge consiste, in base ad una giurisprudenza ampiamente consolidata di questa Corte, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02). Non sono perciò consentiti, come avvenuto nel caso concreto, i motivi di ricorso, pur formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che in realtà contestano invece la erronea motivazione della sentenza da parte del giudice di appello per avere ritenuto che fosse stata provata la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente sulla base di elementi inconsistenti, mentre sarebbe stato il ricorrente a dimostrare che la cooperativa era un soggetto vero ed operante che fatturava operazioni vere ai committenti, in quanto si trattava di una Onlus riconosciuta ufficialmente dalla Agenzia delle Entrate, per cui, in presenza di modeste prestazioni periodiche, il contribuente non avrebbe mai saputo, nè avrebbe mai avuto i mezzi per sapere che la cooperativa era inadempiente all’assolvimento dei propri obblighi fiscali.

4.2. Il giudice di appello, in punto di diritto, ha spiegato esattamente e correttamente quale fosse il quadro normativo di riferimento, per cui l’IVA era indetraibile in presenza di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo, poichè, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la mancanza di struttura della società fornitrice, costituita al solo fine di consentire la detrazione dell’IVA e degli oneri da parte della società committente, unita alla circostanza che la società fornitrice non aveva effettuato i dovuti versamenti al Fisco, non consentiva la detrazione dell’IVA.

4.3. La ricorrente trascura, in proposito, che, nel caso concreto, ben delineato dalla sentenza impugnata anche nella parte espositiva, si trattava di interposizione di un soggetto inesistente (la cooperativa), appositamente costituito al fine di omettere il versamento delle imposte e degli altri oneri attraverso la migrazione formale del personale da un soggetto all’altro per poi lasciarlo sostanzialmente nella stessa posizione, al solo fine di consentire alla ditta La Costeira (e ad altre imprese che si trovavano in situazione analoga) di evadere l’IVA e gli altri oneri, con perdite per l’erario. Tale situazione si pone infatti in contrasto con quanto sancito dall’art. 17 della Direttiva del Consiglio Cee/77/388 e dai principi affermati dalla Corte di Giustizia laddove hanno stabilito che è in ogni caso indetraibile l’IVA assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il risultato del beneficio fiscale, senza una reale ed autonoma ragione economica giustificatrice della catena di cessioni successive.

4.3. Con tale motivazione della sentenza impugnata (che richiama e fa propria quella di primo grado contenente anche i riferimenti giurisprudenziali ai precedenti della Corte di Cassazione, pag. 2 della sentenza di appello) non si confronta il ricorrente, il quale deduce il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, senza però considerare che esso deve investire immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, mentre il ricorrente, in concreto, al di là di apodittiche affermazione sui principi giuridici che sarebbero applicabili nella specie, si duole soltanto del fatto che le sentenze di merito non avessero considerato che la ditta contribuente aveva fornito la prova, producendo il proprio libro paga e matricola con la indicazione dei dipendenti assunti e licenziati, della sua estraneità ed incolpevolezza riguardo alle vicende della cooperativa, ad essa sola imputabili e che la cooperativa era un soggetto effettivamente esistente ed iscritta nel registro delle ONLUS della Agenzia delle Entrate, il che, attenendo ad un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, è, invece, esterno all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, da ultimo Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019 Rv. 652398 – 01).

4.4. I motivi di ricorso prospettati sotto il profilo della violazione delle regole relative all’accertamento dei redditi ed IVA ed alla detrazione dell’IVA non possono perciò essere condivisi, considerato pure che la regola di diritto che la ricorrente vorrebbe trarre dalla norma non è quella che deriva correttamente dalla norma stessa, sulla base della interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza consolidata di questa Corte in aderenza alla normativa comunitaria, per cui, se è vero che, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni, peraltro l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore; per cui, laddove tale prova sia fornita dalla Amministrazione, come è stato ritenuto dalle due conformi sentenze di merito nel caso in esame, la detrazione non è possibile (v. Sez. 5, Sentenza n. 24426 del 30/10/2013 Rv. 629419 – 01). Ed è stato altresì aggiunto che, al fine di ritenere la buona fede del contribuente, non è neppure sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata o che la prestazione sia stata eseguita e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poichè trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20059 del 24/09/2014 Rv. 632476 – 01). Tanto più che, in tema d’IVA, è precluso al cessionario dei beni ovvero all’acquirente di servizi il diritto alla detrazione nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo, nonostante i beni siano entrati effettivamente nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, poichè l’indicazione mendace di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 07/10/2015 Rv. 636663 – 01); il che determina, pure, in conseguenza, la irrilevanza delle argomentazioni addotte dal ricorrente, che non trovano riscontro nel diritto vivente.

4.5. Il vizio di violazione di legge è poi insussistente anche con riguardo alla violazione dell’art. 2697 c.c. che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01), poichè, trattandosi della prova della inesistenza della operazione, l’onere di dimostrare la inesistenza della operazione spettava certamente all’Ufficio, come dallo stesso riconosciuto e come ritenuto dalla sentenza impugnata, però alla stregua dei criteri indicati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, propri dell’accertamento adottato nel caso in esame, che sono quelli presuntivi, di fronte ai quali incombeva al contribuente, proprio ex art. 2697 c.c., offrire la prova contraria. E peraltro la inesistenza soggettiva delle operazioni non è neppure in contestazione nel caso in esame poichè il ricorrente riconosce la inesistenza giuridica della cooperativa (pag. 16 del ricorso) ma sostiene di essere stato estraneo a tale inesistenza e comunque incolpevole.

