Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28756 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17193/2014 proposto da:

B.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VITO PASSALACQUA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SANTA NINFA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIACOMO BONI 15, presso lo

studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI LENTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2944/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/01/2014 R.G.N. 125/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza depositata in data 23 gennaio 2014 la Corte di appello di Palermo, in riforma della decisione del Tribunale di Marsala, respingeva la domanda proposta da B.D. nei confronti del Comune di Santa Ninfa, intesa ad far accertare l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni per avere il B. evidenziato nella richiesta di trasferimento per mobilità volontaria del 22 ottobre 2010, indirizzata alla Prefettura di Trapani, che le proprie condizioni di lavoro, quale responsabile dei servizi demografici presso l’ente locale, erano ormai divenute insostenibili a causa delle continue pressioni che gli sarebbero state rivolte al fine di porre in essere atti in violazione della legge;

1.1. riteneva la Corte territoriale che vi fosse una sostanziale identità tra la condotta inizialmente contestata al dipendente ed il fatto oggetto del provvedimento sanzionatorio, con ciò dovendo escludersi ogni violazione del principio della immutabilità della contestazione;

1.2. in ogni caso riteneva che la condotta inizialmente contestata supportasse da sola l’irrogata sanzione sulla base delle previsioni di cui al c.c.n.l. di comparto, prevedente espressamente all’art. 3, comma 5, lett. i) l’utilizzazione di manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’Ente quale comportamento idoneo a giustificare la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni;

1.3. riteneva che le espressioni utilizzate dal B. nella missiva del 22 ottobre 2010 fossero ictu oculi lesive dell’immagine dell’Ente datoriale, stante l’assenza di ogni riferimento esplicito ad eventuali responsabilità di singoli ed essendo le “accuse” rivolte alla struttura nel suo complesso;

2. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.D. con cinque motivi;

3. Il Comune di Santa Ninfa ha resistito con controricorso;

4. non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis;

1. lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che sussistesse coincidenza piena tra i fatti contestati e quelli oggetto del provvedimento disciplinare;

rileva che il provvedimento sanzionatorio non era stato adottato solo per la frase contenuta nella missiva indirizzata alla Prefettura di Marsala ma anche per le frasi inserite dal B. nella memoria difensiva presentata nel corso del procedimento disciplinare;

evidenzia, in particolare, che detto provvedimento era stato adottato non solo per la contestata violazione dell’art. 3, comma 5, lett. i) del c.c.n.l. 11.4.2008 (manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’Ente) ma anche per la violazione del comma 4, lett. b) e del comma 5, lett. b), (particolare gravità della condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiorì) e per la violazione del comma 5, lett. g) (comportamenti diffamatori nei confronti della Dott.ssa G.”);

2. il motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato;

2.1. innanzitutto va rilevato che gli atti richiamati a sostegno delle censure (lettera di contestazione e provvedimento applicativo della sanzione) non sono trascritti nella loro interezza ma degli stessi sono riportate solo alcune parti, il che non consente a questa Corte di avere piena contezza della situazione fattuale a base della denunciata violazione del principio di immutabilità della contestazione;

2.2. neppure sono trascritti il contenuto della sentenza di primo grado e la comparsa di costituzione nel giudizio di appello del B. che solo avrebbero permesso di comprendere in quali termini la questione della immutabilità della contestazione fosse stata trattata innanzi al Tribunale ed eventualmente riproposta in secondo grado;

2.3. il motivo, inoltre, risulta irrilevante se si considera il passaggio motivazionale in cui la Corte territoriale ha evidenziato (pag. 3 della sentenza impugnata) che la condotta inizialmente contestata all’odierno appellato risultava da sola idonea a supportare l’irrogata sanzione: era, infatti, il c.c.n.l. di comparto ad individuare espressamente l’utilizzazione di manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’Ente quale una delle condotte idonee a giustificare la sanzione in parolà e con il successivo (v. pagg. 4 e 5 della sentenza) in cui è ulteriormente precisato che “le espressioni utilizzate dal B. nella missiva del 22 ottobre 2010 appaiono ictu oculi lesive dell’immagine dell’Ente datoriale tenuto conto del tenore delle stesse (…), del soggetto destinatario della richiesta di mobilità (…), del ruolo rivestito dal soggetto denunziante…), della specificità temporale dei fatti illeciti addebitati (…), dell’assenza di ogni esplicito riferimento ad eventuali responsabilità di singoli funzionari in sostanza la motivazione della Corte territoriale è più che altro incentrata sulla valenza disciplinare proprio del comportamento di cui alla lettera di contestazione, ininfluenti essendo, rispetto a tale valenza, le ulteriori circostanze evidenziate nel provvedimento sanzionatorio;

ciò rende del tutto superflua ogni valutazione circa l’asserita novità, rispetto all’originaria contestazione, dei fatti emersi nel corso dell’istruttoria disciplinare ed inseriti dall’Ente nel provvedimento applicativo della sospensione dal servizio, visto che tali fatti, nel giudizio della Corte territoriale, non hanno avuto alcuna rilevanza ai fini della proprorzionalità della sanzione;

le circostanze asseritamente nuove sono così, in pratica, divenute prive di valore identificativo della fattispecie, restando ininfluenti sui fatti come originariamente contestati;

