Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28731 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 09/11/2018), n.28731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30178/2014 R.G. proposto da

D.B., rappresentato e assistito giusta delega in atti

dall’avv. Massimo Cavalluzzo unitamente all’avv. Silvio Bozzi con

domicilio eletto in Roma, Viale Regina Margherita n. 1 presso lo

studio del secondo ridetto difensore;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 4547/1/14 depositata il 05/05/2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

12/7/2018 dal Consigliere Dr. Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha respinto l’appello del contribuente, confermando la legittimità dell’atto impugnato;

– con tal atto l’Erario richiedeva maggiori imposte per IRPEF, IVA ed IRAP 2006 a seguito di accertamento analitico-induttivo ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D);

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a cinque motivi;

– resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– osserva la Corte in via preliminare che la sentenza impugnata risulta depositata in data 5 maggio 2014 e quindi trova applicazione, quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012);

– tal disposizione consente di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; conseguentemente, poichè formulate con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, tutte le censure aventi per oggetto il difetto di motivazione, secondo il testo del n. 5 abrogato all’epoca del deposito della sentenza gravata, non sono consentite;

– conseguentemente, le corrispondenti parti dei motivi secondo e terzo, e il quinto motivo di ricorso, risultano inammissibili;

– ad ogni modo, venendo all’esame delle doglianze svolte in ricorso, questa Corte osserva quanto segue;

– Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1929, art. 24,in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5); il motivo è infondato;

– Invero, ritiene questa Corte che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento, perchè è in esso che si esterna poi ciò che si è constatato prima;

La ricorrente denuncia infatti violazione della L. n. 4 del 1929, art. 24 per avere la CTR trascurato che, in base alla norma invocata, “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”;

Tal onere di redazione, ritiene la Corte, anche ove non sia assolto in forza della disposizione sopra richiamata, non impedisce in alcun caso l’emissione di avvisi di accertamento in base all’autonoma valutazione dell’amministrazione finanziaria, alla luce del disposto della disposizione invocata dal ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31120 del 29/12/2017, e precedentemente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27711 del 11/12/2013);

– Con il secondo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 12, commi 4 e 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 e l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Anche questo motivo, per le ragioni esposte in esordio, è inammissibile;

– In ogni caso esso è parimenti infondato dal momento che la disposizione di cui all’art. 12, comma 7 dello Statuto dei diritti del contribuente invocata dal ricorrente trova applicazione quanto alle imposte dirette solo nel caso in cui il contribuente sia stato sottoposto ad attività di accesso presso i suoi locali da parte dell’Ufficio, fatto che nella presente vertenza non si è verificato come risulta sia in sentenza che a pag. 1 del ricorso;

– Comunque, nel merito della censura, il contribuente non ha fornito alcun elemento atto a chiarire quali ragioni avrebbe in sede di eventuale contraddittorio con l’Ufficio, avrebbe addotto, perchè tal fase non si limitasse a mero simulacro;

– In tal senso questa Corte si è chiaramente pronunciata (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24823 del 09/12/2015 stabilendo che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito;

— Il richiamo svolto in ricorso a tal disposizione è quindi inconferente al caso di specie;

– Il terzo motivo di ricorso si appunta sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2 dello Statuto dei diritti del Contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5; per le ragioni di cui si è detto ut supra esso è inammissibile;

-. Comunque, il motivo è anche infondato per un duplice ordine di ragioni; in primo luogo la disposizione invocata trova applicazione unicamente nel caso in cui sia svolta da parte dell’Agenzia delle Entrate l’attività di verifica, con stazionamento fisico dei verificatori presso il contribuente, cosa che nel presente caso non risulta esser avvenuta;

