Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28724 del 30/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 28724 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2351/’08) proposto da:
MOMETTI CESARINA, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al
ricorso, dagli Avv.ti Tullio Castelli e Maurizio Messina ed elettivamente domiciliata
presso lo studio del secondo, in Roma, Via Arezzo, n. 38; – ricorrente contro
CANTONI SERGIO e CANTONI LORELLA, rappresentati e difesi, in virtù di procura
speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Ferdinando Pelizzoni e Giulio Favino ed
elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, alla v. Tacito, n. 39;
– controricorrenti –

e

‘ 4’3 z 7/3

1

Data pubblicazione: 30/12/2013

CANTONI PAOLO e PIZZOLANTE REGINA (quali eredi di Cantoni Carlo); CANTONI
CATERINA; CANTONI GIANFRANCO; CANTONI MARIA; CANTONI PIETRO e
CANTONI ROBERTO;

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 853/2007, depositata il 19 ottobre
2007 (e non notificata);

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Antonio Feriozzi (per delega) nell’interesse della ricorrente e Giulio Favino

per i controricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sergio Del

Core, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato nel marzo 1993, i sigg. Lorella e Sergio Cantoni
convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, i sigg. Cantoni Pietro, Pelizzari
Maria, Cantoni Gianfranco, Cantoni Caterina, Cantoni Roberto e Cantoni Carlo,
esponendo che: – in data 4 settembre 1991, a seguito del decesso di Cantoni Francesco,
si era aperta la successione testamentaria in favore dei figli Pietro, Caterina e Gianfranco
nonché dei nipoti Carlo e Roberto (figli del figlio premorto Andrea) e degli altri nipoti
Lorella e Sergio (figli del figlio premorto Lorenzo); – che nella massa ereditaria risultavano
compresi svariati beni immobili siti nei territori dei Comuni di Passirano, Iseo e
Monterotondo, alcuni dei quali erano stati “prelegati” in parti uguali a tutti i figli; – che
alcuni beni erano stati donati con atto del 14 settembre 1979 e venduti con atto del 14
settembre 1988, dissimulante una donazione, al figlio Pietro e alla moglie dello stesso;
tanto premesso, chiedevano la divisione del suddetto patrimonio ereditario, previa
collazione della donazione di cui all’atto del 1979 e previa dichiarazione di simulazione
della vendita di cui all’atto del 1988. Si costituivano in giudizio Cantoni Pietro, Pelizzari
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Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 novembre 2013 dal

Maria, Cantoni Gianfranco, Cantoni Roberto e Cantoni Carlo, i quali non si opponevano
alla domanda di divisione, e, all’esito dell’espletata istruzione probatoria, il Tribunale
adito, con sentenza non definitiva emessa il 15 novembre 2000, respingeva la domanda
di accertamento della simulazione e, con separata ordinanza, disponeva la rimessione in
istruttoria per la predisposizione di nuovo progetto divisionale. Proseguito il giudizio, con

processo Mometti Cesarina, madre dei convenuti Cantoni Carlo e Roberto, la quale
assumeva di aver usucapito l’immobile sito in Iseo – vicolo Bordiga (costituito da due
appartamenti), facente parte del compendio ereditario.
Con successiva sentenza n. 3132 del 2003, il Tribunale di Brescia rigettava la domanda
della Mometti (siccome non adeguatamente comprovata).
Interposto appello avverso detta sentenza da parte della Mometti e nella costituzione dei
soli appellati Cantoni Sergio e Lorella (i quali ribadivano l’inammissibilità del proposto
intervento ed, in ogni caso, insistevano per la conferma dell’impugnata decisione), la
Corte di appello di Brescia, con sentenza n. 853 del 2007 (depositata il 19 ottobre 2007),
rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado in
favore della costituite controparti.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte bresciana, riconfermata l’ammissibilità
dell’intervento formulato dall’appellante nel giudizio di primo grado, ravvisava
l’infondatezza del gravame poiché, alla stregua delle emergenze probatorie acquisite, si
era potuto desumere che l’interveniente si era trovata ad occupare gli immobili contesi
(dei quali reclamava l’acquisto per intervenuta usucapione) per concessione del
proprietario e non contro la sua volontà, ragion per cui la stessa non poteva qualificarsi
come possieditrice dei beni, in difetto dell’intervento di una idonea “interversio
possessionis”, evidenziandosi, peraltro, che, in ogni caso, la Mometti non aveva

