Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28751 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 16/12/2020), n.28751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20022/2014 R.G. proposto da:

R.S., in proprio quale socio e pure nella qualità di ex

legale rappresentante della società BI ERRE s.n.c.,

M.M.C., nella stessa veste entrambi rappresentati e difesi giusta

delega in atti dall’avvocato Maria Rita Pitocco (con indirizzo PEC

avvmariarita.pitocco.pecavvocatifrosinone.it) e dall’avvocato Franco

Coculo (con indirizzo PEC franco.coculo.oav.legalmail.it) con

domicilio eletto in Roma, via delle Acacie n. 13 presso lo studio

dell’avv. Alessandro Andreozzi;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria n. 91/02/13 depositata il 28/01/2014 non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

14/10/2020 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di secondo grado ha respinto l’appello della società contribuente e quindi confermato la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento per IVA 2005;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la società e i suoi soci ed ex legali rappresentanti R.S. e M.M.C. con atto affidato a quattro motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, per avere la CTR omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione relativa all’avvenuta estinzione della società ricorrente in data antecedente la notifica dell’avviso di accertamento alla stessa e ai soci;

– il motivo è fondato;

– come indicato in ricorso per cassazione (pag. 6 dell’atto) e come si evince dalla sentenza gravata, effettivamente la BI ERRE s.n.c. risulta cancellata dal registro imprese in data 22 dicembre 2006, in data quindi antecedente alla notifica dell’avviso di accertamento che è avvenuta in data 9 aprile 2010;

– alla luce di tal circostanza, pacifica in atti, la CTR doveva far applicazione dell’ormai consolidato principio in forza del quale “nel processo tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto sia della capacità processuale della stessa sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicchè, non sussistendo alcuna possibilità di prosecuzione dell’azione, la decisione impugnata mediante ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c.” (Cass. sez. trib. n. 33278 del 2018; Cass. sez. trib. n. 5736 del 2016);

pertanto, la sentenza gravata va cassata senza rinvio quanto alla pronuncia sul ricorso della società;

– quanto invece ai ricorsi dei soci, va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6070 del 2013) in forza della quale l’estinzione della società di persone non determina l’estinzione dell’obbligazione tributaria ma il suo trasferimento in capo ai soci che nel caso di società di persone rispondono illimitatamente ex art. 2291 e 2318 c.c.;

– vanno conseguentemente esaminati i motivi di ricorso proposti dai soci ridetti;

– il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48; degli artt. 3,111,113 Cost. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in riferimento all’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciarsi in ordine alle eccezioni relative al mancato accesso, per inerzia dell’Agenzia delle Entrate, dei contribuenti a tali istituti (accertamento con adesione e conciliazione giudiziale) alternativi al contenzioso;

– il motivo è privo di fondamento;

– in disparte il profilo di inammissibilità che lo preclude in quanto privo di autosufficienza, non avendo parte ricorrente trascritto in ricorso il contenuto nè indicato il locus processuale di collocazione degli atti difensivi nei quali l’eccezione è stata formulata nei gradi del merito, la Corte osserva che nel presente caso non sussiste alcuna omissione di pronuncia;

– va, al riguardo, ribadito che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155 del 13/10/2017; n. 29191 del 6/12/2017; in tal senso anche Cass. n. 5351 del 8/3/2007; in ultimo anche Civile Sent. Sez. 5 Num. 11045 Anno 2019);

– in ogni caso, poichè sia l’accertamento con adesione sia la conciliazione giudiziale presuppongono il consenso dell’Amministrazione Finanziaria per potersi perfezionare, non può dedursi la sussistenza di alcun vizio nel mero fatto – costituente in sostanza rifiuto di aderirvi – della mancata risposta dell’Ufficio alle istanze in tal senso del contribuente;

– il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e sulla nullità della pronuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la CTR preso posizione sulle eccezioni riguardanti l’attività di accertamento in via induttiva posto in essere dall’Ufficio, che non avrebbe considerato lo stato dell’immobile e i costi necessari alla sua ristrutturazione e risanamento;

– il motivo è in primo luogo inammissibile in quanto diretto a sollecitare la Corte a una nuova valutazione del meritus causae, in questa sede di Legittimità ovviamente preclusa, ed è in ogni caso infondato poichè la CTR ha invero risposto all’eccezione in parola accertando in fatto come “la società non ha dimostrato, nemmeno in giudizio, i costi effettivamente sopportati” (pag. ultima della sentenza, quarto periodo);

– il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, dell’art. 115 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-5, per avere la CTR sia mancato di ritenere scusabile la condotta dei contribuenti, consistente nella omessa tenuta della contabilità, a fronte del furto della stessa, sia ritenuto non provati i costi relativi alle opera di ristrutturazione dell’immobile sul quale è stata rilevata la contestata plusvalenza, sia reso motivazione carente operando un mero rinvio all’avviso di accertamento e alla sentenza di primo grado;

– quanto al profilo del motivo relativo al furto della contabilità, lo stesso è infondato;

– come si sostiene in ricorso, i lavori di ristrutturazione sarebbero stati eseguiti dall’impresa L.M.; pertanto, a fronte del furto della contabilità, una volta sottoposta a controllo la contribuente società avrebbe ben potuto chiedere a detta impresa Londini copia delle fatture emesse a fronte dei lavori e in osservanza del capitolato di cui a pag. 12 del ricorso per cassazione;

– invero, proprio la giurisprudenza citata da parte ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27448 del 19/11/2008) ritiene invece legittima la irrogazione delle sanzioni e ogni conseguenza negativa per il contribuente che “ha avuto tutto il tempo per tentare almeno di ricostruire la contabilità da opporre ai verificatori”; ebbene in tali casi, secondo la sentenza ut supra citata di questa Corte “deriva la legittimità in punto di diritto dell’accertamento, che rende anche irrilevante la censura di omessa pronuncia”;

– quanto al profilo relativo alla prova dei costi, come già osservato in precedenza, si tratta di profilo di merito il cui esame è evidentemente precluso;

– infine, quanto ai vizi motivazionali dedotti nel motivo in oggetto, gli stessi sono comunque inammissibili;

– infatti, poichè la sentenza risulta depositata in data successiva all’11 settembre 2012, vale a dire il 28 gennaio 2014, trova qui applicazione quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 1108-2012); tal disposizione, per l’appunto applicabile alle sentenze pubblicata a partire dall’11 settembre 2012, quindi anche alla pronuncia qui gravata, consente di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

– conseguentemente, poichè formulata in concreto con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, la censura avente per oggetto il difetto di motivazione non è consentita a deve esser dichiarata inammissibile; è costante l’orientamento di questa Corte nel ritenere (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

– conclusivamente, quindi, la sentenza è cassata senza rinvio quanto alla società; i motivi di ricorso proposti dai soci sono tutti rigettati;

– le spese sono regolate dalla soccombenza.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso e cassa senza rinvio l’impugnata sentenza con riguardo alla società ricorrente; rigetta i restanti motivi proposti dai soci; liquida le spese in Euro 7.900,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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