Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28739 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 09/11/2018), n.28739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24411/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Corenco s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Pietro Giorgis e dall’Avv.

Piergiorgio Villa, come da procura speciale a margine del ricorso,

elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma, Via

Donatello, n. 23;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 86/35/2013, depositata il 6 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 settembre

2018 dal Consigliere Dr. Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. In data 22-4-2010 la Corenco s.r.l. presentava richiesta di rimborso ai fini Iva per la somma di Euro 200.000,00, con riferimento all’anno 2009, ma l’Agenzia delle entrate con provvedimento del 21-5-2010 sospendeva il rimborso, per la pendenza di un contenzioso tributario avente ad oggetto gli anni 1998-2000 (Euro 1.736.183,17 per gli anni 1998, 1999 e 2000).

2 .La società, quindi, depositava garanzia e documentazione per dimostrare l’inesistenza dell’asserito debito, in quanto l’avviso di accertamento era stato annullato dalla Commissione tributaria provinciale e l’appello dell’Agenzia era stato respinto dalla Commissione tributaria regionale.

3. La società proponeva ricorso per il mancato rimborso, evidenziando la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, non essendo applicabile tale norma, e l’illegittimità della richiesta della polizza fideiussoria, essendo inesistente l’asserito debito della Corenco.

4. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso.

5. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dall’Ufficio, rilevando che il credito della società era certo, liquido ed esigibile, mentre il credito dell’amministrazione finanziaria verso la contribuente era assolutamente incerto ed aleatorio, riguardante diverse annualità, anche se la Cassazione aveva cassato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale, favorevole alla contribuente.

6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

7. Resisteva con controricorso la contribuente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce “Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto illegittimo il provvedimento di sospensione del rimborso, che però era stato chiesto non per la inesistenza della ragione di credito vantata, ma per la sussistenza di un controcredito erariale.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto nuovo.

Invero, l’Agenzia delle entrate ha sospeso il rimborso Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, in quanto esisteva un controcredito della Amministrazione nei confronti della contribuente.

Pertanto, essendo ben diversi i presupposti per procedere alla sospensione del pagamento ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis (basti considerare la necessaria sussistenza di alcune tipologie di reati), rispetto a quelli posti a fondamento della fattispecie generale di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, il motivo articolato con il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate è inficiato da inammissibilità per novità della doglianza, rispetto a quella fatta valere nei giudizi di merito.

1.2. Per completezza di analisi di rileva che il R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 prevede che “qualora una amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”.

Per la giurisprudenza di questa Corte il potere di sospensione del pagamento, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69,che è espressione del potere di autotutela della pubblica amministrazione, ha portata generale in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato, mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche, attive e passive. Pertanto, tale norma è applicabile anche ai rimborsi dell’Iva, fino al sopraggiungere dell’eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall’erario (Cass. Civ., 16 marzo 2016, n. 5139; Cass. Civ., 31 ottobre 2017, n. 25893).

Tuttavia, pare preferibile il diverso orientamento per cui (Cass. 1/07/2009, n. 15424): “in tema di rimborsi IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis – prevedendo, accanto alla sospensione dell’esecuzione dei rimborsi in presenza di contestazioni penali, un articolato sistema di garanzie teso a tutelare l’interesse dell’Erario all’eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente – introduce una specifica garanzia a favore dell’Amministrazione e preclude, pertanto, l’applicazione a detti rimborsi dell’istituto del fermo amministrativo, previsto dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 (cfr. Cass. 27265/06, 10199/03);”.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, quindi, costituisce un sistema “chiuso” e specifico in tema di rimborsi Iva, il quale proprio attraverso il previsto sistema di garanzia tende a tutelare l’interesse dell’Erario all’eventuale recupero di rimborsi indebiti. Tale norma, in quanto speciale, deve reputarsi prevalente su altre norme tese ad assicurare garanzie all’Erario a fronte di pagamenti da esso effettuati.

Pertanto, la sussunzione della fattispecie concreta, da parte della Agenzia delle entrate, con il primo motivo di ricorso per cassazione, sotto la disciplina dell’art. 69 cit., oltre che non consentita, a causa del superamento del limite posto dall’art. 112 c.p.c., sarebbe stata infondata.

2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto tale norma è espressione di un principio generale riferito a qualunque tipo di pagamento.

2.1. Tale motivo è infondato.

Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 prevede, infatti, nella versione vigente ratione temporis, che “nei casi un cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo”.

Infatti, va superato l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte per cui la sospensione del rimborso Iva è ora una legittima facoltà dell’amministrazione estesa a tutte le ipotesi di applicabilità di sanzioni anche di altra natura, giusta la novella introdotta dal D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art. 23. Nel fissare il principio generale della sospensione dei pagamenti di crediti in favore di contribuenti autori di violazioni finanziarie, raggiunti da atti di contestazione o di irrogazione di sanzioni, ancorché non definitivi, tale norma fa riferimento a qualsiasi tipo di pagamento, e quindi anche a quello in argomento, ed ha, quindi, implicitamente abrogato, quale norma successiva, avente rango non inferiore ed identica funzione cautelare alla precedente, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38 bis, che limitava la possibilità dell’amministrazione di sospendere l’erogazione dei rimborsi alla sola ipotesi di contestazione di specifici reati (Cass. Civ., 26 marzo 2013, n. 7630).

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis è, anche in questo caso, norma speciale, perché attiene proprio alla materia dei rimborsi iva. Tra l’altro, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, oltre ad essere una norma molto più generale (attenendo alla disciplina delle sanzioni) rispetto all’art. 38 bis in materia specifica di iva, prima della modifica legislativa del 2015, riguardava essenzialmente la garanzia dello Stato alla riscossione delle sanzioni.

Solo a decorrere dal 2015, la sospensione del pagamento può essere sospesa, non solo in caso di contestazione o irrogazione di sanzioni, ma anche nel caso in cui vengano “accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi” (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, dopo il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 16, comma 1, lett. h, “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti della amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”).

3. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti per l’assenza di un precedente orientamento giurisprudenziale univoco in tema di fermo amministrativo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018.

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