Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2874 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. III, 06/02/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 06/02/2020), n.2874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15159/2018 proposto da:

L.F.G., M.P., domiciliati ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIANFRANCO GRASSO;

– ricorrenti –

contro

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 6,

presso lo studio dell’avvocato GUALTIERO CANNAVO’, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1250/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 27/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.P. e L.F.G. ricorrono, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Messina che, confermando la pronuncia del Tribunale, aveva respinto la domanda volta ad ottenere la condanna di F.A., proprietaria della porzione dell’immobile confinante con quello di loro proprietà, al risarcimento dei danni derivanti dall’abbattimento della sua porzione di fabbricato, posto in essere mediante il taglio dei muri maestri e la parziale demolizione dell’originaria fondazione dell’unico preesistente fabbricato.

1.1. I ricorrenti avevano altresì domandato, con esito per loro sfavorevole, che fosse dichiarato che il muro comune che divideva, prima della demolizione, i due immobili, era divenuto il muro perimetrale della parte di fabbricato non demolita, e conseguentemente di loro esclusiva proprietà.

2. Ha resistito la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducono la violazione dell’art. 116 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale aveva valutato la prova “legale” costituita dagli atti pubblici ed i contratti di compravendita fornita sin dalla loro costituzione in giudizio, in violazione della regola che richiama il libero apprezzamento del giudice; prospettano, altresì, la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui i giudici d’appello avevano affermato che “i titoli” non erano stati messi a disposizione della Corte.

1.1. Il motivo è inammissibile in ordine ad entrambi i profili prospettati.

In relazione alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la censura è, infatti, inammissibile, ex art. 348 ter c.p.c., ratione temporis applicabile al caso in esame, in quanto la pronuncia d’appello ha confermato, con le stesse motivazioni, la sentenza di primo grado.

1.2. In relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, inoltre, la censura oltre ad essere priva di autosufficienza, in quanto non riporta la sede in cui gli atti pubblici possono essere rinvenibili, è anche illogica perchè, pur ammettendo che il frazionamento aveva creato due porzioni di fabbricato, continua a riferirsi alla situazione catastale antecedente e richiede una rivalutazione dei fatti già esaminati dalla Corte in modo congruo, logico ed al di sopra della sufficienza costituzionale.

1.3. A ciò si aggiunge che la complessiva censura difetta di decisività in quanto, come rilevato anche dal controricorrente nelle memorie depositate, non è stata impugnata la statuizione secondo cui, comunque, non era stato riscontrato alcun danno: conseguentemente, la definitività della sentenza su tale questione, oltretutto fondamentale nell’economia dell’intera controversia, non avrebbe comunque consentito di esaminare la complessiva doglianza (cfr. al riguardo Cass. SU 7931/2013; Cass. 4293/2016; Cass. 3633/2017; Cass. 16314/2019)

2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 883 c.c.: assumono che la Corte d’Appello non aveva considerato che il muro divisorio nel fabbricato era divenuto muro perimetrale esclusivo della residua porzione dell’originario edificio con la conseguenza che la convenuta, “superando” il diritto di comunione e “trasformandolo” in diritto di proprietà esclusiva del muro, aveva di fatto rinunciato ad essa ed aveva, per contro, omesso di edificare il tratto di muro perimetrale indicato nel progetto, realizzandolo in modo difforme.

2.1. Il motivo è infondato.

La Corte, sulla base dell’accertamento del Genio Civile e della CTU ha ritenuto, con percorso argomentativo logico e convincente che non c’era stata alcuna rinuncia alla comunione, posto, oltretutto, che la norme invocata consente ma non obbliga il proprietario a rinunciare alla comunione (cfr. pag. 7 ed 8 sentenza impugnata).

2.2. In buona sostanza la previsione della edificazione di un ulteriore muro perimetrale, poi non realizzato, non fa, di per se, venire meno le caratteristiche ed il regime giuridico del muro preesistente.

2.3. A ciò consegue che sulla base della ricostruzione della Corte, aderente al parere del Genio Civile, la violazione della norma invocata risulta insussistente, dovendosi ritenere intatto il regime giuridico previgente alla demolizione.

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono, infine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2733 e 2735 c.c.: lamentano che la Corte d’appello non aveva assegnato alla documentazione prodotta dalla controparte (richiamata a pag. 13 e 14 del ricorso) la evidente valenza confessoria.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. In primo luogo, infatti, la documentazione è stata espressamente esaminata dalla Corte territoriale (cfr. pag. 8 e 9 della sentenza impugnata) che ha reso sul punto una motivazione coerente ed al di sopra della sufficienza costituzionale: quindi, la censura si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali già adeguatamente esaminate.

3.3. In secondo luogo, vale la considerazione sopra formulata relativa alla non decisività della censura (cfr. argomentazioni al par. 1.3.) in quanto non è stato riscontrato dal CTU alcun danno strutturale e la relativa statuizione non è stata oggetto di impugnazione.

4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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