Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28740 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 09/11/2018), n.28740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14101-2013 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SANNIO 61, presso

lo studio dell’avvocato VINCENZO ANTONIO LA CORTE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE UFFICIO CONTROLLI DI ROMA

(OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 83/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 11/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/10/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. P.R. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 83/6/12 dell’11 aprile 2012, con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione per imposta di registro ed Invim notificatogli dalla agenzia delle entrate il 15 luglio 2005. Ciò con riguardo all’atto di divisione 15 maggio 1991 con il quale gli veniva dai condividenti attribuito, a tacitazione di quota ideale, un terreno agricolo in Comune di Roma, il cui valore era stato rettificato dalla amministrazione finanziaria con avviso di accertamento da lui impugnato in giudizio di opposizione definito dalla CTR Lazio con sentenza (in giudicato) n. 71/12/2002.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: l’avviso impugnato aveva ad oggetto la liquidazione dell’imposta rinveniente da un avviso di accertamento ormai definitivo, perchè dedotto nella citata sentenza n. 71/12/2002, in giudicato; – erroneamente il primo giudice (CTP Roma 404/29/2009) aveva accolto il ricorso del contribuente (invece di dichiararlo inammissibile) dando ingresso a questioni relative, non a vizi propri dell’avviso di liquidazione, ma al merito, ormai inoppugnabile, della pretesa; – gli effetti del suddetto giudicato non erano inficiati dalla definizione per condono da parte del contribuente, atteso che la prima istanza di definizione (ex L. n. 413 del 1991) concerneva un atto (successorio) diverso da quello in oggetto (divisionale), mentre, in relazione alla seconda istanza di definizione (L. n. 289 del 2002, ex art. 16) il contribuente, secondo quanto riferito dall’ufficio e non opposto dal P., aveva versato una somma irrisoria rispetto a quanto effettivamente dovuto.

L’agenzia delle entrate ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale discussione.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso il P. lamenta violazione e/o erronea applicazione delle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 82,83 e 84 c.p.c. – assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia. Per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato sulla sua eccezione di inammissibilità, se non inesistenza, dell’atto di appello avversario, attesa la mancata specificazione, in esso, dell’atto amministrativo in forza del quale il funzionario firmatario era stato investito dei relativi poteri e dello jus postulandi.

p. 2.2 Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, la doglianza non si fa carico del fatto che – qualora si fosse davvero in presenza di omessa pronuncia da parte della commissione tributaria regionale sulla relativa eccezione di carenza di potere rappresentativo e di jus postulandi – non di carente motivazione si tratterebbe ma, se mai, di violazione dell’art. 112 c.p.c.. Norma processuale non invocata dal P., e la cui contravvenzione, comunque, sarebbe stata suscettibile di ricorso per cassazione sotto il diverso profilo della nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

In secondo luogo, essa appare del tutto generica, perchè non indica se, ed in quali termini, il P. avesse specificamente sostenuto – al di là della generica mancanza, nell’atto di appello dell’agenzia delle entrate, dell’indicazione degli estremi di protocollo della delega interna di funzione l’effettiva insussistenza ed usurpazione del potere rappresentativo dell’ufficio da parte del firmatario dell’appello stesso, tal dott. P.V..

In terzo luogo, correttamente la tesi sostenuta dal P. non ha trovato comunque seguito nella sentenza impugnata, dovendosi qui richiamare il consolidato indirizzo di legittimità, secondo cui “In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicchè è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza” (Cass. 6691/14); ed ancora: “In tema di contenzioso tributario, la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza” (Cass. 15470/16).

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso il P. lamenta violazione e/o erronea applicazione dell’art. 342 c.p.c.; assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la mancanza di specificità degli avversari motivi di appello, in realtà concretanti nuove doglianze sulla rilevanza e valenza probatoria della documentazione da lui prodotta a riprova delle distinte domande di condono proposte ai sensi delle leggi 413/91 e 289/02.

p. 3.2 Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, esso non indica sotto quale profilo i motivi di appello proposti dalla agenzia delle entrate fossero inammissibili per violazione dell’onere di specificità; e ciò sia nelle modalità della loro formulazione in sè considerata, sia in rapporto al tenore motivazionale della prima decisione. Tale indicazione risultava tanto più necessaria a fronte di quanto esposto dalla commissione tributaria regionale nello svolgimento del giudizio, ed attestante – all’esatto opposto – il fatto che l’agenzia delle entrate avesse, nei suoi motivi di gravame, adeguatamente specificato l’errore nel quale era asseritamente caduta la commissione tributaria provinciale. Insito nell’aver dato ingresso (in luogo di pronuncia di inammissibilità del ricorso introduttivo) a questioni di merito impositivo, nonostante che il giudizio avesse ad oggetto unicamente un avviso di liquidazione non impugnato per vizi suoi propri, ed emesso successivamente ad un giudicato di debenza. La commissione tributaria regionale dà altresì atto dell’ulteriore specifico motivo di appello proposto dall’agenzia, e concernente l’affermata estraneità ai fini di causa (erroneamente negata dal primo giudice) tanto del condono ex 1.413/91, quanto della definizione ex I. I. 289/02. Dal che può evincersi che, contrariamente all’assunto del ricorrente, la commissione tributaria regionale si è fatta carico di questo particolare profilo di ammissibilità dell’appello (in rapporto alla ratio della prima decisione) e di tutela del contraddittorio, implicitamente disattendendo l’eccezione di genericità.

