Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28724 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 25/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6667/2019 proposto da:

C.O., rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Defilippi,

del Foro di Milano, come da procura in calce al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

D.D., nato a (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di TORINO n. 10/2019

pubblicato il 14 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25 novembre 2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 14 gennaio 2019, la Corte di appello di Torino ha rigettato il ricorso proposto da C.O. avverso il decreto del Tribunale per i Minorenni di Torino del 17 luglio 2018, con il quale il Tribunale, decidendo in via provvisoria, aveva autorizzato i Servizi a sospendere gli incontri madre/figlio, sino a quando la madre non avesse instaurato un rapporto di effettiva collaborazione con il CSM e con la NPI, volto alla comprensione del suo ruolo, facendo contestualmente divieto alla madre di frequentare ed avvicinarsi ai luoghi frequentati dal figlio e delegando altresì la Dott.ssa M. per l’attività istruttoria.

2. La Corte di appello di Torino, premesso che gran parte del reclamo si fondava su ultronee valutazioni di merito in ordine a CTU psicologica espletata in pregresso e diverso procedimento e ritenendo priva di pregio l’istanza istruttoria di nuova CTU, ha affermato che il ricorso del PM aveva evidenziato che anche i rapporti in luogo neutro erano fonte di intensa sofferenza per il piccolo, che era spaventato dall’irruenza della madre e dalle modalità con le quali la signora si rapportava con le persone, rivendicando il proprio figlio e invadendo ogni spazio nel quale il minore si trovava quotidianamente e che la madre aveva esternato sui social pesanti critiche nei confronti di tutti coloro che a qualsiasi titolo si erano occupati della sua situazione familiare; che il provvedimento assunto, in attesa della decisione sul ricorso del PM di decadenza dalla responsabilità genitoriale, era teso a salvaguardare medio tempore la serenità del minore e che non era accoglibile l’istanza di audizione del minore, poichè si trattava di un reclamo avverso un provvedimento meramente provvisorio e temporaneo, in attesa di istruttoria ulteriore, nè rilevava la certificazione dell’ASL del (OMISSIS) che attestava che la signora vi si era recata per una visita specialistica e ci si era trattenuta per un’ora, non avendo un valore dirimente e di dimostrazione dell’avvenuta instaurazione della collaborazione con il CSM e con la NPI.

3. C.O., avverso il detto decreto, ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.

4. D.D. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 316 e 317 bis c.c. e artt. 6-8 della CEDU.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 11 Cost., artt. 315 bis, 316 bis e 337 octies c.c., art. 12 della Convenzione di new York e dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo.

La ricorrente assume che era stato violato il diritto alla bigenitorialità e che era necessario tenere conto del modo con il quale i genitori avessero precedentemente svolto i propri compiti e delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto e, al riguardo, evidenziava che D.D. era stato condannato con sentenza penale del 20 gennaio 2015 del Tribunale di Torino per il reato di cui all’art. 582 c.p. e che sia il figlio minore che lei stessa risultavano persone offese, il primo per i reati di cui agli artt. 572,323,328,582 e 585 c.p., per fatti accaduti nel 2017 e lei stessa per i reati di cui all’art. 610 c.p., per fatti commessi nel (OMISSIS) e art. 570 c.p..

Assume, inoltre, che ciò che era descritto a suo carico risultava essere la conseguenza del mancato rispetto delle disposizioni rese nella sentenza n. 5488/2017 emessa dal Tribunale ordinario di Torino, disposizioni che non erano state rispettate nè dal padre, nè dai servizi sociali e che la relazione dei servizi sociali da cui era scaturito il provvedimento del Tribunale per i minorenni era riferibile ad un assistente sociale non più competente, atteso il cambio di circoscrizione che aveva in cura il minore.

Ancora in relazione alla certificazione dell’ASL competente del (OMISSIS), lo specialista, accertata la sua completa capacità mentale, non aveva ritenuto necessario intraprendere un percorso di recupero, come dimostrato anche dalle plurime relazioni peritali in atto e dal percorso educativo di sostegno alla genitorialità seguito presso il Centro per le famiglie della città di Torino, circostanza questa neppure considerata dal Giudice di merito.

In ultimo, la Corte non aveva proceduto all’ascolto del minore capace di discernimento, rigettando la relativa richiesta.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 Le Sezioni Unite di questa Corte, con specifico riferimento ai provvedimenti de potestate emessi ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., a conclusione del procedimento camerale specificamente previsto dal legislatore, rimeditando il proprio precedente contrario orientamento (pure affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6220 del 1986) hanno affermato che “i provvedimenti “de potestate”, emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., hanno attitudine al giudicato “rebus sic stantibus”, in quanto non sono revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi; pertanto, il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7″ (Cass., Sez. U., 13 dicembre 2018, n. 32359).