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atto depositato in cancelleria 1’11 febbraio 2003, interveniva volontariamente nel

dimostrato lo svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà tali
da rivelare l’intenzione di considerarli come propri.
Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Mometti
Cesarina, articolato in tre motivi, in ordine al quale hanno resistito in questa sede con
controricorso i soli Cantoni Sergio e Cantoni Lorella, mentre gli altri intimati non hanno

memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente ha censurato — in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – la
sentenza impugnata per assunta violazione e falsa applicazione degli artt. 1141, 1144 e
2697 c.c., sul presupposto che la Corte territoriale non aveva rilevato che l’onere della
prova circa la natura dell’occupazione dell’immobile da parte di essa ricorrente non
spettasse alla stessa, bensì agli appellati Cantoni Sergio e Cantoni Lorella.
A corredo di tale motivo la ricorrente ha formulato — ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.
(“ratione temporis” applicabile, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 19
ottobre 2007) — il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se l’elemento dell’animus nella
fattispecie dell’usucapione può essere desunto in sede presuntiva dal corpus quando vi è
stato svolgimento di attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà e se,
quindi, in tal caso, è il convenuto a dover dimostrare il contrario provando che la
disponibilità del bene è stata conseguita dal soggetto che invoca l’usucapione mediante
un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale e, comunque, inidoneo
agli effetti dell’usucapione”.

1.1. Rileva il collegio che il motivo — ancorché ammissibile in relazione all’osservanza del
requisito prescritto dal citato art. 366 bis c.p.c. — è infondato.
Al di là della circostanza che, con la formulata doglianza, non risulta specificamente
censurata dalla ricorrente l’autonoma “ratio decidendi” (v. pag. 12 della sentenza
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svolto attività difensiva. I difensori di entrambe le parti costituite hanno, altresì, depositato

impugnata) relativa al mancato esercizio di atti dispositivi corrispondenti a quelli del
proprietario (dandosi, invece, implicitamente per presupposto l’accertamento della
circostanza opposta), occorre evidenziare che, nel caso di specie, la Mometti — come
adeguatamente e logicamente motivato dalla Corte territoriale — non aveva comprovato
quale fosse la genesi del suo possesso idoneo, nella sussistenza dei requisiti previsti

favore, a titolo di usucapione.
In particolare, la Corte di merito — in virtù di un percorso logico sufficientemente
sviluppato e basato su idonei ed inequivoci accertamenti di fatto (come tali insindacabili
nella presente sede di legittimità) — ha appurato che i sigg. Cantoni Sergio e Cantoni
Lorella avevano dedotto che gli immobili per cui era controversia costituenti parte del
compendio ereditario (con riferimento al quale era stato introdotto un giudizio di
divisione) del “de cuius” Cantoni Francesco, erano stati messi a disposizione dei familiari
dallo stesso “de cuius”, il quale li aveva, in effetti, concessi ai figli per il soddisfacimento
delle loro rispettive esigenze, non potendosi escludere che in uno degli appartamenti
fosse stata ospitata anche la famiglia dell’altro figlio Andrea e che, quindi, la moglie
Mometti Cesarina vi avesse abitato, anche dopo il decesso del coniuge, con i propri figli.
Tuttavia, la Corte bresciana (tenendosi, peraltro, conto che la Mometti era intervenuta
successivamente in un giudizio di divisione ereditaria pendente tra gli eredi del suddetto
“de cuius”, facendo valere la sua pretesa di acquisto della proprietà dell’appartamento
per usucapione) ha escluso che l’attuale ricorrente avesse instaurato con l’immobile
occupato una relazione riconducibile a quella di un possesso in senso proprio, dal
momento che il rapporto con il bene era sorto in conseguenza della concessione di
ospitalità da parte del defunto suocero in favore dei figlio Andrea e della sua famiglia
(come del resto era accaduto anche per gli altri figli).

