Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28735 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 07/11/2019), n.28735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25657 – 2018 R.G. proposto da:

P.G., – c.f. (OMISSIS) – M.G. – c.f.

(OMISSIS) – C.C. – c.f. (OMISSIS) – S.S. – c.f.

(OMISSIS) – R.A. – c.f. (OMISSIS) – B.G. – c.f.

(OMISSIS) – CE.DI. – c.f. (OMISSIS) – CA.GI.

– c.f. (OMISSIS) – D.E.O. – c.f. (OMISSIS) – R.R.

– c.f. (OMISSIS) – P.R. – c.f. (OMISSIS) –

SC.AL. – c.f. (OMISSIS) – F.T. – c.f. (OMISSIS) –

RO.SE. – c.f. (OMISSIS) – BE.AN. – c.f. (OMISSIS) –

BO.LA. – c.f. (OMISSIS) – SP.FR. – c.f. (OMISSIS) –

MA.OL.SA. – c.f. (OMISSIS) – PR.CO. – c.f.

(OMISSIS) – R.S. – c.f. (OMISSIS) – PA.AN. –

c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in Roma, alla via

Golametto, n. 4, presso lo studio dell’avvocato Abbate Ferdinando

Emilio che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Giuliani

Angelo li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge

CONTRORICORRENTE avverso il decreto della corte d’appello di Perugia

dei 27.11.2017/14.2.2018, udita la relazione svolta nella camera di

consiglio del 5 giugno 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

– controricorrente –

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con separati ricorsi – poi riuniti – ex lege n. 89/2001 alla corte d’appello di Perugia depositati in data 8 e 10 settembre 2012 P.G., M.G., C.C., S.S., R.A., B.G., Ce.Di., Ca.Gi., D.E.O., R.R., P.R., Sc.Al., F.T., Ro.Se., Be.An., Bo.La., Sp.Fr., Sante Marignoli Olinto, Pr.Co., R.S. e Pa.An. si dolevano per l’irragionevole durata del giudizio intrapreso dinanzi al tribunale di Viterbo, quale giudice del lavoro, nel marzo del 1996 e definito dalla corte d’appello di Roma con sentenza del settembre 2011.

Chiedevano che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponder loro un equo indennizzo.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con decreto dei 27.11.2017/14.2.2018 la corte d’appello di Perugia condannava il Ministero della Giustizia a pagare a ciascun ricorrente, a titolo di equa riparazione, la somma di Euro 4.875,00, oltre interessi; condannava altresì il Ministero della Giustizia a pagare all’avvocato Giuliani Angelo ed all’avvocato Abbate Ferdinando Emilio, difensori anticipatari dei ricorrenti, le spese di lite, liquidate in Euro 485,00, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa come per legge, ed oltre ad Euro 208,00 per spese vive.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso i suindicati ricorrenti; ne hanno chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese, da distrarsi in favore dei difensori anticipatari.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese di lite.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2.

Deducono che la corte di merito ha illegittimamente ed immotivatamente quantificato nell’esiguo importo di Euro 500,00 il “moltiplicatore” annuo; che viceversa la natura – causa di lavoro – del giudizio “presupposto” e la sua complessiva durata – quindici anni – ne avrebbero giustificato la quantificazione in misura maggiore.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 2, dell’art. 91 c.p.c. in relazione al D.M. n. 55 del 2014.

Deducono che la corte di Perugia, in rapporto all’ammontare – Euro 4.875,00 – dell’indennizzo liquidato e dunque allo scaglione di riferimento (Euro 1.100,01 – Euro 5.200,00), ha quantificato i compensi in misura inferiore ai minimi e comunque in misura non adeguata al decoro della professione.

Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

Non si configura il denunciato error in iudicando.

Questa Corte da tempo spiega che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce, a rigore, violazione di legge (cfr. Cass. 7.11.2011, n. 23029). Del resto, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la Corte E.D.U. in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative, nei quali gli interessati non risultavano aver sollecitato la trattazione o la definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, è risultato, di regola, oscillante tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. Cass. 6.9.2012, n. 14974).

D’altra parte questa Corte soggiunge che l’indennizzo per durata irragionevole del processo non deve sovracompensare il danno, neppure se il giudizio presupposto aveva carattere non bagatellare, sicchè è legittima l’applicazione di un moltiplicatore annuo congruo alla posta in gioco, seppur inferiore allo standard giurisprudenziale (cfr. Cass. 2.11.2015, n. 22385). E comunque questa Corte reputa, seppur in tema di equa riparazione da irragionevole durata del processo fallimentare, che è congrua la liquidazione dell’indennizzo nella misura solitamente riconosciuta per i giudizi amministrativi protrattisi oltre dieci anni, rapportata su base annua a circa Euro 500,00 (cfr. Cass. 16.7.2014, n. 16311; cfr. altresì Cass. (ord.) 19.5.2017, n. 12696).

Ovviamente il presunto deficit motivazionale (denunciato unicamente nel corpo del primo motivo) è da vagliare, ratione temporis, nel solco della novella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ebbene, in questi termini ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, l’iter motivazionale che sorregge, in parte qua, l’impugnato dictum risulta assolutamente congruo e esaustivo.

E’ da escludere, da un lato, che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha, in parte qua, ancorato il suo dictum.

E’ da ritenere, dall’altro, che la corte territoriale non ha omesso la disamina dei profili rilevanti ai fini della quantificazione del “moltiplicatore” annuo.

Il secondo motivo di ricorso è fondato e va accolto.

Sussiste la denunciata violazione dei minimi tariffari, anche a tener conto delle diminuzioni massime, di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, dei valori medi di cui al prospetto n. 12 – giudizi innanzi alla corte d’appello – delle tabelle allegate al medesimo D.M. n. 55 del 2014 (non si applica al caso di specie, ratione temporis, il D.M. 8 marzo 2018, n. 37, pubblicato in G.U. n. 96 del 26.4.2018).

Difatti, alla stregua della tabella n. 12 allegata al D.M. n. 55/2014 (giudizi innanzi alla corte d’appello) ed in rapporto allo scaglione di riferimento (Euro 1.100,01 – Euro 5.200,00), i minimi si specificano come segue: fase di studio Euro 255,00, fase introduttiva Euro 255,00, fase istruttoria Euro 283,50, fase decisionale Euro 405,00.

Quindi i “minimi” sono pari ad Euro 1.198,50. Viceversa la corte di Perugia ha liquidato la minor somma di Euro 485,00.

In accoglimento e nei limiti del secondo motivo di ricorso il decreto della corte di appello di Perugia n. 478/2018 va cassato con rinvio alla stessa corte in diversa composizione, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

Il ricorso è (in parte) da accogliere. Non sussistono i presupposti perchè, D.P.R. n. 115 del 200, 2ex art. 13, comma 1-quater, , i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. Tanto a prescindere dal rilievo per cui, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, sicchè è inapplicabile il citato D.P.R., art. 13, comma 1-quater. (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; cassa in relazione al motivo accolto il decreto della corte di appello di Perugia n. 478 dei 27.11.2017/14.2.2018; rinvia alla stessa corte, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; rigetta il primo motivo di ricorso.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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