Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28760 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16868-2013 proposto da:

C.M.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, SERGIO

PREDEN, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 842/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/06/2012 R.G.N. 457/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2018 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARLO DE ANGELIS per delega verbale Avvocato PAOLO

BOER;

udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.M.P., premesso di essere titolare dall’1.12.2005 di pensione indiretta in conseguenza del decesso del coniuge M.P., ricorse al Tribunale di Vercelli lamentando che l’Inps, nel liquidarle tale trattamento, aveva calcolato tutti i contributi versati durante l’attività lavorativa del suo dante causa, ivi compresi quelli afferenti gli anni 2004 e 2005 nei quali quest’ultimo aveva percepito retribuzioni inferiori rispetto al passato; conseguentemente la ricorrente chiese la condanna dell’Inps al ricalcolo della pensione indiretta, attraverso la neutralizzazione del periodo contributivo 2004-2005, ed al pagamento delle relative differenze.

Accolta la domanda e proposta impugnazione da parte dell’Inps, la Corte d’appello di Torino (sentenza del 28.6.2012) accolse il gravame e respinse la domanda della C., dopo aver spiegato che la pensione liquidata all’appellata non aveva trovato origine in un trattamento pensionistico precedentemente liquidato al suo dante causa, bensì solo nella posizione assicurativa e contributiva del medesimo, il quale non aveva raggiunto l’età pensionabile al momento del decesso, avvenuto pochi giorni prima che venisse sottoposto a visita in relazione alla richiesta dell’assegno di invalidità, per cui non poteva trovare applicazione il principio della neutralizzazione che presupponeva la maturazione del diritto alla liquidazione della pensione.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.M.P. con un solo motivo, cui resiste l’Inps cori controricorso.

Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con un solo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 9, n. 2, lett. b), e della L. n. 297 del 1982, art. 13, comma 8, come interpretabili alla luce della giurisprudenza di costituzionalità relativa all’irriducibilità del livello virtuale di pensione già raggiunto in itinere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la decisione della Corte d’appello di Torino in base alla quale nella fattispecie non sussistevano i presupposti per l’applicazione del principio di irriducibilità del trattamento di pensione virtualmente maturato in corso di rapporto, in quanto questo principio era stato enunciato dalla giurisprudenza costituzionale solo con riferimento alla pensione di vecchiaia, mentre nella specie esso era stato invocato con riferimento ad una pensione indiretta, maturata direttamente dal coniuge superstite. Secondo la ricorrente, l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale è quello di aver ristretto la sfera di applicazione del suddetto principio di diritto, enunciato dalla Corte Costituzionale, nei confronti dei soli soggetti che dopo aver conseguito la pensione di anzianità con il computo dell’intera contribuzione versata – maturano l’età richiesta per la pensione di vecchiaia. La ricorrente ritiene, quindi, che la clausola di salvaguardia del livello retributivo di pensione raggiunto in itinere, una volta che si sia perfezionato il requisito contributivo richiesto per il diritto a pensione, seppur non enunciata dal legislatore, deve considerarsi inserita nell’ordinamento previdenziale per effetto della giurisprudenza costituzionale che ha ribadito il principio di irriducibilità del trattamento virtualmente raggiunto, in forza dei quale, una volta che sia stato perfezionato il requisito minimo contributivo, l’ulteriore contribuzione non può compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata sino a quel momento. Quindi, secondo la ricorrente, la decisione della Corte di merito di negare il diritto all’applicazione del suddetto principio sulla scorta del ragionamento che il dante causa non era titolare di un trattamento pensionistico, nè di vecchiaia, nè di anzianità, è da ritenere infondata poichè la priva del diritto a rivendicare la corretta applicazione della pensione della quale era divenuta titolare, per cui il suo diritto al trattamento pensionistico indiretto è autonomo rispetto al diritto alla pensione spettante all’assicurato. Pertanto, sussisterebbero, per la ricorrente, i presupposti per ottenere la neutralizzazione dal calcolo della pensione indiretta degli anni 2004 e 2005, anni in cui il dante causa aveva avuto una riduzione della retribuzione che aveva, a sua volta, provocato una corrispondente riduzione della pensione indiretta rispetto a quella liquidabile espungendo gli anni in questione.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Occorre, anzitutto, precisare che la pensione indiretta è una prestazione simile ma non identica alla pensione di reversibilità, dalla quale si distingue per il solo fatto che il soggetto deceduto non era ancora titolare di pensione, ma risultava un semplice lavoratore. I familiari superstiti hanno diritto alla prestazione previdenziale alla morte del lavoratore sempre che quest’ultimo abbia maturato al momento del decesso almeno: a) 15 di assicurazione e di contribuzione (oppure 780 contributi settimanali); oppure b) 5 anni di assicurazione e di contribuzione (oppure 260 contributi settimanali) di cui almeno 3 anni (oppure 156 contributi settimanali) versati nei 5 anni precedenti il decesso. (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 25970 del 31.10.2017)