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dall’art. 1158 c.c., a poter eventualmente configurare un acquisto della proprietà, in suo

Da ciò la predetta Corte di appello ne ha fatto discendere la logica conseguenza —
basata su appositi riscontri fattuali ed in difetto, in ogni caso, di una prova contraria
incombente sulla Mometti — che quest’ultima si fosse venuta a trovare ad occupare
l’immobile (ancora facente parte del compendio ereditario da sciogliere) per concessione
del proprietario e non contro la sua volontà, in tal senso godendo di una mera posizione

Regolandosi in tal senso, la Corte di secondo grado si è correttamente conformata agli
orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali, per un verso, si è
statuito che l’onere della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione grava su
chi invoca la fattispecie acquisitiva (v., da ultimo, Cass. n. 18215 del 2013), e, per

altro verso, si è affermato (cfr. Cass. 12569 del 1993 e Cass. n. 7271 del 2003) che la
presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c. presuppone la mancanza di prova
che il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente come detenzione, in
conseguenza non di un atto volontario di apprensione, ma di un atto o un fatto del
proprietario possessore, poiché in tal caso l’attività del soggetto che dispone della
cosa non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, occorrendo per la
trasformazione della detenzione in possesso utile “ad usucapionem” il mutamento
del titolo, che deve essere provato con il compimento di idonee attività materiali in
opposizione al proprietario.

A quest’ultimo proposito si è, inoltre, chiarito (cfr., ad es., Cass. n. 1802 del 1995 e, da
ultimo, Cass. n. 5419 del 2011) che l’interversione della detenzione in possesso non può
avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un fatto
esterno, da cui sia consentito desumere che il detentore ha cessato di esercitare il potere
di fatto sulla cosa in nome altrui ed ha iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome e
per conto proprio, potendo realizzarsi anche mediante il compimento di attività materiali,
ma a condizione che gli stessi risultino tali da manifestare inequivocabilmente
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di detentrice.

l’intenzione di esercitare il potere esclusivamente “nomine proprio”, da rendere cioè
esternamente riconoscibile all’avente diritto che il detentore ha cessato di esercitare il
potere “nomine alieno” e che intende sostituire alla preesistente intenzione di
subordinare il proprio potere a quello altrui l'”animus” di vantare per sé il diritto esercitato.
E’, del resto, risaputo che, in tema di interversione idonea a trasformare la detenzione in

rimessa al giudice di merito, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte
di cassazione di prendere direttamente in esame la condotta della parte, al fine di trarne
elementi di convincimento, ma si può solo censurare, per omissione o difetto di
motivazione, la decisione di merito che abbia del tutto trascurato o insufficientemente
esaminato la questione di fatto della interversione (condizioni, queste ultime, non
ricorrenti nel caso di specie).
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto — ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’omessa o, comunque, insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia
riguardante l’affermazione, contenuta nella sentenza di appello, che l’occupazione
dell’immobile da parte della stessa Mometti era derivante da concessione del “de cuius”,
nonostante l’assenza di qualsiasi prova su tale fatto.
2.1. Questa censura e, per un verso, infondata e, per altro verso, inammissibile.
Al riguardo, sul piano generale, si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art.
366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in
cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo,
una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in
presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., ovvero
del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna
censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui
enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384
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possesso, l’accertamento, in concreto, dei suoi estremi integra un’indagine di fatto,

c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su
questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al
n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione
impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al

quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.
Orbene, sulla scorta di tanto, occorre rilevare che — con riferimento alla censura in
esame — difetta nella stessa l’autonoma ed adeguata esposizione della sintesi
dell’insufficienza motivazione (ragion per cui, sul punto, la doglianza di profila
inammissibile), mentre, pur risultando idoneamente indicato il fatto controverso, non può
dirsi — per le ragioni già evidenziate in risposta alla prima censura — che la Corte di
appello di Brescia abbia omesso la motivazione sul titolo meramente detentivo
riconoscibile in capo alla Mometti e sulla mancata prova del sopravvenuto intervento di
una effettiva “interversio possessionis”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli
artt. 244 e 115 c.p.c., nonché l’omessa, o comunque insufficiente, motivazione circa il
fatto decisivo per la controversia relativo alla mancata ammissione delle prove orali
dedotte da essa quale appellante in quanto inammissibili ed inconferenti, senza
considerare che gli appellati non avevano mai contestato che ella avesse utilizzato gli
immobili in questione dal 1953, sostenendo le spese di manutenzione dei medesimi, e
che, poi, le circostanze oggetto delle prove orali avrebbero dovuto essere integrate con
tali risultanze. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. risulta formulato — quanto alla violazione di
legge — il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se nel valutare l’ammissibilità e la
rilevanza dei capitoli di prova dedotti si debbano tenere presenti le altre risultanze
istruttorie, compresi i fatti non contestatf’; con riferimento al vizio motivazionale il fatto
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quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le

