Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28756 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2018, (ud. 24/10/2017, dep. 09/11/2018), n.28756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 262/2013 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

EUROPA 175 presso la Direzione Affari Legali di POSTE ITALIANE,

rappresentata e difesa dall’avvocato VITO CIRIELLO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRESCIA 29,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ZACHEO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FERNANDO CARACUTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1696/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/06/2012 R.G.N. 1132/2010.

Fatto

RILEVATO

che la Corte territoriale di Lecce, con sentenza depositata in data 11.6.2012, respingeva l’appello interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti di C.A., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva parzialmente accolto il ricorso con il quale la lavoratrice, dipendente della predetta società ed inquadrata nell’Area Operativa in seguito alla nuova classificazione professionale prevista dal CCNL 26.11.1994 per i dipendenti di Poste Italiane S.p.A., chiedeva che fosse ordinato alla datrice di lavoro di inquadrarla nell’Area Quadri di 2^ livello sin dall’entrata in vigore del medesimo CCNL o, in subordine, dal 2.11.1997 al 28.2.2003, con conseguente condanna della società al pagamento delle differenze retributive dovute;

che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. articolando un motivo contenente due censure, cui resiste la C. con controricorso;

che sono state depositate memorie nell’interesse della lavoratrice;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che con il ricorso si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e segg., art. 2103 c.c.; artt. 43 e 44 del CCNL 26.11.1994 per i dipendenti di Poste Italiane S.p.A., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ed in particolare, si lamenta che i giudici di merito avrebbero omesso il procedimento logico-giuridico c.d. trifasico, ritenuto necessario, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte, per il corretto inquadramento del lavoratore; non avrebbero, cioè, accertato quali attività lavorative svolgesse in concreto la dipendente, non avrebbero proceduto all’individuazione delle qualifiche previste dal CCNL ed infine, non avrebbero operato il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali individuate nella seconda; che le mansioni svolte dalla C., di collaborazione con il direttore dell’Ufficio postale di (OMISSIS), “pur sostanzialmente coincidenti con quelle elencate nel ricorso introduttivo della lite, possono essere qualificate come mansioni di collaborazione amministrativo-contabile qualificata e si sono estrinsecate nella effettuazione degli adempimenti relativi ad operazioni contabili… sulla base di istruzioni sempre impartite dal Quadro 1 livello responsabile dell’Ufficio postale e/o dal Quadro di 2 livello sub-responsabile dell’Ufficio”; che le mansioni della dipendente, pertanto, “non appaiono in alcun modo riconducibili alla declaratoria dell’Area Quadri”;

che il motivo non è meritevole di accoglimento; ed invero, i giudici di seconda istanza sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità, uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone di tre fasi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17163/2016): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi;

che, sulla scorta, quindi, degli elementi probatori emersi in prima istanza – in base ai quali il giudice di primo grado ha riconosciuto lo svolgimento, di fatto, da parte della C., di mansioni riconducibili all’Area quadri di 2^ livello, dal 2.11.1997 al 28.2.2003, dichiarando, per l’effetto, il diritto della stessa all’inquadramento nella suddetta Area dal 2.5.1998, con conseguente condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturate dal 2.11.1997, oltre accessori come per legge -, la Corte di Appello ha motivatamente reputato, facendo proprio il ragionamento del primo giudice, che aveva confrontato, altresì, le declaratorie contrattuali relative all’Area operativa (in cui risultava inquadrata la dipendente) ed al 2^ livello Quadri CCNL 1994 (nel quale la stessa chiedeva di essere inquadrata), che le mansioni della lavoratrice fossero connotate da quella responsabilità di gestione di unità organiche, necessarie per l’inquadramento nel 2^ livello Quadri, poichè la stessa, oltre ad essere una delle collaboratrici del direttore dell’Ufficio, all’occorrenza lo sostituiva; compiti, questi, rientranti, appunto nel 2^ livello;

che, inoltre, i giudici di secondo grado hanno sottolineato che la C. occupava di fatto uno dei posti vacanti di collaboratore, in quanto per l’Ufficio postale di Lecce Centro erano previsti due o più posti di collaboratore del direttore e soltanto uno di essi era formalmente occupato da altra dipendente;

che, per quanto più specificamente attiene alla censura sollevata in relazione al preteso vizio motivazionale, è da rilevare che – a prescindere dalla non corretta formulazione al riguardo del mezzo di impugnazione, che attiene al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non applicabile alla fattispecie essendo stata la sentenza impugnata depositata in data 11.6.2012, prima, cioè, dell’entrata in vigore della predetta legge di conversione – i difetti di omissione e di insufficienza della motivazione sono configurabili solo quando, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza oggetto del giudizio, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando si evinca l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito, finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che, nella fattispecie, le doglianze articolate dalla parte ricorrente come vizio di motivazione, peraltro del tutto vaghe, appaiono inidonee, in quanto palesemente tese ad ottenere un nuovo esame del merito, a scalfire la coerenza della sentenza sotto il profilo dell’iter logico-giuridico;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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