Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28762 del 09/11/2018
Cassazione civile sez. lav., 09/11/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28762
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9863-2014 proposto da:
B.C., in proprio e quale titolare della ditta Panetteria
Supato, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIBULLO 10, presso lo
studio dell’avvocato GUIDO FIORENTINO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIUSEPPE FARRAUTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
A.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA
MARGHERITA 290, presso lo studio dell’avvocato CARLO PONZANO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO BRIN e VALTERO
MORENO, giusta deleghe in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 510/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 15/10/2013 R.G.N. 489/2013.
Fatto
RITENUTO
Che con sentenza n. 510 del 2013 la corte d’appello di Genova ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Savona che aveva accolto la domanda di A.N., diretta ad ottenere la condanna della ex datrice di lavoro B.C. al pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario, ferie, permessi, retribuzioni differite, indennità di fine rapporto.
Che il tribunale aveva condannato la B. al pagamento della complessiva somma di Euro 70.304,51, ritenendo provati i fatti dedotti dalla lavoratrice relativamente all’effettivo orario di lavoro giornaliero, pieno e non part time e determinando le differenze retributive applicando il CCNL del settore panificazione, mediante consulenza tecnica d’ufficio.
Che la corte ha ritenuto che la lavoratrice in primo grado aveva dedotto l’applicazione del CCNL dei panificatori artigiani e che tale circostanza non era stata contestata dalla datrice di lavoro, che dall’istruttoria espletata in primo grado, in particolare dalla testimonianza di un ex dipendente, le deduzioni attoree avevano trovato conferma, che risultava essere stato pagato il TFR in misura leggermente superiore a quella indicata in primo grado e che, pertanto, la somma a cui era stata condannata la datrice di lavoro B. andava ridotta di Euro 1.518,00.
Che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.C. affidato a cinque motivi, a cui ha resistito A.N. con controricorso.
Diritto
RILEVATO
Che i motivi di ricorso hanno riguardato: 1) la violazione artt. 414,420 e 421 c.p.c., con riferimento all’art. 2969 c.c., la nullità del ricorso introduttivo e vizio di ultrapetizione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la corte genovese avrebbe erroneamente ritenuto che la lavoratrice avesse invocato nell’atto introduttivo la applicazione del CCNL e che tale deduzione non fosse stata oggetto di contestazione da parte della convenuta; 2) l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: avrebbe omesso la corte di esaminare l’eccezione relativa alla mancata produzione del contratto collettivo da parte della ricorrente in primo grado, eccezione che poteva essere sollevata anche in appello;3) la violazione a falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per essere la motivazione non esauriente e viziata logicamente, avendo la corte richiamato una sola deposizione, neanche rilevante ed avrebbe omesso la valutazione delle altre testimonianze; 4) la violazione a falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e art. 118 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la sentenza impugnata non sarebbe sorretta da alcuna motivazione, mentre nell’atto di appello era stata evidenziata una serie di rilievi sulle inattendibilità dei testi escussi; 5) la violazione a falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2107 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la sentenza avrebbe affermato che la tesi attorea aveva avuto solo “alcuni riscontri”, mentre la prova avrebbe dovuto essere fornita in maniera più puntuale e rigorosa.
Che il primo ed in secondo motivo possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi. I motivi in parte sono inammissibili per difetto di autosufficienza perchè la ricorrente, pur avendo trascritto alcune parti incomplete della propria memoria di costituzione di primo grado in cui ha eccepito la mancata produzione del CCNL invocato dalla A., non ha poi indicato l’esatta collocazione nel fascicolo di parte sia del ricorso ex art. 414 c.p.c. della lavoratrice, sia in particolare della propria memoria di costituzione, così da non consentire una diretta e completa verifica delle deduzioni svolte tanto dalla A., quanto dalla odierna ricorrente con particolare riferimento alla tempestività dell’eccezione sollevata. Ma comunque i motivi sono anche infondati, atteso che dalla lettera di assunzione della lavoratrice, che è stata ritualmente depositata dalla contro-ricorrente unitamente al controricorso, risulta che le parti hanno richiamato espressamente il CCNL panificatori quanto al trattamento economico applicato. Tale richiamo prova la volontà della datrice di lavoro di applicazione di tale contratto, sia pure nella sola parte afferente alla regolamentazione retributiva.
Possono poi esaminarsi congiuntamente anche il terzo, il quarto ed il quinto motivo, atteso che pur denunciando formalmente violazione di legge o errores in procedendo in termini di un’ omissione di qualsiasi motivazione, in realtà censurano tutti l’iter motivazionale della sentenza impugnata che, sia pure succintamente, ha esaminato tutti i motivi di gravame ed ha evidenziato in particolare la testimonianza di un ex dipendente della B. – il quale aveva lavorato presso il panificio nello stesso periodo della A. – testimonianza che è stata ritenuta rilevante ai fini dell’accertamento della prova di cui la lavoratrice era onerata. La corte distrettuale pertanto non ha giudicato contraddicendo espressamente la regola di cui al citato art. 115 c.p.c., ma ha valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c..
Che il ricorso deve quindi essere respinto, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 21 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018