2.4. in ogni caso va ricordato che per circostanze nuove, che immutano, cioè, la tipologia dell’illecito, devono intendersi solo quelle che si sostanziano in un “fatto storico” nuovo esso stesso, in quanto mai contestato, non anche quelle, che, fermo il fatto contestato, inteso nella sua “essenza” ed a prescindere da ogni valutazione della sua “gravità”, ne consentano l’apprezzamento quanto al disvalore ed all’incidenza sul piano dello svolgimento del rapporto;

2.5. questa Corte ha già affermato che la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può essere ravvisata in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti a base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, ma solo nel caso in cui tale divergenza comporti in concreto una violazione del diritto di difesa del lavoratore, per essere intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato che si realizza quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa (v. Cass. 12 marzo 2010, n. 6091; Cass. 17 luglio 2018, n. 19023);

2.6. nella specie, la Corte di merito, prima ancora di incentrare la valutazione di proporzionalità solo con riferimento al fatto oggetto dell’originaria contestazione, ha in modo appropriato rimarcato (v. pag. 3 della sentenza impugnata) che “un esame congiunto di entrambi i documenti induce a riscontrare una sostanziale identità tra la condotta inizialmente contestata al dipendente, quella oggetto di confronto in sede disciplinare, quella generante l’impugnata sanzionè atteso che gli ulteriori motivi esposti nel provvedimento conclusivo dell’iter disciplinare non configuravano fatti nuovi, ma erano solo il risultato di quanto precisato dal B. nel corso della sua libera audizione, allorquando egli aveva individuato nella Dott.ssa G. la destinataria delle accuse genericamente formulate nella missiva inviata alla Prefettura”;

2.7. si tratta di motivazione del tutto congrua sul piano logico e corretta sul versante giuridico perchè conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte sulla delibata questione, secondo cui – è bene ribadirlo – il principio della immutabilità della contestazione è volto a garantire il diritto di difesa al lavoratore cui sia ascritta una condotta disciplinarmente rilevante, diritto nella specie non vulnerato, stante la ritenuta ontologica identità dei fatti posti a base della contestazione e del successivo provvedimento sanzionatorio;

3. con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (così, testualmente) per aver la Corte territoriale evidenziato l’ininfluenza del mutamento della tra i fatti contestati e quelli posti a fondamento della sanzione;

4. il motivo è inammissibile;

4.1. alla luce del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass. 6 luglio 2015, n. 13928; v. pure Cass. 16 luglio 2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257);

ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;

pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

4.2. la Corte territoriale, come evidenziato al punto sub 2.6. che precede, ha ben spiegato, con motivazione che certo supera il minimo costituzionale, le ragioni perle quali andava esclusa ogni violazione del principio di immutabilità della contestazione;

5. con il terzo motivo il ricorrente denuncia, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione per aver la Corte territoriale ritenuto l’esistenza di una manifestazione ingiuriosa nei confronti dell’Ente;

5.1. il motivo è inammissibile per le stesse ragioni evidenziate al punto sub 4.1. che precede;

5.2. anche con riferimento alla valutazione della antigiuridicità del comportamento del B. nei confronti dell’Ente, la Corte territoriale ha reso una motivazione (v. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata ed il passaggio argomentativo già sopra evidenziato) che supera certamente il minimo costituzionale;

6. con il quarto motivo e il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 1, 2 e 5 del c.c.n.l. personale non dirigente del comparto regioni e autonomie locali nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per aver la Corte territoriale ritenuto la proporzionalità tra infrazione e sanzione;

7. anche tali motivi non possono essere accolti;

7.1. le censure non chiariscono in quali termini si sarebbe concretata la violazione della norma pattizia denunciata ed i rilievi piuttosto attengono ad un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è esterna all’esatta interpretazione del c.c.n.l. e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 4 aprile 2013, n. 26110; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal sopra del D.L. n. 83 del 2012, citato art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

è, dunque, inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa;

7.2. quanto poi alla denuncia di vizio motivazionale, la stessa ripropone inammissibilmente lo stesso schema censorio dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis;

7.3. in ogni caso, anche con riferimento all’aspetto che qui viene in rilievo, il percorso argomentativo della Corte territoriale in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata rispetto ai fatti contestati (stante in contenuto ictu ocull lesivo dell’immagine dell’Ente datoriale delle frasi offensive e la pubblicità data alle stesse) oltre che alla conformità della stessa alle dettagliate previsioni del c.c.n.l. (individuante espressamente, all’art. 3, comma 5, lett. i), l’utilizzazione di manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’Ente quale condotta idonea a giustificare la sanzione in discussione) supera certamente il minimo costituzionale del sindacato di legittimità nei termini sopra evidenziati;

8. il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

9. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

10. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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