4.6. All’Ufficio spettava poi, pure, offrire la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione poteva però essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui aveva stipulato il contratto da cui erano scaturite le fatture in contestazione, il contribuente era stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (v., Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019 Rv. 653071 -01; Cass. N. 21953 del 2007 Rv. 599228 – 01; N. 27566 del 2018 Rv. 651269 – 01; N. 9108 del 2012 Rv. 622994 – 01); null’altro richiedendosi se non la dimostrazione, anche presuntiva, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente, per cui, ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (v., da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018 Rv. 651269 – 01).

4.7. E’ infatti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio, al quale si ritiene di dare continuità in questa sede, per cui, in tema di IVA, ma anche di imposte sui redditi, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o un soggetto sostanzialmente inesistente) della inesistenza oggettiva o anche soltanto soggettiva delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (v., da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018 Rv. 649610 – 01; Sez. 5 Ordinanza n. 27554 del 30/10/2018 Rv. 651216 – 01).

4.8. Tali principi, applicabili in base alla normativa interna, trovano poi conforto ulteriore nella interpretazione comunitaria, per cui, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24426 del 30/10/2013 Rv. 629419 – 01).

4.9. Con riguardo, poi, in particolare, al tema della buona fede, è ugualmente consolidato il principio per “ove l’Amministrazione assolva al proprio onere istruttorio, grava poi sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”, in quanto “spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta” (v. per tutte, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018 Rv. 651269 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 10120 del 21/04/2017 Rv. 644043 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 17818 del 09/09/2016 Rv. 640767 – 01).

4.10. Tanto rilevato in ordine ai principi di diritto che riguardano la materia, nessun errore di diritto è stato prospettato in proposito dal ricorrente (nè appare prospettabile in concreto) nella impostazione della sentenza impugnata, anche in relazione alla regola della divisione dell’onere della prova con riguardo alla buona fede del cessionario di operazioni soggettivamente inesistenti, poichè, come correttamente sostenuto dalla Agenzia delle Entrate nelle proprie controdeduzioni, il ricorrente si limita a dedurre, con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, un erroneo apprezzamento delle acquisizioni istruttorie, il che integrerebbe un vizio sindacabile in sede di legittimità soltanto come vizio della motivazione e non anche come violazione della regola dell’onere della prova posta dall’art. 2697 c.c., sotto il profilo per cui sarebbe spettato alla Amministrazione Finanziaria dimostrare la malafede o la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente. Nessuna violazione di tale regola risulta comunque dalla sentenza impugnata, la quale ha ricostruito una fattispecie nel cui ambito era stata la committente ditta “La Costiera di V.F.” ad avere collaborato con la Cooperativa Europa 3000 Onlus al fine di realizzare un soggetto in grado di interporsi fittiziamente tra i lavoratori e la azienda da cui dipendevano al fine di evadere l’IVA e gli altri oneri. In tale ambito non era perciò neppure astrattamente prospettabile una mancanza della consapevolezza della frode da parte del committente allorchè, come si legge nella sentenza impugnata, il soggetto inesistente (e cioè la Cooperativa) era stata fittiziamente costituita attraverso la collaborazione di più soggetti, fra cui la ditta La Costiera, al fine di assumere fittiziamente i dipendenti della società committente (previo loro licenziamento da parte di tale ditta) per poi continuare ad inserirli nella struttura della committente, omettendo peraltro di versare l’IVA ed i contributi previdenziali ed assistenziali e quindi al fine comune di frodare il Fisco e gli enti previdenziali.

4.11. La sentenza impugnata non ha in conseguenza commesso alcuna violazione della regola dell’onere della prova poichè ha presupposto che l’Ufficio avesse provato, attraverso la verifica della Guardia di Finanza e le risultanze del pvc, assistito da fede privilegiata, non solo la inesistenza soggettiva delle operazioni (non contestata neppure dal ricorrente) ma pure la partecipazione consapevole della ditta La Costiera alla condotta diretta ad evadere le imposte e gli oneri previdenziali, dopo di che sarebbe spettato al contribuente offrire la prova contraria, che peraltro non era stata fornita poichè il contribuente si è limitato a contestare gli elementi probatori offerti dall’Ufficio ed a dedurre la regolarità formale delle fatture, notoriamente inidonee a provare da sole la veridicità della operazioni, costituendo esse la strumento ordinario per realizzare la frode.

4.12. La sentenza impugnata si è quindi attenuta a corretti principi giuridici, anche in punto di applicazione della regola dell’onere della prova, discendenti da una giurisprudenza consolidata di questa Corte e della Corte di Giustizia, per cui si deve escludere la invocata violazione di legge.

5. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

Spese e doppio contributo seguono per legge.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.300,00. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

 

 

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