Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28754 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20785/2014 proposto da:

C.M., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCA DE MARCO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati MAURO

RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– intimata con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di COSENZA, depositato il 01/07/2014

R.G.N. 5813/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale Giudice del lavoro di Cosenza, con decreto r.g.n. 5813/2014, ha omologato l’accertamento sanitario reso dal c.t.u. sulla persona di C.M., così riconoscendo la sussistenza di una percentuale di invalidità pari al 90% relativamente alla prestazione della pensione di inabilità civile ed ha condannato la ricorrente alle spese del giudizio di c.t.u, non essendo applicabile la clausola di esonero ex art. 152 disp. att. c.p.c.;

2. per la cassazione del decreto di omologa, ai sensi dell’art. 111 Cost., ricorre Co.Ma. sulla base dei seguenti motivi: 1) violazione ed errata applicazione dell’art. 445 bis c.p.c., in quanto l’esito dell’accertamento doveva ritenersi positivo e non negativo, essendo stato chiesto l’assegno di invalidità civile o la pensione di inabilità; 2) violazione degli artt. 91,92,113 e 116 c.p.c., art. 152 disp. att. c.p.c., art. 2697 c.c., in relazione all’art. 445 bis c.p.c., comma 5, in ragione della condanna al pagamento delle spese di c.t.u. nonostante la parte fosse stata ammessa al gratuito patrocinio;

l’Inps non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo è inammissibile;

2. questa Corte di Cassazione (Cass. n. 26758 del 2016) ha avuto modo di affermare che avverso il decreto di omologa (che segue automaticamente nel caso in cui non sorgano contestazioni) non vi sono rimedi perchè espressamente dichiarato, dal codice di rito, “non impugnabile nè modificabile”: non è soggetto ad appello e a ricorso straordinario ex art. 111 Cost., giacchè il rimedio concesso a chi intenda contestare le conclusioni dell’ausiliare c’è, ma si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia prima della omologa e nel termine fissato dal giudice per muovere contestazioni alla consulenza tecnica;

in assenza di contestazioni si chiude, quindi, definitivamente la fase dell’accertamento sanitario e le conclusioni del consulente tecnico, sulle condizioni sanitarie dell’assistito, sono ormai definitive;

sarebbe illogico attribuire qualunque rimedio impugnatorio avverso l’omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, non abbia colto l’opportunità di contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio su cui la medesima omologa si fonda (cfr. Cass. n. 6085/2014);

solo la contestazione di una delle parti alle conclusioni del consulente tecnico consente l’avvio del procedimento contenzioso, con onere, per la parte dissenziente, di proporre ricorso al giudice, in un termine perentorio, ricorso in cui, a pena di inammissibilità, vanno specificati i motivi della contestazione alle conclusioni dell’ausiliare;

la fase contenziosa, ancora limitata “solo” alla discussione sulla invalidità (vale a dire sulla condizione sanitaria) è circoscritta agli elementi di contestazione proposti dalla parte dissenziente (ricorrente);

solo in questa fase contenziosa si rimettono quindi in discussione, e si disputa, delle conclusioni alle quali il c.t.u. era pervenuto nella fase anteriore ed il giudice può disporre ulteriori accertamenti, nonchè apprezzare direttamente anche la condizione sanitaria;

come già affermato da questa Corte, con la sentenza n. 6085 del 2014, la discrasia tra il parere del consulente tecnico d’ufficio ed il decreto di omologa – che non assevera detto parere, ma lo modifica – risulta irrilevante, dovendosi avere esclusivo riguardo alle conclusioni della consulenza tecnica, alla stregua del meccanismo prefigurato dalla legge, e del tutto ininfluenti i rilievi (eventualmente errati) del giudice contenuti nel decreto di omologa, atteso che in detto provvedimento il giudice medesimo deve limitarsi ad asseverare le conclusioni dell’ausiliare officiato nell’accertamento tecnico e sono queste, e solo queste, che concludono la fase preliminare ove non siano state sollevate contestazioni;

il decreto di omologa – asseverando le condizioni sanitarie dell’assistito accertate dal consulente tecnico officiato – non incide, pertanto, sulle situazioni giuridiche soggettive perchè non conferisce e non nega alcun diritto, dal momento che non statuisce sulla spettanza della prestazione richiesta dall’assistito e sul conseguente obbligo dell’I.N.P.S. di erogarla (cfr. Cass. 6085/2014 cit.);

per converso, solo la statuizione sulle spese, legali e di consulenza, contenuta nel decreto di omologa costituisce, in parte qua, un provvedimento definitivo e decisorio, incidente sui diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile (conseguendone l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., costantemente affermata da questa Corte: v., da ultimo, Cass. sez. sesta-L n. 16519/2016 in continuità con Cass. n. 8932/2015 ed altre numerose conformi);

ne deriva che il decreto di omologa che si discosti dalle conclusioni dell’ausiliare risulta viziato da mero errore materiale, emendabile con la procedura di correzione;

la soluzione si pone in linea con il dichiarato fine dell’introduzione dell’art. 445-bis c.p.c. (realizzare maggiore economicità dell’azione amministrativa, deflazionare il contenzioso, contenere la durata dei processi previdenziali nei termini di ragionevolezza sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come ampiamente argomentato da Cass. 24526/2015, alla quale si rinvia);

in definitiva, per quanto detto, la censurata difformità tra le prestazioni di riferimento indicate in ricorso (pensione di inabilità o assegno di invalidità) costituisce mero errore materiale emendabile con la procedura di correzione di errori materiali e il motivo di ricorso proposto, ex art. 111 Cost., deve dichiararsi inammissibile;

è infondato, inoltre, il secondo motivo alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. n. 1705 del 2017; Cass. n. 14809 del 2012) che ha affermato il principio secondo il quale per effetto dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, gli onorari dovuti al consulente tecnico d’ufficio possono essere prenotati a debito a domanda dello stesso consulente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 131, comma 3, ma ciò non impedisce al giudice di porre le suddette spese, con la decisione, a carico della parte ammessa al patrocinio rimasta soccombente;

in conclusione, il ricorso va rigettato;

non si provvede sulle spese posto che l’INPS si è limitato a depositare procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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