Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2875 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 03/02/2017, (ud. 21/11/2016, dep.03/02/2017),  n. 2875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15484-2013 proposto da:

FILZI 25 SRL A SOCIO UNICO IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA

SCROFA 37, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO ZOPPINI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE PIZZONIA,

GIUSEPPE RUSSO CORVACE, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 176/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 10/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZOPPINI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo

di ricorso e l’assorbimento dei restanti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di una verifica fiscale condotta nei confronti della FILZI 25 s.r.l. a socio unico, in liquidazione, le cui risultanze risultano compendiate in un processo verbale di constatazione notificato alla contribuente in data 13 aprile 2010, l’Agenzia delle entrate accertava che la predetta società in data 30 giugno 2005 si era resa acquirente di un immobile sito in (OMISSIS) di proprietà della Unipol Assicurazioni s.p.a. versando il prezzo di Euro 32.900.000,00; che in sede di redazione del bilancio aveva iscritto tra le rimanenze finali il valore di presumibile realizzo, stimato in Euro 30.400.000,00, al netto degli oneri accessori, con conseguente contabilizzazione di una svalutazione di Euro 2.500.000,00; che in data 18 dicembre 2016 aveva venduto l’immobile al prezzo complessivo di Euro 30.891.304,00. Ritenendo che l’operazione commerciale sopra descritta fosse priva di valida ragione economica, l’Amministrazione finanziaria notificava alla società contribuente un avviso di accertamento con cui recuperava a tassazione la somma di Euro 500.000,00 corrispondente all’IVA dovuta sull’importo della svalutazione contabilizzata in bilancio.

2. Il ricorso proposto dalla società contribuente avverso detto atto impositivo veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano e stessa sorte subiva l’appello proposto alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

2.1. Nella sentenza n. 176 del 10 dicembre 2012 la Commissione di appello sosteneva che la mera differenza negativa tra il prezzo di acquisto e quello di vendita dell’immobile rendeva l’operazione antieconomica e che, da un lato, le giustificazione addotte dalla società non erano nè provate nè plausibili e che il convincimento, cui era pervenuta la Commissione, non era adeguatamente contrastato dalla circostanza che la società avesse percepito, a seguito del trasferimento del possesso dell’immobile anticipato all’atto di stipula del contratto preliminare, canoni di locazione superiori a quanto pagato per oneri finanziari, posto che la somma algebrica portava comunque ad una perdita. Riteneva, altresì, insussistenti i motivi di inapplicabilità delle sanzioni comminate o di riduzione delle stesse.

3. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione la società contribuente sulla scorta di quattro motivi (di cui il terzo articolato in due submotivi tra loro alternativi), illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., cui non replica l’intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere la CTR implicitamente rigettato il motivo di appello con cui aveva dedotto la nullità e comunque l’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del principio del contraddittorio anticipato, dato che la contestazione afferente l’indebita detrazione dell’IVA era stata formulata per la prima volta nell’avviso di accertamento.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

2.1. In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali è principio giurisprudenziale assolutamente condivisibile quello secondo cui, per i tributi c.d. armonizzati, “l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa” (Cass. S.U., n. 24823 del 2015; conf., tra le tante, Cass. n. 11283 del 2016).

Nella specie la ricorrente avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio preventivo con l’ufficio finanziario le ragioni che ha addotto nel secondo motivo di ricorso (di seguito esaminato) e, più precisamente, la circostanza che la ripresa a tassazione operata nella specie dall’ufficio si pone in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA, poichè relativa ad un importo per il quale era stata emessa regolare fattura e l’IVA in essa indicata regolarmente pagata e portata in detrazione, corrispondendo ad un’operazione commerciale di compravendita di immobile – quella oggetto di verifica – regolarmente e concretamente effettuata. E’ quindi invalido l’avviso di accertamento impugnato, in quanto emesso in violazione del principio sopra enunciato.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 e art. 19, comma 1.

Sostiene la ricorrente che, a prescindere dalla congruità del prezzo di cessione del complesso immobiliare, l’IVA era stata regolarmente fatturata, pagata e portata in detrazione in quanto versata in relazione a somme effettivamente corrisposte, cosicchè il recupero a tassazione dell’IVA sulla parte (pari ad Euro 2.500.000,00) di prezzo versato era illegittimo in quanto in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.

4. Il motivo è fondato.

4.1. Con riferimento al diritto alla detrazione di imposta, cui è speculare la questione, che qui viene in rilievo, della legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui chiunque svolga un’attività economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata compressione di componenti positivi di reddito, l’orientamento di questa Corte (v. Cass. n. 12502 del 2014 e n. 22130 e n. 22132 del 2013 per compiutezza di argomenti, di cui agli ampi stralci di seguito citati), è fermo nel ritenere:

a) che i principi affermati in materia di imposte sui redditi, secondo cui rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (cfr. Cass. n. 12813/2000 con riferimento all’ILOR; Cass. n. 9497/2008 e Cass. n. 3243/2013, Cass. n. 1711/2007 con riferimento all’IRPEG; Cass. n. 7487/2002; Cass. n. 10802/2002; Cass. n. 5463/2003; Cass. n. 398/2003; Cass. n. 19150/2003), non sono immediatamente ed automaticamente applicabili in materia di detraibilità del tributo IVA che, com’è noto, è tributo armonizzato alla disciplina introdotta dapprima con la sesta direttiva CEE e, da ultimo, con la dir. 2006/112/CEE;

