Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28761 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 07/11/2019), n.28761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23753-2018 proposto da:

M.A.S.H.K., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato LANZILAO MARCO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

avverso la sentenza n. 1503/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

Che:

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, M.A.S.H.K., nato in Bangladesh, chiedeva al Tribunale di Roma che gli venisse riconosciuta una delle diverse misure di protezione internazionale, erroneamente denegate dalla Commissione territoriale. Il giudice adito respingeva il ricorso.

La Corte di appello di Roma, con la sentenza epigrafata, ha respinto l’appello ritenendo non sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale nelle diverse forme richieste.

Il richiedente propone ricorso con quattro mezzi. Il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso è sviluppato nei seguenti motivi: I) Omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della sua condizione personale; II) Mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle condizioni socio/politiche del Paese di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sostenendo che il Paese è instabile e vi è una sistematica violazione dei diritti umani; III) Mancata concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, nonchè violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o ivi possa correre gravi rischi ed invoca anche il diritto alla salute ed alla alimentazione; IV) – anche se indicato in ricorso con il numero 5 – Violazione del principio di non refoulement.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. Va richiamata per tutti la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298 del 29/11/2016).

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate e di precedenti giurisprudenziali, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Anche la censura motivazionale (primo motivo) avrebbero dovuto essere sviluppata, secondo il modello codicistico, con l’indicazione del fatto di cui si deduce l’omesso esame: invero nel caso di specie la doglianza, oltre ad essere formulata in maniera apodittica, trascura del tutto la ratio decidendi che la Corte territoriale ha centrato sia sulla mancata censura in merito alla impossibilità di identificarlo compiutamente

dichiarata dal Tribunale, attesa la divergenza tra il nome e la data di nascita riferita alla Commissione territoriale e quello risultante dalla procura -, sia sul carattere personale dei motivi che lo avrebbero indotto ad allontanarsi dal suo Paese, ascritti dallo stesso richiedente ad alcune rapine subite e vanamente denunciate alle forze dell’ordine, e non già sulla inattendibilità di quanto esposto dal ricorrente a sostegno della domanda di protezione internazionale, come erroneamente sostenuto da quest’ultimo nel ricorso (fol. 3); infine non vengono illustrati i fatti il cui esame sarebbe stato omesso (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014; Cass. n. 20721 del 13/08/2018).

4. Va, quindi, aggiunto che la Corte – quanto alla richiesta di protezione sussidiaria (secondo motivo) – ha compiuto anche una valutazione circa l’insussistenza di una condizione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno ed internazionale in Bangladesh proprio mediante l’impiegocille fonti internazionali indicate dal ricorrente: ciò attiene ad una valutazione di fatto di cui il ricorrente inammissibilmente sollecita una revisione in termini conformi a quanto dallo stesso auspicato.

Nè possono assumere decisivo rilievo le pronunce giudiziarie favorevoli ad altri richiedenti bengalesi, frutto della valutazione delle circostanze precipuamente accertate in detti giudizi.

5. Quanto alla richiesta di protezione umanitaria (terzo motivo), in disparte dagli effetti del D.L. n. 113 del 4 ottobre 2018, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 10 dicembre 2018, art. 1, comma 1, risulta dirimente il difetto di qualsivoglia allegazione individualizzante in punto di vulnerabilità nel giudizio di merito, senza che la insussistenza dei presupposti accertata dalla Corte di appello trovi una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso.

Resta da aggiungere che la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari e di ragioni di vulnerabilità diverse da quelle poste a base della richiesta di altre forme di protezione non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

Questa Corte, peraltro, ha già avuto modo di osservare che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria non si sottrae, per sè, all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio (cfr., tra le altre, Cass., 31 gennaio 2019, n. 3016; Cass., 18 aprile 2019, n. 10933).

Quanto alla prospettazione di una vulnerabilità conseguente al rischio dell’integrità psico-fisica, prefigurata come lesione al diritto alla salute ed all’alimentazione, va osservato, in disparte dall’assoluta astrattezza e novità della questione, che la stessa è infondata, giacchè consiste in una prospettazione di diritti estremamente ampia che non trova alcun riscontro nell’ordinamento nazionale e comunitario (Cass. n. 3019 del 31/1/2019).

6. Infine la censura afferente alla violazione del principio non refoulement (quarto motivo) è inammissibile perchè muove una critica di principio e generica volta a superare la valutazione della situazione personale, da ascriversi a vicende private, e generale della condizione paese, che, seppur critica, risulta in via di attenuazione. A fronte di questo accertamento il mezzo si limita a deduzioni astratte volte a sollecitare una valutazione, nel merito, della domanda.

7. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00=, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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