Più specificamente, le Sezioni Unite, alla luce delle modifiche introdotto dalla L. n. 154 del 2013 e dalla L. n. 219 del 2012, hanno precisato che:

– la L. n. 154 del 2013, ha modificato la struttura dei procedimenti de potestate perchè ha previsto che il minore che abbia compiuto i dodici anni o il minore di età, se capace di discernimento, debba essere ascoltato e, ove si ipotizzi un conflitto di interessi coi genitori, deve essergli nominato un curatore speciale;

– il legislatore ha pure previsto che debba essere ascoltato anche il genitore contro cui è chiesto il provvedimento di decadenza o di compressione della responsabilità genitoriale e sia il genitore, che il minore debbono essere assistiti da un difensore;

– di conseguenza, i procedimenti de potestate sono caratterizzati dal contraddittorio tra le parti e procedimenti che dirimono conflitti tra posizioni giuridiche diverse;

– la previsione del procedimento camerale, da sempre impiegato per la trattazione di controversie su diritti e status, non è univoca al fine di escludere l’idoneità dei provvedimenti emessi alla formazione del giudicato rebus sic stantibus, così i provvedimenti in tema di affidamento dei figli che sono ritenuti a carattere decisorio e dotati di stabilità, con la conseguenza che nei loro confronti è ammesso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7;

– l’esercizio della responsabilità genitoriale ben può essere regolato attraverso la sua parziale o totale compromissione o comunque risentirne e, comunque, anche in materia di affidamento dei figli i provvedimenti sono assunti nel loro esclusivo interesse morale e materiale e sono sottratti alla disponibilità delle parti e al rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, essendo volti a soddisfare esigenze pubblicistiche;

– nell’esegesi dell’art. 38 disp. att. c.c., quale riformulato dalla L. n. 219 del 2012, art. 3, comma 1, la stessa sentenza potrebbe contenere, in relazione alla medesima materia, statuizioni assunte ai sensi degli artt. 337 bis c.c. e segg., ed altre assunte ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., con evidente incongruità del sistema, ove si ritenesse di continuare ad operare una distinzione nell’ambito di esse attribuendo solo alle prime e non anche alle seconde, attitudine al giudicato rebus sic stantibus e se ne differenziasse, di conseguenza, il regime impugnatorio;

– tale aporia si risolve riconoscendo alle statuizioni de potestate il carattere della stabilità e la disposizione di cui all’art. 742 c.p.c., va interpretata riconoscendo la possibilità di operare modifiche e revoche limitatamente alla valutazione di vizi di merito o di legittimità sopravvenuti, con esclusione di una rinnovata valutazione di circostanze o fatti preesistenti.

– i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale incidono su diritti di natura personalissima e di rango costituzionale e tenuto conto del potenziale grado di incisività degli effetti che possono prodursi medio tempore nell’ambito delle relazioni familiari sui diritti dei soggetti implicati e sulla vita del minore costituisce un vulnus del diritto di difesa non consentire il controllo della Corte, ritenendoli non decisori e definitivi.

3.2 Si è, quindi, affermato che i provvedimenti cosiddetti de potestate, che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale, ovvero i provvedimenti di decadenza limitativi di cui agli artt. 330 e 333 c.c., hanno l’attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, con la conseguente ammissibilità del ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

Nello specifico, le Sezioni Unite, non mancando di affrontare, seppure indirettamente, la questione della natura dei procedimenti camerali ex artt. 737 c.p.c. e segg., specificamente previsti anche per la trattazione di controversie aventi ad oggetto diritti e status, hanno messo in evidenza che i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti dirimono conflitti tra posizioni giuridiche soggettive diverse e, per ciò, sono caratterizzati da una forte esigenza di contraddittorio; sono provvedimenti assunti nell’interesse esclusivo del minore e sottratti alla disponibilità delle parti per le forti esigenze pubblicistiche agli stessi sottese, sono dotati di “stabilità” rebus sic stantibus e hanno carattere “decisorio”.