b) che il sistema comune dell’IVA è ispirato al principio della neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purchè queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’IVA (v., segnatamente, sent. 21 giugno 2012, Gabalfrisa e a., punto 44; sent. 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, p. 78; sent. 21 giugno 2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben e David, p. 39; sent. 6 settembre 2012, C-324/1 I, Gabor Toth, p. 24);

c) che, infatti, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa unionale (v., in particolare, sentenze 25 ottobre 2001, Commissione/Italia, C-78/00, punto 28; 10 luglio 2008, Sosnowska, C-25/07, punto 14; 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria, C-274/10, punto 42), il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, come previsto sia dalla sesta Direttiva che dagli artt. 167 e segg. della vigente direttiva 2006/112/CEE, la Corte di Giustizia avendo più volte sottolineato la centralità di tale diritto nel meccanismo dell’IVA; diritto che, in linea di principio ed ordinariamente, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche, con un meccanismo che consente la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorchè il bene o servizio viene reso al consumatore finale;

d) che, infatti, la normativa unionale riconduce il diritto alla detrazione alla sola esigibilità ed inerenza dell’acquisto del bene o servizio, senza contemplare alcun riferimento, e comunque non in modo diretto, al valore del bene o servizio, al punto che, anche per la Corte Europea, la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato appare irrilevante (Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C412/03, Hotel Scandic Gasabach, p.22);

e) che, pertanto, il diritto alla detrazione può essere negato solo ove sia dimostrato dall’amministrazione finanziaria, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato dall’imprenditore fraudolentemente o abusivamente (Corte giustizia, sent. 21 giugno 2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben e David, p. 42 e giurisprudenza ivi citata), mentre in condizioni normali non è consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico; infatti, secondo la Corte di giustizia non vi sarebbe elusione od evasione fiscale se anche i beni o i servizi sono forniti a prezzi artificialmente bassi o elevati fra le parti, che godano entrambe del diritto a detrazione IVA, essendo solo a livello del consumatore finale che può ricorrere perdita di gettito fiscale (Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan, p.47);

f) che, allora, il diritto alla detrazione potrà essere negata dall’amministrazione finanziaria allorchè la riscontrata antieconomicità dell’operazione commerciale rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA, e perciò se l’amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, nel qual caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta, potendo altresì accadere che l’antieconomicità costituisca indizio di abuso del diritto che, com’è noto, presuppone un uso “artificioso” di una forma giuridica e cioè l’uso concreto di essa non per l’affare per il quale essa è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale.

4.2. Orbene, applicati tali principi al caso di specie, in cui neanche è posta in discussione l’effettività dell’acquisto immobiliare effettuato dalla società contribuente, spettava all’amministrazione finanziaria fornire la prova – nella specie mancante e neanche desumibile dagli elementi di valutazione emergenti ex actis – dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione (che, si ricorda, è consistita nell’acquisto di un fabbricato per l’importo complessivo di Euro 32.900.000,00, con successiva iscrizione tra le rimanenze finali di un valore di presumibile realizzo di Euro 30.400.000,00, al netto degli oneri accessori, con conseguente contabilizzazione di una svalutazione di Euro 2.500.000,00 e, quindi, di vendita del medesimo al prezzo di Euro 30.891.304,00 dopo che la società, entrata nell’immediato possesso del bene ne aveva riscosso i canoni di locazione) o del carattere abusivo o elusivo di tale operazione, cosicchè ha errato la CTR che ha escluso la detraibilità di un costo sicuramente sostenuto dalla società contribuente peraltro assumendo l’esistenza di un danno erariale di fatto insussistente, essendo pacifica la regolarità, ai fini fiscali, dei passaggi fra prestatore e committente che non ha cagionato alcuna perdita in danno dell’erario.

5. Sulla base di tali considerazioni va accolto il motivo di ricorso in esame con conseguente assorbimento, per sopravvenuta carenza di interesse, del terzo motivo di ricorso – con cui viene dedotta l’insufficiente motivazione della sentenza gravata in relazione al rigetto del motivo di appello proposto con riferimento alla dedotta corrispondenza dell’operazione commerciale in esame a criteri di economicità – e del quarto motivo – con cui viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo di gravame proposto con riferimento all’inapplicabilità sub specie delle sanzioni amministrative pecuniarie.

6. Conclusivamente, quindi, vanno accolti il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata e, non essendovi ulteriori accertamenti fattuali da compiere, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente. Le spese di questo giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia delle entrate nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, maggiorate del rimborso delle spese forfettarie, nella misura che si reputa congruo indicare nel 15% del compenso, e degli accessori di legge, mentre le spese dei giudizi di merito vanno compensate tra le parti in ragione del recente consolidamento della giurisprudenza in materia. Deve altresì darsi atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società ricorrente. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, compensando tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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