Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28723 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29658 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

P. s.r.l., in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv.

Aldo Papa, per procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliata in Roma, via Panaro, n. 14, presso lo

studio dell’Avv. Luigi De Sisto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania n. 181/17/11, depositata il giorno 27

maggio 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 giugno

2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso due avvisi di accertamento con i quali erano stati contestati, per gli anni di imposta 2004 e 2005, ricavi non dichiarati e una plusvalenza non dichiarata relativa alla vendita di un immobile; in particolare, l’esistenza di ricavi non dichiarati era stata accertata in via presuntiva facendo riferimento alle risultanze dei conti correnti bancari intestati al socio Pretella, titolare di una quota di partecipazione alla società al novanta per cento; avverso i suddetti atti aveva proposto ricorso la contribuente; la Commissione tributaria provinciale di Caserta aveva rigettato il ricorso, ritenendo che il P. non aveva dato in alcun modo giustificazione delle movimentazioni bancarie sui conti correnti bancari a lui intestati; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto ricorso la contribuente;

la Commissione tributaria regionale della Campania ha parzialmente accolto l’appello, ritenendo che la presunzione su cui si basava l’accertamento era priva dei requisiti della gravità, precisione e concordanza e che, al caso di specie, non trovava applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non potendo le movimentazione bancarie del socio P. essere ricondotte a ricavi della società, ma, semmai, a questi come persona fisica; con riferimento alla presunzione di realizzo della plusvalenza non dichiarata relativa alla vendita di un immobile, non trovava riscontro documentale la circostanza che il minor valore del prezzo indicato nell’atto di vendita definitivo rispetto a quello, maggiore risultante dal preliminare, fosse conseguenza dell’assunzione da parte dell’acquirente degli oneri relativi a lavori da eseguire sul bene immobile;

l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, in epigrafe;

si è costituita la società contribuente depositando controricorso; ritenuto che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere motivato, se non con motivazione apparente, sulla non sussistenza, nel caso di specie, delle presunzioni gravi, precise e concordanti poste a base dell’accertamento impugnato;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa e insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, non avendo tenuto conto, al fine di verificare la sussistenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti, che legittimavano l’accertamento presuntivo con riferimento alle movimentazione bancarie del socio, di diversi elementi, quali: a) P.S. era socio al novanta per cento dello società; b) lo stesso era, altresì, legale rappresentante della società; c) il P.S. non svolgeva alcuna attività oltre quella di amministratore e legale rappresentante della società; d) il suddetto socio, eseguite le verifiche sui suoi conti correnti bancari, non aveva dato giustificazione delle movimentazioni; e) le suddette movimentazioni bancarie era di importi particolarmente rilevanti;

con il terzo motivo di censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, per non avere ritenuto utilizzabili le risultanze delle movimentazioni bancarie del socio ai fini dell’accertamento, in via presuntiva, di un maggior reddito imputabile alla società;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono fondati;

va preliminarmente osservato che le eccezioni di inammissibilità dei motivi di ricorso proposti dalla controricorrente non sono fondati;

in particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso, come si avrà modo di chiarire, è corretto il riferimento alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); con riferimento al secondo motivo di ricorso, gli avvisi di accertamento, oggetto di contestazione da parte della contribuente, sono stati prodotti in questa sede al fine di attendere al requisito di autosufficienza del ricorso, il quale, peraltro, contiene in sè i passaggi rilevanti degli avvisi di accertamento da cui la ricorrente ricava i motivi di censura prospettati; anche relativamente al terzo motivo, il riferimento alla violazione di legge è stato, correttamente, compiuto dalla ricorrente in quanto la considerazione della non riferibilità delle movimentazioni bancarie del socio a ricavi della società si pone in contrasto con la disciplina di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, come di seguito verrà più compiuta chiarito;

la pronuncia impugnata, nel definire la questione della legittimità della contestazione di un maggior reddito accertato nei confronti della società sulla base delle risultanze delle movimentazioni bancarie dei conti correnti intestati al socio, si è limitata a pronunciare che “la presunzione su cui si basa l’accertamento è priva dei requisiti della gravità, precisione e concordanza” e che “le movimentazioni bancarie intestate al socio Pretella (sia pure con una quota pari al 90%) non possono, tout court, essere ricondotte a ricavi della società partecipata”;

la stessa, dunque, non chiarisce in alcun modo l’iter logico giuridico seguito per addivenire alla conclusione in esame, limitandosi ad una mera affermazione senza alcuna argomentazione in merito;

sul punto, si evidenzia che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata;

pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata);

nella fattispecie le considerazioni svolte dai giudici di appello nella motivazione della sentenza, non sono tali da disvelare quali siano gli elementi probatori esaminati e conducenti all’affermazione che l’accertamento è privo dei requisiti della gravità, precisione e concordanza e che le movimentazioni bancarie del socio non potevano essere ricondotte ai ricavi della società;

peraltro, in questo senso tenendo conto di quanto esposto nel secondo motivo di censura, diversi erano gli elementi posti all’attenzione del giudice di appello al fine di valutare adeguatamente la sussistenza dei presupposti per la legittimità della pretesa e del procedimento presuntivo applicato, quali, in particolare, il fatto che: a) P.S. era socio al novanta per cento dello società; b) lo stesso era, altresì, legale rappresentante della società; c) il P.S. non svolgeva alcuna attività oltre quella di amministratore e legale rappresentante della società; d) il suddetto socio, eseguite le verifiche sui suoi conti correnti bancari, non aveva dato giustificazione delle movimentazioni; e) le suddette movimentazioni bancarie era di importi particolarmente rilevanti;

tali elementi non sono stati presi in considerazione dal giudice di appello, e tuttavia risultano decisivi ai fini della valutazione della legittimità della pretesa;

in questo ambito, ed in considerazione di quanto censurato con il terzo motivo di ricorso, in particolare, va considerato che in tema di accertamento del reddito d’impresa, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, sicchè possono assumere rilievo ai fini delle indagini i conti correnti intestati all’amministratore unico e socio assoluto di maggioranza di una società a responsabilità limitata in ragione di movimentazioni sia in entrata che in uscita che non trovino corrispondenza alcuna nelle registrazioni contabili e che questi non documenti la provenienza dei suddetti movimenti;

questa Suprema Corte, peraltro, ha espresso il principio che, in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 600 cit., art. 32, incombe sulla società contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa (Sez. 5, n. 8112 del 22/04/2016);

il giudice di appello, con la pronuncia in esame, si è limitato a ritenere non sussistenti gli elementi presuntivi che legittimano l’accertamento di un maggiore reddito della società, senza tuttavia tenere in considerazione le diverse circostanze fattuali, sopra indicate, da cui potere, eventualmente, accertare, in via presuntiva, la riferibilità di fatto delle movimentazioni bancarie alla società contribuente;

per quanto sopra esposto, i motivi di ricorso sono fondati ed il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugna con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di Lire del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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