Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2873 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 03/02/2017, (ud. 08/11/2016, dep.03/02/2017),  n. 2873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16762-2012 proposto da:

M.F. E FIGLI SAS in persona del legale rappresentante

pro tempore socio accomandatario, M.F. in proprio e

quale socio, MI.FA. in proprio e quale socio, elettivamente

domiciliati in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, rappresentati e difesi dall’avvocato

FLAVIO CAMILLI giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI PERUGIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 273/2011 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 29/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI LUCIO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato CAMILLI che chiede l’accoglimento e

deposita n. l avviso di ricevimento A/R;

udito per il controricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 273 del 29 dicembre 2011 la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria respingeva l’appello proposto dalla s.a.s. M.F. & Figli e dai soci F., M. e Mi.Fa. avverso la sentenza di primo grado che aveva a sua volta respinto i ricorsi dai medesimi proposto per contestare la rettifica del reddito d’impresa conseguente al disconoscimento di costi non documentati per 4.730.031,54 Euro, di cui agli avvisi di accertamento emessi in relazione all’anno di imposta 2005 ai fini IRAP ed IRPEF, anche nei confronti dei soci della società di persone per la quota di reddito ai medesimi imputata per trasparenza ai sensi del TUIR art. 5 (D.P.R. n. 917 del 1986) e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis.

A fronte della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, dedotta dagli appellanti per avere l’Agenzia delle entrate proceduto ad accertamento con metodo analitico pur in presenza dei presupposti (nella specie, l’inattendibilità delle scritture contabili) per procedere ad accertamento induttivo, la CTR, richiamando vari arresti di questa Corte, sosteneva che l’Amministrazione finanziaria non era in alcun modo vincolata ad adottare l’uno o l’altro metodo, nè nella ricostruzione del reddito con metodo induttivo era totalmente svincolato dalle scritture dell’imprenditore, nè il giudice tributario poteva procedere alla rideterminazione del reddito d’impresa con il metodo induttivo una volta che l’Agenzia delle entrate aveva adottato quello analitico, osservando, peraltro, che i contribuenti neanche avevano provato di aver sostenuto parte dei costi recuperati a tassazione.

2. Ricorrono per cassazione i contribuenti sulla base di un unico motivo cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, con cui viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, artt. 3 e 53 Cost., nonchè la L. n. 241 del 1990, art. 21 – octies, la ricorrente si duole della scelta del metodo di ricostruzione del reddito d’impresa operata dall’Amministrazione finanziaria, che ha fatto ricorso a quello analitico pur sussistendo le condizioni poste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per procedervi con metodo induttivo, lamentando anche i risultati irragionevoli ed incongrui restituiti dall’applicazione di quel metodo, tali da integrare anche una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost..

A tale ultimo riguardo sostiene che l’operata rettifica del reddito d’impresa ha determinato una redditività del 37%, assolutamente irragionevole nell’ambito dell’edilizia pubblica in cui operava la società e che la stessa Agenzia delle entrate in occasione del contraddittorio aveva indicato – per aziende similari – nella misura del 4% (pag. 37 del ricorso). A detta dei ricorrenti, percentuali ancora minori risultavano dall’Osservatorio dei lavori pubblici dell’Umbria, dai dati elaborati da una società di ricerca sui bilanci depositati presso la CCIAA di Perugia, dai parametri e studi di settore.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

L’orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di accertamento delle imposte sui redditi è assolutamente consolidato nel ritenere insindacabile il potere dell’amministrazione finanziaria, se esercitato nell’ambito delle previsioni di legge, di scegliere discrezionalmente il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, la parte contribuente, in assenza “di pregiudizio sostanziale” (secondo Cass. n. 8333 del 2012), non ha titolo a dolersi della scelta operata (cfr. Cass. n. 19258 del 2005; n. 20837 del 2005; n. 13430 del 2012; n. 8333 del 2012; n. 16980 del 2015; v. anche Cass. n. 13350 del 2009). V’è però da dire che nel caso di specie, considerando il risultato restituito dall’applicazione di quel metodo (in termini di percentuale di redditività determinata considerando un utile di circa Euro 4.800.000,00 che la società avrebbe ricavato da circa Euro 13.000.000,00 di fatturato nell’anno in verifica – v. ricorso pag. 33), non può escludersi che i contribuenti abbiano subito un concreto pregiudizio dalla scelta metodologica operata dall’amministrazione finanziaria, apparendo irragionevole ed incongrua, alla stregua dei dati riferiti dai contribuenti, l’applicazione di una percentuale di ricavi del 37% ad un’impresa operante quasi esclusivamente nel settore degli appalti pubblici.

Da tale ultima circostanza, confermata dal contenuto del processo verbale di constatazione (riportato per autosufficienza a pag. 6 del ricorso) in cui si afferma che i committenti della società in verifica erano “essenzialmente pubbliche amministrazioni” e dalla quale gli stessi verificatori hanno fatto conseguire la “scarsissima possibilità teorica, per la società, di sottrarre i ricavi derivanti da contratti di appalto alla fatturazione”; dalla riscontrata sussistenza di gravi, numerose e ripetute inesattezze ed omissioni, anche formali, con duplicazione anche di talune registrazioni, rilevate nelle scritture contabili (v. ricorso, pag. 8), tali da potersi ritenere assolutamente inattendibili; dalla evidente discrasia emergente tra la percentuale di ricarico applicata nel caso di specie alla società verificata e quelle, invece, desumibile dai dati dall’Osservatorio dei lavori pubblici dell’Umbria, pubblicati nel bollettino ufficiale di quella regione, dai dati elaborati da una società di ricerca sui bilanci depositati presso la CCIAA di Perugia, dai parametri e studi di settore per imprese di medie dimensioni operanti nel settore dei lavori pubblici, ma soprattutto da quella (pari al 4%) che la stessa Agenzia delle entrate, in sede di contraddittorio, aveva ritenuto congruo per aziende similari a quella verificata; da tutte queste circostanze, dall’amministrazione finanziaria neanche contestate, deve trarsi il convincimento della assoluta incongruenza delle risultanze della verifica. Da ciò discende l’accoglimento del ricorso, che, così come questa Corte ha avuto modo di osservare (v. Cass. 23463 del 2007), non costituisce un “travalicamento della giurisdizione nell’ambito di poteri discrezionali della PA”, ma è espressione del legittimo sindacato del giudice tributario che “ben può tener conto ai fini della decisione della metodologia adottata per la raccolta degli elementi utilizzati per la rettifica quando le emerse risultanze appiano incongrue rispetto alla situazione” concreta.

3. La sentenza impugnata va quindi cassata e rinviata alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, in diversa composizione, che rivaluterà la vicenda alla stregua di quanto sopra si è rilevato, provvedendo anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 5^ sezione civile, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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