Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28727 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 09/11/2018), n.28727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 49/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

TOSVAR s.r.l., C.F.: (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Prof. Gaspare Falsitta, dall’Avv. Silvia Pensieri e dall’Avv. Rita

Gradara, elettivamente domiciliata presso l’Avv. Rita Gradara, in

Roma, largo Somalia n. 67;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano,

n. 19/44/2011, pronunciata il 24 gennaio 2011 e depositata il 9

febbraio 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 luglio 2018

dal Consigliere Dott. Fabio Antezza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con avviso di accertamento notificato il 10 maggio 2007, l’Agenzia delle Entrate contestò alla TOSVAR s.r.l., con riferimento al periodo d’imposta 2005, l’errata applicazione del regime di non imponibilità IVA in merito a cessioni intracomunitarie effettuate in favore della società tedesca Halu Bacic e K. Gmbh, facente capo a cittadino croato oggetto di indagini in Germania, svolte anche tramite rogatoria richiesta all’Italia ed all’esito della quale fu emesso il P.V.C. sotteso all’avviso di accertamento di cui innanzi.

Per il detto atto impositivo (trascritto nel ricorso per ragioni di autosufficienza) la contribuente avrebbe effettuato le cessioni di cui innanzi in violazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 41 (conv., con modif., dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427), indicante le cessioni intracomunitarie non imponibili, in ragione dell’inesistenza del numero identificativo fornito dalla cessionaria ed inserito in fattura ex art. 50 del medesimo d.l. Essendo il detto numero identificativo “sconosciuto”, per l’Amministrazione finanziaria la cessione si sarebbe dovuta considerare come “effettuata nel territorio nazionale e quindi assoggettata ad imposta ordinaria”.

2. Avverso il detto atto impositivo il contribuente propose ricorso dinanzi alla CTP di Milano, accolto con sentenza n. 189/35/2009. Il Giudice tributario in particolare ritenne raggiunta la prova della correttezza e dell’effettività dei rapporti intracomunitari intercorsi tra cedente e cessionario, sulla base di documentazione contabile, fiscale e bancaria, non contestata dall’A.E. (come emerge dalle sentenze di merito riportate nel ricorso per ragioni di autosufficienza).

3. La sentenza di primo grado venne appellata dall’A.E. che ripropose la tesi per la quale le cessioni in oggetto si sarebbero dovute considerare effettuate nel territorio nazionale in ragione della inesistenza del numero identificativo fornito dal cessionario non soggetto d’IVA – e dell’omessa attivazione, da parte del contribuente, della procedura di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50, comma 2, mediante richiesta all’Amministrazione finanziaria di conferma della validità del detto numero.

4. La CTR, con sentenza n. 19/44/2011, rigettò l’appello, confermando la sentenza di primo grado, per avere il contribuente comunque fornito la prova della vendita della merce alla società tedesca Halu Bacic e K. Gmbh ed il relativo trasferimento presso di essa, nonostante l’inesistenza del numero identificativo inserito nelle fatture, fornitogli dal cessionario, e l’omessa attivazione della procedura volta alla sua conferma (di cui al citato art. 50).

5. Contro la sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, la contribuente si è difesa con controricorso, illustrato da memorie, ed ha depositato, ex art. 372 c.p.c., copia della minuta di attestazione di passaggio in giudicato della sentenza n. 2424/2014 (pronunciata dalla CTR di Milano il 14 settembre 2013, tra le stesse ma con riferimento al diverso periodo d’imposta 2006, e depositata il 12 maggio 2014).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, e art. 50, commi 1 e 2, per aver la Corte territoriale ritenuto intracomunitarie le cessioni nonostante l’inesistenza del numero identificativo, indicato nelle relative fatture e fornito dalla cessionaria, e l’omessa attivazione della procedura di cui al comma 2 del citato art. 50, volta ad ottenere conferma dall’Amministrazione finanziaria del detto numero identificativo. In sostanza, in termini di violazione o falsa applicazione, l’A.E. si duole della circostanza per la quale la CTR avrebbe interpretato il combinato disposto dei citati artt. 41 e 50 in senso difforme rispetto all’interpretazione fornita dal Giudice di legittimità con Cass. sez. 5, 13/02/2009, n. 3603, Rv. 60684301. Per ragioni di economia espositiva, le deduzioni del contro ricorrente circa l’inammissibilità del motivo saranno trattate all’esito della disamina di quest’ultimo.

1.1. L’unico motivo di ricorso è fondato, in ragione di principio più volte affermato da questa Corte anche in considerazione del diritto eurounitario in materia di IVA quale tributo armonizzato, come interpretato anche dalla Corte di Giustizia, dal quale non vi sono motivi per discostarsi.

In tema IVA, difatti, le cessioni intracomunitarie, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 50, commi 1 e 2, sono effettuate senza applicazione d’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero di identificazione attribuito dallo Stato di appartenenza. Per accedere al regime esente, però, non basta che gli esercenti imprese, arti e professioni indichino tale numero nella documentazione relativa allo scambio intracomunitario, occorrendo altresì che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero di identificazione attribuito al cessionario. In assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA, restando onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (Cass. sez. 5, 29/07/2016, n. 15871, Rv. 640662, conforme a Cass. sez. 5, 13/02/2009, n. 3603, Rv. 606843-01, alla cui interpretazione fa esplicito riferimento l’attuale ricorso).