controverso e decisivo per il giudizio è riferito all’occupazione degli immobili da parte
della stessa Mometti dal 1953 e dal pagamento, da parte della stessa, delle spese di
manutenzione, circostanze rilevanti agli effetti della valutazione dell’ammissibilità delle
prove.
3.1. Quest’ultima censura è inammissibile, sotto il profilo della dedotta violazione di

e prospettato in modo tautologico), mentre lo è altrettanto, con riferimento al prospettato
vizio motivazionale (ancorché specificamente strutturato nel riportare i capitoli di prova
orale proposti in sede di merito), avendo la Corte territoriale adeguatamente argomentato
sulla irrilevanza delle circostanze indicate dalla Mometti in funzione della valutazione
della fondatezza o meno dell’avanzata domanda di usucapione. A tal proposito, la Corte
di secondo grado ha idoneamente evidenziato che la generica affermazione, da parte
della Mometti, di aver abitato l’immobile (senza alcuna ulteriore specificazione sulle
modalità di utilizzazione delle due distinte unità abitativa) e l’altrettanto generica
allegazione della circostanza che la stessa avesse provveduto alle spese per interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria non ben definiti non potessero essere conferenti
al fine di riscontrare l’integrazione di quella condotta oppositiva, nei confronti del
proprietario, propriamente necessaria, ai sensi del citato art. 1141 c.c., per la
concretizzazione di una idonea “interversio possessionis”.
Al riguardo è utile ribadire che l’art. 1141 c.c. non consente al detentore di
trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà,
ma richiede, per il mutamento del titolo, o l’intervento di “una causa proveniente
da un terzo”, per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto
idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità,
efficacia dell’atto medesimo, compresa l’ipotesi di acquisto da parte del titolare
solo apparente, oppure l’opposizione del detentore contro il possessore,
9

legge, per assoluta genericità del formulato quesito (sganciato dalla concreta fattispecie

opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e che
consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di
lui diritto, l’intenzione di tenere la cosa come propria.
Fermi tali presupposti giuridici va riconfermato che lo stabilire se, in conseguenza
di un atto negoziale, ancorché invalido, al detentore di un immobile sia stato da un

giudice di merito, i cui apprezzamenti e valutazioni sono sindacabili in sede di
legittimità soltanto se fondati su una motivazione illogica od inadeguata (aspetti —
come già posto in risalto — non sussistenti nel caso di specie).
Oltretutto, costituisce principio altrettanto pacifico che l’accertamento relativo alla effettiva
configurabilità o meno di un possesso utile “ad usucapionem” e alla rilevanza delle
inerenti prove è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se
sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici.
E’, inoltre, indiscusso che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove,
di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad
esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
nonché la facoltà di escludere la rilevanza di una o più prove.
4. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile (o rigettato), con conseguente condanna della ricorrente al pagamento — in
favore dei controricorrenti (in via solidale) – delle spese del presente giudizio, che si
liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il
giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di
specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012). Non
occorre, invece, adottare alcuna statuizione in punto spese con riferimento al rapporto
10

terzo trasferito il possesso del bene, costituisce un’indagine di fatto, riservata al

processuale instauratosi in questa sede tra la ricorrente e gli altri intimati, non avendo
questi ultimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei
controricorrenti in via solidale, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi
euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 27 novembre 2013.

Il Consigliere estensore

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CORTE SUPREMA D! CASSAZIONE
Si attesta la registrazione presso
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DEPOS4TO IN CANCELLERIA

Roma,

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3 O DIC.2013

come per legge.

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