Secondo la ricorrente essa aveva diritto alla neutralizzazione del periodo 2004 – 2005 che pregiudicava il “quantum” della pensione indiretta.

Però, d’altra parte, la medesima ricorrente ammette che era titolare di pensione indiretta e non di reversibilità (questa, infatti, presuppone la titolarità di una pensione in capo al de cuius); tuttavia, la medesima tenta di accreditare la tesi che la neutralizzazione per gli anni 20042005 poteva trovare applicazione poichè la stessa non incideva sul fatto che il dante causa aveva, comunque, maturato 31 anni di contribuzione (aggiunge al riguardo che per la pensione indiretta bastavano 5 anni di contribuzione, di cui almeno tre nell’ultimo quinquennio antecedente alla morte, oppure 15 anni di contributi, a prescindere dalla collocazione temporale).

In tal modo la ricorrente cerca di prospettare un principio di irriducibilità del trattamento virtualmente conseguito in corso di rapporto contributivo, con conseguente possibilità di applicazione del principio della suddetta neutralizzazione dei periodi peggio retribuiti che, a suo dire, non incontrerebbe alcun limite nell’ampiezza della contribuzione da neutralizzare.

Tuttavia, tale prospettazione difensiva non è conferente al caso in esame in quanto non supera la validità della ratio decidendi che è incentrata sulla constatazione di fatto che nella fattispecie non sussisteva una pensione sulla quale poter operare l’invocato principio della neutralizzaione, atteso che il dante causa della ricorrente non aveva raggiunto l’età pensionabile all’atto del decesso, avvenuto pochi giorni prima che il medesimo venisse sottoposto a visita in relazione alla richiesta dell’assegno di invalidità. Quindi, il suddetto principio non poteva trovare applicazione, in quanto lo stesso presupponeva la maturazione del diritto del dante causa della ricorrente alla liquidazione della pensione, evento, questo, non verificatosi nel caso di specie.

Infatti, la Corte di merito ha ben spiegato che M.P., dante causa della ricorrente, all’epoca del decesso aveva 48 anni ed aveva maturato 31 anni di contributi, sicchè, non avendo raggiunto l’età pensionabile, non era applicabile nei suoi confronti il principio della neutralizzazione di cui alla sentenza n. 264/1994 della Corte costituzionale, così come lo stesso principio non poteva applicarsi nei riguardi dell’avente causa, la quale maturava solo il diritto al conseguimento della pensione indiretta, da calcolare secondo i criteri di legge, e che non trovava origine in un trattamento pensionistico precedentemente liquidato al suo dante causa, per la semplice ragione che quest’ultimo, al momento del decesso, non aveva ancora raggiunto l’età pensionabile.

La stessa Corte ha anche chiarito, con motivazione congrua ed esente da vizi di legittimità, che tali circostanze fattuali avevano trovato conferma nella documentazione di causa e non erano state in alcun modo contestate dall’appellata C..

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio sono poste a carico della ricorrente soccombente nella misura liquidata come da dispositivo.

Ricorrono, altresì, i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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