Premesso quanto innanzi, la sentenza impugnata non fa corretta applicazione del detto riportato principio di diritto laddove ha ritenuto applicabile la richiamata disciplina delle cessioni intracomunitarie, nonostante l’inesistenza del numero identificativo fornito dal cessionario e la mancata attivazione della procedura di verifica, in ragione della prova che i “rapporti commerciali verso soggetti comunitari esistenti al momento dell’operazione siano stati effettivamente svolti e correttamente eseguiti”, pur in assenza della prova del presupposto principale, cioè che trattasi di cessionario effettivamente soggetto d’IVA.

La ratio dell’interpretazione di cui innanzi, per essere in sintonia con il diritto eurounitario che se ne pone a fondamento, è difatti quella di evitare che la disciplina in materia di IVA relativa alle “cessioni intracomunitarie” non sia applicata in ragione di mere circostanze formali, l’inesistenza del numero identificativo e l’omessa attivazione della procedura di verifica dello stesso, a condizione però che il contribuente provi la sussistenza di tutti i presupposti fattuali caratterizzanti la detta cessione, e, quindi, in primo luogo, che trattasi di cessionario soggetto d’IVA. Nella specie, invece, la Corte territoriale ha ritenuto determinante la sola sussistenza dei rapporti commerciali con soggetto comunitario e la corretta esecuzione degli stessi, in ipotesi in quanto aventi ad oggetto cessioni a titolo oneroso di beni trasportati o comunque spediti nel territorio dello Stato membro.

2. Le argomentazioni di cui innanzi, laddove evidenziano l’effettivo errore di diritto della sentenza impugnata, rendono non pertinente la paventata inammissibilità del motivo di ricorso, dedotta dal controricorrente, sostanzialmente, sull’assunto della mancata considerazione dal parte del ricorrente della reale ratio decidendi.

2.1. Parimenti non pertinente nella specie è quanto dedotto dal controricorrente, in merito all’efficacia espansiva del giudicato esterno, con le depositate memorie e con riferimento alla sentenza n. 2424/2014 della CTR di Milano, dallo stesso contribuente depositata nel presente giudizio di legittimità (deposito ammissibile, nonostante la previsione di cui all’art. 372 c.p.c., in quanto volto a far valere un, dedotto, giudicato esterno con riferimento a sentenza antecedente a quella impugnata, sul punto si vedano, ex plurimis, Cass. sez. 2, 22/01/2018, n. 1534, rv. 647079-01, e Cass. Sez. U., 16/0672006, n. 13616, Rv. 58969501).

Trattasi di sentenza emessa tra le stesse parti avente ad oggetto un diverso avviso di accertamento, del 2010 nonchè relativo al diverso periodo d’imposta 2006, inerente l’errata applicazione del regime di non imponibilità d’IVA, D.L. n. 331 del 1993, ex artt. 41 e 50, con riferimento (anche, ma non solo) alla stessa società Halu Bacic e K. Gmbh, oltre che in relazione a cessioni in favore di altra società (la Premyr Paritet l.t.d, con sede in (OMISSIS)). Con essa la CTR di Milano ha respinto l’appello dall’A.E., così confermando la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento, ritenendo insussistente in capo al contribuente l’obbligo di attivazione della procedura di cui al citato art. 50, fino alla sua introduzione con Regolamento UE 282/2011 ed a decorrere dal primo luglio 2011.

La dedotta efficacia espansiva del giudicato esterno, nella specie, non può ritenersi operante in ragione di una pluralità di circostanze. La sentenza passata in giudicato, in primo luogo, si fonda su un differente principio di diritto, l’asserita non obbligatorietà dell’attivazione del procedimento di verifica e non sui presupposti per ritenere l’operazione sostanzialmente soggetta al regime d’IVA relativo agli scambi intracomunitari, in ragione anche della normativa eurounitaria. Basti rilevare che la CTR con l’impugnata sentenza esplicitamente risolve la questione di diritto sottopostale, anche prescindendo dalla sussistenza di un obbligo od onere gravante sul contribuente ed avente ad oggetto l’avvio della procedura di verifica (pag. 4, ultimo capoverso, e pag. 5).

A ciò si aggiunge l’assorbente considerazione per la quale, nel processo tributario, il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto. Ciò, però, salvo che, in materia di IVA, quanto innanzi comporti, come nella specie (per quanto evidenziato al precedente punto 1.1.), l’estensione ad altri periodi di imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l’effettività (Cass. sez. 5, 19/04/2018, n. 9710, Rv. 647710-01).

2. In conclusione, in considerazione dell’accoglimento del motivo di ricorso, deve essere cassata la sentenza impugnata, il relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere respinto il ricorso originario del contribuente.

In considerazione del periodo temporale di formazione e consolidamento del principio di diritto di cui al precedente punto 1.1, in relazione agli sviluppi dei giudizi di primo e di secondo grado, sono compensate le spese dei giudizi di merito ed il controricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali inerenti il presente giudizio di legittimità, che, in applicazione delle tabelle ratione temporis applicabili, si liquidano in complessivi Euro 17.000,00, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, respinge il ricorso originario del contribuente, compensa le spese dei giudizi di merito e condanna il controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 17.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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