Secondariamente, come chiarito da questa Corte (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13501 del 29/05/2018) in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il dovere previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, – la cui violazione è, peraltro, priva di sanzioni – di informare il contribuente delle ragioni e dell’oggetto della verifica quando questa “viene iniziata”, presuppone che la stessa sia concretamente espletata, ossia che vengano rinvenuti i locali nei quali è esercitata l’attività imprenditoriale o professionale e che nei medesimi sia effettivamente presente il contribuente;

– Pertanto, non risultando operato alcun accesso, men che meno si è verificata durate tale atto (che non risulta esser stato compiuto, avendo l’Amministrazione acquisito documentazione e svolto in controllo a seguito di invio di questionario) la presenza in essi, contemporanea, dei verificatori e del ricorrente;

In ogni caso, anche a ritenere sussistente la violazione denunciata, non si producono in concreto ricadute invalidanti sugli atti successivi, stante la inesistenza di una espressa previsione normativa di illegittimità in tal senso, che non legittima l’interprete a trarre diverse conclusioni dal silenzio del legislatore sul punto;

– Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D) anche in relazione all’art. 2727,2728 e 2729 c.c. in connessione con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ritenere sufficiente ai fini dell’esperimento dell’accertamento contestato il rilievo riguardante l’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico differente da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza;

– Il motivo è infondato; dalla lettura della sentenza appare chiaro come la CTR abbia valorizzato non solo l’elemento sopradetto, ma anche altre circostanze il cui complesso consente di far ritenere provata la sussistenza delle maggiori imposte accertate (l’aumento degli utili degli esercizi gestiti dal contribuente, posti in pieno centro città; l’utile di Euro 15.712 a fronte di costi per il personale di Euro 282.600; la disponibilità di 230 posti a sedere);

– Conseguentemente, il motivo risulta anche inconferente con la ratio decidendi, che non viene puntualmente aggredita, da un lato, e dall’altro non risulta comunque scalfita in quanto essa si fonda anche su elementi altri rispetto a quanto denunciato in ricorso; al punto che esso potrebbe anche dichiararsi inammissibile in applicazione di quella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017) ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza;

Il quinto motivo di ricorso aggredisce l’impugnata sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma n. 5 per aver erroneamente la CTR ritenuto valide le ragioni che hanno fatto ritenere inattendibile la contabilità del contribuente; il motivo è infondato;

– E’ giurisprudenza costante di questa Corte che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 24/09/2014) l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata; conformi e in termini successive pronunce (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9084 del 07/04/2017; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14370 del 09/06/2017);

A ciò deve poi aggiungersi che l’Amministrazione Finanziaria, come dà atto la gravata sentenza, ha invero fondato la rideterminazione del reddito anche e soprattutto su altri elementi di fatto il cui riesame, in questa sede di legittimità, non è consentito (considerazione dei prezzi, a fronte delle rimanenze, sulla base dei listini prezzi al pubblico; incongruità del reddito rispetto alla percentuale di redditività, incongruenza del reddito rispetto ai costi e al numero di dipendenti in numero di dieci, nell’anno, in media – oltre al valore dei beni strumentali utilizzati, riconoscimento in ogni caso, nella determinazione della percentuale di ricarico adottata, di alcune argomentazioni e ragioni del contribuente);

– Inoltre, il motivo diretto a censurare la sentenza impugnata sotto questo profilo non coglie neppure con adeguata precisione la ratio decidendi, e risulta quindi fuori bersaglio, dal momento che la CTR non ha ritenuto provata la sussistenza delle maggiori imposte unicamente dalla dose media di polvere di caffè come si sostiene in ricorso, ma in forza di un complessivo contesto probatorio ben maggiormente dettagliato e articolato, non fondantesi certo su quell’unico elemento di fatto;

– In diritto, quanto alle percentuali di ricarico, in specifico, va ribadito come questa Corte sia tuttora ferma nel ritenere che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27330 del 29/12/2016) in tema di accertamento analitico induttivo ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), tali percentuali, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse; Pertanto, il ricorso deve esser rigettato; va infine dato atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 4.200,00 oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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