In secondo luogo, la doglianza in esame ha inteso corroborare l’assunto di genericità dei motivi di appello richiamando il fatto che l’agenzia delle entrate avrebbe formulato, in sede di gravame, ‘nuovè considerazioni critiche sulla rilevanza delle pregresse procedure di condono e definizione; con ciò indebitamente sovrapponendo al tema della specificità dei motivi il tutt’affatto diverso profilo del novum in appello, eventualmente rilevante come violazione del divieto generale di cui all’art. 345 (e non 342) c.p.c., richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso il P. deduce violazione e/o errata applicazione del combinato disposto della L. n. 413 del 1991, artt. 53 e 57 e della L. n. 289 del 2002 – carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia – travisamento degli elementi di natura istruttoria acquisiti. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato: – l’efficacia preclusiva ex tunc derivante dalla duplice definizione per condono e, segnatamente, dalla irrevocabilità della dichiarazione integrativa di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 57 e dal versamento sulla base del valore della lite pendente (poi definita con la citata sentenza CTR Lazio n. 71/12/02) L. n. 289 del 2002, ex art. 16; – la decadenza nella quale l’amministrazione finanziaria era incorsa D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 76 non essendo nella specie applicabile (adesione al condono) la proroga biennale di cui all’articolo 10 I. 289/02; – la preclusione da parte dell’amministrazione finanziaria all’accertamento di maggior valore sulla base dell’atto divisionale, in quanto privo di conguagli e di natura meramente dichiarativa e non traslativa; – l’insussistenza di materia imponibile Invim, stante l’assenza di conguagli divisionali e la conformità del valore dichiarato all’entità della quota millesimale assegnatagli; – la sussistenza di effetti a lui favorevoli derivanti da due sentenze CTP Roma, in giudicato (nn. 327/59/07 e 188/56/09).

p. 4.2 Il motivo è inammissibile.

Esso è infatti costituito da un vero e proprio coacervo di eccezioni ed argomenti: – eterogenei (condono, decadenza, natura giuridica dell’atto di divisione; congruità di valore della quota assegnata; presupposti Invim; non meglio precisati effetti di diversi giudicati); – non adeguatamente illustrati nelle modalità e tempi della loro (eventuale) pregressa introduzione in giudizio (nel rispetto delle preclusioni e di quel divieto di novità che il P., pure, contesta nel contegno processuale avversario); scollegati dalla ratio decidendi effettivamente adottata dal giudice regionale e necessitante – essa sola – di puntuale critica demolitiva.

E quest’ultimo aspetto appare dirimente nel senso della evidenziata inammissibilità del motivo per difetto di pertinenza. Atteso che la commissione tributaria regionale ha riformato la prima decisione proprio perchè: – il presente giudizio aveva ad oggetto un mero avviso di liquidazione, e non l’accertamento di debenza sostanziale dell’imposta, così da poter essere impugnato solo per vizi suoi propri (non dedotti dal contribuente); – il presupposto avviso di accertamento era ormai coperto da giudicato (CTR Lazio n. 71/12/2002) in ordine a tutti i profili inammissibilmente contestati dal contribuente (il che doveva valere, tra l’altro, anche per la decadenza dell’amministrazione finanziaria, ove effettivamente dedotta, ricorrendo nella specie unicamente il termine decennale di prescrizione conseguente ad actio iudicati); – le procedure di condono (poste in essere prima del giudicato così formatosi) non rimuovevano la preclusione perchè, o relative ad un diverso atto di trasferimento del terreno (non la divisione, ma la successione del P. Vito Rocco), o perchè non perfezionatesi per mancato versamento del dovuto (L. n. 289 del 2002). Questi, e non altri, erano gli aspetti che il ricorrente avrebbe dovuto specificamente censurare, senza limitarsi – per un verso a ripetere tesi già argomentatamente disattese dalla commissione tributaria regionale, e senza dedurre – per altro verso – una congerie di altre ed inconferenti eccezioni sostanziali e procedimentali. Nulla si provvede sulle spese, stante il mancato espletamento di attività difensiva da parte dell’agenzia delle entrate.

P.Q.M.

– dichiara inammissibile il ricorso;

– ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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