Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28751 del 23/12/2011
Cassazione civile sez. VI, 23/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28751
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 7980-2010 proposto da:
C.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato SEVERA
ENNIO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce
al ricorso;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ ITALIANA PER IL GAS – ITALGAS SPA, Società soggetta
all’attività di direzione e coordinamento dell’ENI SPA, in persona
del procuratore speciale elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
GIUSEPPE MAZZINI, 88, presso lo studio dell’avvocato PIERETTI MARIA
CRISTINA, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 661/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
28/01/09, depositata il 09/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/11/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;
udito l’Avvocato Severa Ennio difensore del ricorrente che si riporta
agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. MARCELLO MATERA che si
riporta alla relazione.
Fatto
MOTIVI
La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.
1. La Corte d’appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, rigettava l’impugnativa proposta da C.L., nei confronti dell’Italgas s.r.l., contro il licenziamento intimatogli il 24.1.2006 per giusta causa.
La Corte, premesso che il licenziamento era stato intimato in riferimento alla norma del contratto collettivo che prevede la possibilità di licenziare il dipendente a seguito del passaggio in giudicato di determinate sentenze di condanna penale, osservava che le prove dedotte dal lavoratore, che non erano state ammesse dal giudice di primo grado, effettivamente risultavano non idonee a dimostrare che la contestazione disciplinare era stata intempestiva rispetto alla conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro e, in particolare, alla conoscenza del passaggio in giudicato delle condanne penali, costituente l’elemento centrale della fattispecie giustificativa del recesso.
2. Il C. ricorre per cassazione con due motivi. La società intimata resiste con controricorso. Memoria del ricorrente.
3. Il ricorso denuncia con il primo motivo violazione delle norme del contratto collettivo di lavoro applicabile ai dipendenti dell’Italgas. Si lamenta in sostanza che il licenziamento sia stato intimato nonostante che l’azienda avesse avuto già conoscenza del procedimento penale per spaccio di stupefacenti cui era stato sottoposto il dipendente, con periodi di applicazione degli arresti domiciliari e avesse constatato la sua condotta irreprensibile successiva. Con il secondo motivo si denunciano vizi di motivazione relativamente alla mancata ammissione di prove aventi ad oggetto le circostanze di cui al primo motivo.
Con il controricorso si eccepisce l’inammissibilità del ricorso perchè mancante di un’adeguata esposizione dei fatti di causa a norma dell’art. 366 c.p.c..
In effetti il ricorso presenta qualche difetto da tale punto di vista, in particolare per la mancanza di una chiara e puntuale esposizione del tenore dell’art. 21 del c.c.n.l., in riferimento al quale è stato intimato il licenziamento, e alla motivazione del licenziamento stesso.
Peraltro appare chiaro che con il ricorso non sono state formulate censure che risultino concludenti rispetto alla ratto deriderteli della sentenza, incentrata sull’osservazione che la circostanza che ha abilitato il datore di lavoro a dare rilievo alla vicenda penale ai fini del licenziamento è stata il passaggio in giudicato delle sentenze penali di condanna (relative a detenzione e spaccio di stupefacenti, come precisato nel ricorso), sicchè rispetto allo stesso licenziamento non era ostativo il fatto che il datore di lavoro fosse precedentemente venuto a conoscenza di fasi (e provvedimenti) antecedenti del giudizio penale.
D’altra parte non risultano formulate in maniera chiara e specifica censure relative alla riconducibilità del licenziamento alle previsioni contrattuali o alla nozione legale di giusta causa.
In ogni caso, il ricorso è basato sulla deduzione di circostanze di fatto – secondo il giudice di appello smentite dalle risultanze documentali, evidenzianti la mancata conoscenze da parte della datrice di lavoro del processo penale prima della sua conclusione – non accertate in sede di merito e, sebbene sia stata censurata per vizio di motivazione la mancata ammissione di prove al riguardo, è mancata la chiara ed esauriente indicazione dei capitoli della prova testimoniale di cui era stata chiesta l’ammissione, sicchè, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte in materia, il motivo è qualificabile come inammissibile (inadeguata specificità per violazione del criterio cd. dell’autosufficienza).
4. In conclusione, il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato e deve essere rigettato.
Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio in Euro trenta per esborsi ed Euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011