Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28727 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 07/11/2019), n.28727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11443-2018 proposto da:

A.M.C., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE

VATICANO 84, presso lo studio dell’avvocato TOMMASINA MAZZONE,

rappresentata e difesa da se medesima;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 5019/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 02/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott.sa FALASCHI

MILENA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Nel procedimento definito con ordinanza di questa Seconda Sezione civile, 2 marzo 2018 n. 5019, questa Corte ha rigettato il ricorso proposto da A.M.C. avverso il decreto del 20 giugno 2016, con cui la Corte di appello di Reggio Calabria aveva rigettato l’opposizione proposta dalla medesima ricorrente avverso il decreto del consigliere delegato della stessa Corte di merito che aveva respinto la domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio civile svoltosi davanti al Giudice di pace di Messina (2006 – 2007), il Tribunale di Messina (2007 – 2010) e la Corte di Cassazione (2010 – 2014), ritenendo omessa l’integrazione della documentazione richiesta alla ricorrente con provvedimento del 16 maggio 2015, seppure parzialmente prodotta con l’opposizione, mancando tutti gli atti del primo grado del giudizio presupposto (quanto meno citazione e comparsa di risposta dinanzi al Giudice di pace).

Ha premesso questa Corte che doveva ritenersi inammissibile la produzione di nuovi documenti nel giudizio di cassazione ex art. 372 c.p.c., relativa al processo presupposto allegati al ricorso e non esibiti in copia autentica nella fase monitoria e di opposizione. Nel merito, osservava che la ricerca officiosa della prova – come prevista nell’originario L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 – era inconciliabile con l’attuale struttura monitoria del procedimento, nel quale la domanda poteva al più essere integrata dal giudice ai fini della successiva provocatio ad opponendum. I giudici del merito avevano, pertanto, correttamente posto a carico della parte ricorrente l’onere di documentare in maniera compiuta la domanda.

Avverso siffatta decisione la A. ha proposto, con ricorso notificato il 31 gennaio 2018, revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per essere la sentenza impugnata – a suo avviso – affetta da errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa.

Non ha svolto difese il Ministero della giustizia rimasto intimato.

Dovendo avvenire la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., giusta l’art. 391-bis c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati notificati all’avvocato della ricorrente.

Il collegio ritiene di condividere la proposta del relatore.

Con l’unico articolato motivo di doglianza la fondazione ricorrente lamenta che la Corte abbia supposto un fatto, la mancata produzione dell’intera documentazione relativa al giudizio presupposto, senza tenere conto che il giudizio di equa riparazione, per giurisprudenza consolidata, costituisce un ordinario processo di cognizione, la cui definizione deve avvenire in tempi ragionevoli, la cui lesione genera di per sè una condizione di sofferenza e un paterna d’animo.

La censura non può essere condivisa.

L’errore di fatto, che legittima la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, consiste in un’erronea percezione dei fatti di causa, che, oltre a dover rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, nonchè riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità (e cioè quegli atti che la Corte deve e può esaminare direttamente con propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso), deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione, rivelando caratteri di essenzialità e decisività ai fini della decisione. In particolare, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica.

La revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, può ammettersi per vizi in procedendo, di cui non si sia tenuto conto per un errore meramente percettivo (svista o puro equivoco) nel controllo degli atti del procedimento pregresso ovvero nell’esame degli atti dello stesso processo di legittimità, ma è esclusa la revocabilità delle sentenze suddette per le quali si deduca un errore riguardante un atto difensivo della parte e che risulti radicalmente inidoneo ad incidere direttamente sui poteri cognitori e decisori della Corte di cassazione.

Nella specie, il ricorrente ripropone, sotto le vesti dell’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4, le considerazioni critiche in ordine all’interpretazione del vigente L. 24 marzo 2001 n. 89, art. 3, comma 3, ed alla supposta conseguente ricerca officio della prova, come già prevista nell’originario L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, al fine di inferirne l’erroneità delle pronunce.

La ricorrente non lamenta, così, che la decisione della Corte di Cassazione fosse fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, quanto che l’ordinanza impugnata sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali (cfr. Cass. Sez. Un. 28 maggio 2013 n. 13181).

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali in difetto di difese da parte dell’intimata Amministrazione.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2 Sezione civile della Corte di Cassazione, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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