Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28748 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/11/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13420/2017 proposto da:

S.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli Avvocati CARLO BOSSO e GIUSEPPINO BOSSO giusta delega

in atti.

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA, NICOLA VALENTE

in virtù di procura speciale in atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 3084/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 06/02/2017 R.G.N. 11498/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito

l’Avvocato MANUELA MASSA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza del 15 dicembre 2016 – 6 febbraio 2017 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da S.S. nei confronti dell’INPS, avverso la sentenza del Tribunale di Torino che aveva respinto la opposizione, presentata dal S. medesimo, all’accertamento tecnico-preventivo ex art. 445 bis c.p.c., diretto al ripristino della indennità di accompagnamento revocata a seguito di visita di revisione dell’8.8.2012.

2. A fondamento della decisione i giudici di legittimità hanno rilevato la manifesta infondatezza del ricorso escludendo l’asserita dedotta violazione del principio del giudicato e hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite non sussistendo le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c., per l’esonero in relazione alla necessaria indicazione, fin dall’atto introduttivo del giudizio, dell’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma.

3. Ha proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza predetta S.S. articolato su due motivi, al quale ha opposto difese con controricorso l’INPS.

4. Gli atti sono stati inviati, con provvedimento n. 18866/2018, dalla Sesta Sezione di questa Corte per la definizione in pubblica udienza.

5. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo si denunzia la sussistenza dei presupposti previsti dal combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, per avere la Suprema Corte dato per accertato un fatto assolutamente inesistente, e cioè che tra la data dell’11.11.2011 di passaggio in giudicato di una precedente sentenza del Tribunale di Torino (che aveva condannato l’INPS a ripristinare l’indennità di accompagnamento a far data da una precedente visita di revisione del 22.11.2010) e la data dell’8.8.2012 della successiva visita di revisione (oggetto del giudizio) le condizioni sanitarie del S. fossero migliorate in misura tale da fare venire meno il diritto a continuare a percepire la prestazione. Si rappresenta, sul punto, che l’unico accertamento demandato al CTU aveva riguardato la sussistenza del requisito sanitario della prestazione assistenziale alla data della visita di revisione, in assenza di ogni confronto con l’accertamento della condizione clinica consacrata nel giudicato.

3. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, si lamenta la violazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., perchè, contrariamente a quanto rilevato, già con il ricorso iniziale, poi con l’atto di opposizione alle conclusioni del consulente e con il ricorso in cassazione, erano stati prodotti i documenti attestanti la sussistenza del requisito reddituale per l’esonero tanto delle spese di causa che del contributo unificato e che, alla pagina 10 del ricorso per cassazione, era stato evidenziato che, nell’anno 2013, il reddito conseguito dal nucleo familiare era stato inferiore sia a quello previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c., sia a quello previsto ai fini del versamento del contributo unificato.

4. Osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’art. 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e segg..

5. Si ha errore di fatto, risultante dagli atti o documenti della causa, ex art. 395 c.p.c., n. 4, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.

6. L’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicchè i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di errore di fatto denunciabile mediante impugnazione per revocazione (Cass. 6.12.2018 n. 31563).

7. L’errore revocatorio non può, quindi, riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (ex plurimis cfr. Cass. n. 27094/2011; Cass. n. 5075/2008).

8. Orbene, l’errore denunciato con il primo motivo non sussiste, alla luce di quanto sopra evidenziato, perchè l’asserito errore in realtà è conseguenza di una valutazione sul concetto di giudicato esterno in materia previdenziale – in un contesto fattuale in cui era intervenuto un successivo parere medico legale acquisito in altro giudizio relativamente alla richiesta di ripristino dell’indennità di accompagnamento revocata-, operata dal Collegio della Suprema Corte e, in quanto tale, costituisce eventualmente errore di diritto e non errore di fatto.

9. Esso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

10 In ordine al secondo motivo, preliminarmente va considerato che lo stesso, a prescindere dalle norme indicate nella sua in rubrica, deve essere inteso come vizio revocatorio avendo parte istante espressamente chiesto, a pag. 20 del ricorso, la revocazione del capo della sentenza relativo alla condanna alle spese per mancato esame della documentazione prodotta ai fini dell’esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c..

11. Deve, quindi, prevalere una interpretazione sostanziale della censura, sussistendo gli elementi contenutistici ai fini della sua corretta qualificazione, rispetto alla mera configurazione formale del vizio (cfr. Cass. n. 12690/2018; Cass. n. 17931/2013).

12. Ciò premesso in tema di ammissibilità della censura, ritiene il Collegio che il motivo è fondato perchè l’ordinanza impugnata per revocazione, quanto al regolamento delle spese di lite, è evidentemente fondata su un presupposto di fatto erroneo, ossia sull’avere ritenuto che non sussistevano le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c., per l’esonero del pagamento delle spese processuali, mancando l’indicazione, fin dall’atto introduttivo del giudizio, dell’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma.

13. Si tratta di un mero errore di percezione su una circostanza di fatto che emergeva con evidenza atteso che il S., in tutti gli atti del primo grado e del ricorso per cassazione, e nelle richiamate ed allegate attestazioni (sufficientemente ed adeguatamente indicate anche nella loro collocazione processuale), dichiarava un reddito, conseguito da sè e dal proprio nucleo familiare, inferiore alla soglia limite per ottenere l’esenzione dal pagamento ex art. 152 disp. att. c.p.c..

14. Non vi è dubbio che l’errore sia stato decisivo in relazione al regolamento delle spese di lite e che il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.

15. L’ordinanza impugnata, dunque, deve essere revocata, previo accoglimento del secondo motivo, quanto al regolamento delle spese di lite che, in sede rescissoria, devono essere dichiarate non dovute ex art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile.

16. Le spese del giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico dell’INPS, giacchè l’Istituto ha resistito all’accoglimento del ricorso, del quale ha eccepito la totale inammissibilità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, dichiarato inammissibile il primo; revoca la ordinanza n. 3084/2017 della Corte di Cassazione, in ordine alle statuizioni sulle spese e decidendo in sede rescissoria sul ricorso n. 11498/2014, limitatamente a tale capo, dichiara che nulla è dovuto da S.S. per spese processuali. Condanna l’INPS alla rifusione delle spese processuali di questo giudizio che si liquidano in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore dei Procuratori del ricorrente dichiaratisi antistatari.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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