Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28730 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 09/11/2018), n.28730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27626/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

E.T.A. CATERING s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore

pro tempore, con sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv.

Alfredo Lupo, con studio in Napoli in via Luca da Penne n. 3, con

domicilio eletto presso l’Avv. Angelo Romano, sito in Roma in via

Paolo Emilio n. 71;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Napoli,

n. 284/50/2012, pronunciata il 26 marzo 2012 e depositata il 12

settembre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2018

dal Consigliere Fabio Antezza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.T.A. CATERING s.r.l. espose in dichiarazione per l’anno 2000 crediti d’imposta tra i quali anche il credito d’IVA, non riportandolo nella dichiarazione del successivo anno e senza presentare il modello “VR”, successivamente, durante la liquidazione, portati, in parte, in “compensazione” per il pagamento delle tasse annuali sui libri sociali e dei diritti annuali dovuti alla Camera di Commercio. A seguito di controllo formale, l’Amministrazione finanziaria emise a carico della contribuente cartella di pagamento per recuperare i detti crediti che, in forza di impugnazione, venne annullata dalla CTP di Napoli.

Il Giudice tributario, per quanto rileva ai presenti fini, con sentenza n. 527 del 9 ottobre 2008 (passata in giudicato il 28 gennaio 2010), confermò i crediti d’imposta della contribuente (come emerge dalle sentenze di merito riportate nel ricorso e nel controricorso, oltre che per quanto dagli stessi atti di parte evidenziato).

2. Il successivo 21 giugno 2010 la contribuente avanzò richiesta di rimborso del credito d’IVA di cui innanzi, come detto accertato con la citata sentenza passata in giudicato, che venne negato dall’A.E. in ragione della presentazione dell’istanza oltre i termini decadenziali di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2. Il provvedimento di diniego venne impugnato ed annullato dalla CTP, sostanzialmente per non essere decorso il detto termine decadenziale in ragione del citato giudicato.

3. La sentenza di primo grado fu appellata dalla sola A.E. ed il gravame fu rigettato dalla CTR di Napoli. Essa argomentò dalla tempestività dell’istanza di rimborso in quanto presentata nel termine decadenziale di due anni dal passaggio in giudicato della citata sentenza n. 527 del 2008, quindi, a detta della Corte territoriale, nel rispetto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2.

4. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, e la contribuente si è difesa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato, pur dovendosi correggere la motivazione della sentenza impugnata il cui dispositivo è conforme a diritto.

2. I due motivi di ricorso possono trattarsi congiuntamente, per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, dando priorità, per ragioni di economia espositiva, al motivo n. 2.

2.1. Con il motivo n. 2 si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, art. 28, commi 3 e 4 e art. 55, comma 1. In sostanza, il ricorrente sostiene che il termine biennale di decadenza (per la domanda di rimborso), di cui al citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, opererebbe anche nel caso in cui il contribuente abbia esposto il credito d’IVA nella dichiarazione dei redditi ma in assenza della presentazione del modello “VR”, per chiederne il rimborso.

Con il motivo n. 1, invece, si deduce, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2909 c.c., sostenendo l’inoperatività, nella specie, dell’efficacia espansiva del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 527 del 2008, avendo ad oggetto il relativo procedimento un diverso oggetto (impugnazione di cartella di pagamento e non impugnazione di diniego di rimborso) ed in considerazione della non identità dell’anno d’imposta.

2.2. Il motivo n. 2. è infondato, pur dovendosi correggere sul punto la motivazione della sentenza impugnata, che, come evidenziato in sede di esposizione dei fatti di causa, ha ritenuto operante il termine decadenziale ancorchè decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza accertativa del credito del contribuente.

Ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, la domanda di restituzione di tributi, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

La questione di diritto inerisce l’applicabilità del detto termine decadenziale anche nel caso in cui la domanda di rimborso abbia ad oggetto un credito d’imposta accertato con sentenza passata in giudicato. Ad essa deve darsi risposta negativa in quanto, nel caso in esame, il titolo sul quale si fonda la pretesa del contribuente è la sentenza passata in giudicato, ne consegue l’applicazione non del termine decadenziale in esame bensì del termine di prescrizione decennale, secondo la disciplina dell’actio iudicati di cui all’art. 1953 c.c. (per la disciplina dell’actio iudicati in materia tributaria si vedano, ex plurimis: Cass. Sez. U., 10/12/2009, n. 25790, Rv. 610561-01; Cass. sez. 5, 07/04/2017, n. 9076, Rv. 643623-01, ancorchè con riferimento al diritto alla riscossione dell’imposta; Cass. sez. 5, 10/03/2008, n. 6331, Rv. 602235-01, con specifico riferimento alla richiesta di restituzione di maggiore imposta; Cass. sez. 5, 27/02/2009, n. 4759, Rv. 606826-01, che, con riferimento al rimborso dell’imposta di registro fa decorrere dal passaggio in giudicato il termine decadenziale ma in ragione della previsione della specifica disposizione di cui al D.P.R 26 aprile 1986, n. 131, art. 77,comma 1, laddove nel caso che ci occupa trova applicazione il termine decadenziale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in mancanza di disposizioni specifiche).

La motivazione della sentenza impugnata deve quindi essere corretta, ex art. 384 c.p.c., comma 4, in applicazione del seguente principio di diritto, formulato ex art. 384 c.p.c., comma 1: “in tema di rimborso IVA, con riferimento ad una richiesta avente ad oggetto un credito accertato con sentenza passata in giudicato non opera il termine decadenziale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, bensì il solo termine prescrizionale decennale, secondo la disciplina dell’actio iudicati di cui all’art. 1953 c.c., in quanto il titolo sul quale si fonda la pretesa è la sentenza passata in giudicato”.

2.3. In ragione di quanto innanzi argomentato deve rigettarsi anche il motivo n. 1 del ricorso. Nella fattispecie l’efficacia espansiva esterna del giudicato opera proprio perchè l’oggetto della richiesta di restituzione è il credito oggetto dell’accertamento con sentenza passata in giudicato. Trattasi peraltro di giudicato antecedente tanto alla sentenza impugnata quanto a quella di primo grado ed allo stesso ricorso originario del contribuente e non risulta che l’A.E. abbia dedotto in sede di merito la pretesa irrilevanza della sua efficacia espansiva.

3. In conclusione, rigettato il ricorso il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che si liquidano, in ragione delle tabelle ratione temporis applicabili, in Euro 4.100,00, oltre il 15% per spese generali, IVA e C.N.P.A., come per legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 4.100,00, oltre il 15% per spese generali, IVA e C.N.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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