Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2874 del 05/03/2021

Cassazione civile sez. I, 05/02/2021, (ud. 15/09/2020, dep. 05/02/2021), n.2874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.A., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.

Giovanna Frizzi, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio

in Trento, via Petrarca 8;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS)), rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura generale dello Stato, e domiciliato nei suoi uffici

di Roma, via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento, depositata il

25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 81/2019 del 25 marzo 2019, la Corte d’appello di Trento ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Trento del 15 dicembre 2017, con cui era stato rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Avverso la sentenza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14 nonchè l’omessa ed erronea valutazione delle condizioni di sicurezza dello Stato di provenienza ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria; 2) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria in merito alla sussistenza dell’ipotesi di danno grave, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b); 3) la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 25, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 per la mancata valutazione della situazione del paese di origine, nonchè della vulnerabilità e della integrazione in Italia del ricorrente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria; 4) l’omessa decisione della Corte d’appello sulla domanda di rilascio di permesso soggiorno per motivi umanitari, per la mancata considerazione del principio di non refoulement.

3. L’amministrazione intimata si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale discussione della causa, senza formulare deduzioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze del ricorrente – che possono essere trattate congiuntamente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti ai giudici di merito, in relazione a una asserita situazione di persecuzione e minaccia alla quale il richiedente sarebbe sottoposto nel suo paese di origine ((OMISSIS)), essendo egli fuggito dal suo villaggio per le persecuzioni operate da una fazione rivale a seguito dell’uccisione di una donna da parte di un suo cugino. Sul punto, la sentenza impugnata reca una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – laddove evidenzia che la versione dei fatti fornita dall’interessato, anche qualora fosse da ritenere credibile, si riferisce comunque ad una contesa di natura privatistica con altra famiglia e che le situazioni che legittimano la protezione possono essere legate a vicende relative a rapporti fra privati, gruppi o formazioni solo qualora vi sia una situazione in cui lo Stato non sia in grado di consentire una protezione effettiva dei diritti fondamentali, impedendo atti persecutori o danni gravi. Così argomentando, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di protezione internazionale, le liti tra privati non possono essere addotte quale causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, nelle forme dello “status” di rifugiato, in presenza di atti di persecuzione, e della protezione sussidiaria, in presenza di serio ed effettivo rischio di subire danno grave in caso di rimpatrio (ex plurimis, Sez. 2, n. 19258 del 16/09/2020, Rv. 659126). E la Corte di secondo grado ha ben evidenziato come la situazione riportata dal ricorrente, non riferibile ad una persecuzione personale, non possa essere posta a fondamento neanche della protezione umanitaria, non avendo egli delineato specifici profili di vulnerabilità, ed essendosi limitato ad un generico richiamo ad una produzione documentale che sarebbe relativa al suo inserimento sociale. Nè questa Corte può prendere autonomamente in considerazione l’asserita patologia dalla quale il ricorrente sarebbe affetto, non avendo lo stesso compiutamente dedotto di avere sottoposto la relativa documentazione medica all’esame dei giudici di merito, nè di avere formulato specifiche censure in tal senso in grado di appello. Più in generale, deve rilevarsi che, in ogni caso, la sentenza impugnata contiene, ai fini sia della protezione sussidiaria che di quella umanitaria, puntuali riferimenti a documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, che esclude la configurabilità di situazioni di pericolo generalizzato, nell’area geografica di provenienza.

2. Nulla è dovuto per le spese dalla ricorrente soccombente, non avendo la controparte costituita formulato deduzioni.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

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