Già le Sezioni Unite, con la sentenza 19 giugno 1996, n. 5629, intervenuta dopo la sentenza della Corte Costituzionale 27 giugno 1975, n. 202 (che aveva affermato la legittimità costituzionale dei procedimenti camerali su diritti, rilevando che il processo ordinario di cognizione e la cognizione piena non erano costituzionalizzati), ha evidenziato che l’interpretazione giurisprudenziale prevalente aveva finito con il coniugare giurisdizione con volontaria giurisdizione, contemperando gli interventi legislativi in favore del rito camerale, a tutela delle innegabili esigenze di celerità, snellezza e concentrazione con l’inderogabile necessità della tutela giurisdizionale dei diritti e che la crisi del processo ordinario di cognizione e le peculiarità di alcune controversie (separazione, adozione, divorzio, filiazione, procedure concorsuali), avevano fatto sì che il legislatore più che soffermarsi sui dati strutturali del procedimento che ne regolavano lo svolgimento formale, si era preoccupato di sottrarre questi processi alle lungaggini e alle disfunzioni dell’ordinario giudizio di cognizione per inserirli tra i “procedimenti a contenuto oggettivo”, caratterizzati dal rilievo riconosciuto ai poteri del giudice.

Nel contesto, poi, caratterizzato dall’art. 111 Cost., come modificato dalla L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2, art. 1, che prevede che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” (comma 1) e che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata” (comma 2), la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta sulla questione di legittimità costituzionale del procedimento camerale rispetto al novellato art. 111 Cost., confermando la legittimità di una interpretazione adeguatrice delle norme processuali interessate dal giudizio di costituzionalità (Corte Costituzionale, 16 gennaio 2002, n. 1), a cui hanno fatto seguito numerose pronunce di questa Corte sulla disciplina dettata dagli artt. 737 c.p.c. e segg., con specifico riferimento agli interessi dei minori e della famiglia e alla materia fallimentare, riguardanti l’instaurazione del contraddittorio, la difesa tecnica, l’audizione degli interessati; le impugnazioni e l’immodificabilità della decisione assicurata dal giudicato correlata all’art. 111 Cost., comma 7.

3.3 Ciò posto, questa Corte è chiamata a valutare se anche nei provvedimenti de potestate pronunciati “in via provvisoria”, sia configurabile una preclusione da cosa giudicata, sia pure rebus sic stantibus, e se, di conseguenza, nei loro confronti sia ammesso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

3.4 Ai fini della trattazione della esposta questione si impongono alcune considerazioni preliminari sul giudicato, istituto giuridico che costituisce una delle principali espressioni del valore della certezza del diritto (Cass. 13 novembre 2013, n. 25508).

Secondo la dottrina più autorevole la cosa giudicata, che non può prescindere dalla presenza nel processo di specifiche garanzie formali, da un lato si riferisce all’accertamento contenuto nella sentenza che abbia acquisito l’autorità della cosa giudicata formale, in quanto non più soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione; dall’altro si realizza in un preciso vincolo giuridico, in forza del quale l’accertamento e la tutela delle situazioni giuridiche soggettive fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi ed aventi causa.

Ne consegue che mentre il giudicato formale attiene all’irrevocabilità della sentenza, il giudicato sostanziale riguarda specificamente il diritto tutelato e la stabilità del rapporto giuridico deciso.

Ora, con specifico riferimento ai provvedimenti suscettibili di acquisire l’autorità di giudicato sostanziale disciplinato dall’art. 2909 c.c., collocato a ragione nel titolo relativo alla “Tutela giurisdizionale dei diritti”, vengono in rilievo innanzi tutto i provvedimenti conclusivi del giudizio, perchè provvedimenti che affermano o negano il diritto fatto valere con la domanda e che realizzano il fine peculiare del processo che è quello della risposta alla specifica domanda giudiziale formulata dalla parte che agisce.

Questi provvedimenti, poi, diventano immodificabili una volta che siano esauriti i mezzi di impugnazione predisposti dall’ordinamento.

Il giudicato interno, inoltre, non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (Cass., 17 aprile 2019, n. 10760).

Non si forma, invece, su enunciazioni puramente incidentali, nonchè su considerazioni prive di relazione causale con quanto abbia formato oggetto della decisione, le quali, appunto perchè mancanti di collegamento con il contenuto del dispositivo, non hanno efficacia decisoria e non possono pregiudicare i diritti delle parti (Cass., 31 maggio 2006, n. 13003).

Per converso, non hanno attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata, quanto meno rebus sic stantibus, i provvedimenti provvisori per un duplice profilo:

innanzi tutto perchè la provvisorietà non li fa sopravvivere al normale esito finale del procedimento;

in secondo luogo perchè in quanto provvisori non stabiliscono alcuna disciplina definitiva in ordine al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

Inoltre, i provvedimenti provvisori, non contenendo un accertamento vincolante per il futuro, non impediscono che la stessa situazione giuridica soggettiva venga esaminata nuovamente e sulla base degli stessi elementi.

3.5 Anche secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte di cassazione, il provvedimento giurisdizionale avverso il quale è sempre ammesso il ricorso in Cassazione, sia esso sentenza, ordinanza o decreto, va interpretato in senso sostanziale come provvedimento che abbia i caratteri della decisorietà e della definitività, ovvero che pronunci irrevocabilmente e senza possibilità di impugnazioni su diritti soggettivi (Cass., 22 novembre 2016, n. 23763; Cass., 20 aprile 2018, n. 9830).

Nello specifico è stato evidenziato che un provvedimento assume carattere decisorio quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, e riveste la connotazione della definitività in quanto non altrimenti modificabile, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà e della definitività, nei termini sopra esposti può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost.” (Cass., Sez. U., 2 febbraio 2016, n. 1914; Cass. 25 ottobre 2016, n. 21522).

Pure di recente, questa Corte ha individuato i requisiti richiesti ai fini del ricorso straordinario nella decisorietà e nella definitività dei provvedimenti: decisorietà, nel senso che incidano su diritti o status; definitività, in quanto l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione, o, più in generale, quando manchi un rimedio impugnatorio e il provvedimento non sia modificabile e revocabile ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso (Cass., 11 settembre 2018, n. 22122).

Con riguardo specifico ai provvedimenti che dispongono misure cautelari e provvisorie, la Corte ha evidenziato che il provvedimento che costituisce misura cautelare e provvisoria, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non statuisce su di essi a definizione di una controversia, nè ha attitudine ad acquistare autorità di giudicato sostanziale, con la conseguente inimpugnabilità con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.; parimenti, in relazione ai provvedimenti resi in sede di reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c., ha precisato che sono destinati, al pari dei provvedimenti cautelari oggetto di reclamo, a perdere efficacia e vigore a seguito della decisione di merito ed inidonei a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato (Cass., Sez. U., 24 gennaio 1985, n. 824; Cass., Sez. U., 2 aprile 1998, n. 3380; Cass., 27 marzo 1999, n. 2942; Cass., 17 maggio 2000, n. 6398; Cass., 2 febbraio 2012, n. 1518; Cass., 18 giugno 2013, n. 15263).

3.6 Il principio, quindi, che se ne ricava è che in tanto si può parlare di attitudine al giudicato rebus sic stantibus in quando ci si trova in presenza di provvedimenti decisori e definitivi.

E’ un principio che il Collegio condivide e che deve considerarsi applicabile anche alla fattispecie in esame, con la necessaria considerazione che nel caso in esame il provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni di Torino e confermato dalla Corte di appello con il decreto in questa sede impugnata, non riveste i suddetti requisiti: non ha carattere decisorio, in quanto non ha l’attitudine a incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato rebus sic stantibus, essendo stato adottato formalmente e sostanzialmente a titolo provvisorio, e non è definitivo, non essendo stato emesso a conclusione del procedimento e potendo essere revocato, modificato o riformato dallo stesso giudice che lo ha emesso anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti.

Nello specifico, il decreto del Tribunale per i Minorenni di Torino del 17 luglio 2018, ha autorizzato, in attesa dell’istruttoria pure disposta ai fini della decisione sul ricorso proposto dal P.M. ai sensi dell’art. 330 c.c., i servizi sociali a sospendere gli incontri madre/figlio, sino a quando la madre non avesse instaurato un rapporto di effettiva collaborazione con il CSM e con la NPI, volto alla comprensione del suo ruolo, facendo contestualmente divieto alla madre di frequentare ed avvicinarsi ai luoghi frequentati dal figlio e delegando altresì la Dott.ssa M. per l’attività istruttoria.

Non può dirsi, dunque, che l’atto giurisdizionale in esame rivesta autonoma valenza di provvedimento decisorio rebus sic stantibus in quanto è finalizzato ad essere superato, aperta la discussione del merito, con l’adozione del provvedimento definitivo.

3.7 In conclusione, deve negarsi carattere di decisorietà e di definitività al provvedimento assunto “in via provvisoria”, sia perchè tale decreto non ha l’attitudine a incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato rebus sic stantibus perchè è un provvedimento che non contiene un accertamento di merito sull’esistenza dei presupposti della decadenza dalla potestà genitoriale, provvedimento cui è specificamente finalizzato il procedimento in esame; sia perchè non è stato emesso a conclusione del procedimento e potendo essere revocato, modificato o riformato dallo stesso giudice che lo ha emesso anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti.

E ciò diversamente dal decreto con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, che, come affermato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, è emesso all’esito di un procedimento – che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro – e che non è nè revocabile, nè modificabile, se non per la sopravvenienza di fatti nuovi; che ha attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus ed è, quindi, senz’altro impugnabile con il ricorso per cassazione che va, di conseguenza, ritenuto pienamente ammissibile.

4. Il ricorso va, conseguentemente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo la parte controricorrente svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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