Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28721 del 30/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 28721 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

sul ricorso 23361-2009 proposto da:
RUGGERI GIUSEPPE RGGGPP62L11B801R, TEBALDI PATRIZIA
TBLPRZ65T51C649S, TEBALDI ALESSANDRO
TBLLSN32R24C649V, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA LUCREZIO CARO, 62, presso lo studio dell’avvocato
RIBAUDO SEBASTIANO, che li rappresenta e difende
2013

unitamente all’avvocato CHINOTTI STEFANO;
– ricorrenti –

2485
contro

TEBALDI

BRUNO

TBLBRN47L20C649C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo

Data pubblicazione: 30/12/2013

studio

dell’avvocato

rappresenta

e

difende

IVELLA

che

ENRICO,

unitamente

lo

all’avvocato

BENDINELLI PAOLO;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 937/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato Ribaudo Sebastiano difensore dei
ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. Ivella Enrico difensore del
controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, o il rigetto.

,P

di BRESCIA, depositata il 29/10/2008;

SVOLGIMENTO DLE PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 13 e 14-11-1997 Tebaldi
Bruno conveniva dinanzi al Tribunale di Bergamo Tebaldi
Alessandro, Tebaldi Patrizia e Ruggeri Giuseppe, chiedendo

proprietà dell’immobile sito in Chiuduno, via Fantoni n. 16. In via
subordinata, l’attore chiedeva la condanna di Tebaldi Alessandro a
restituirgli la somma di lire 2.832.000, da lui versata a titolo di
corrispettivo per l’acquisto del bene in questione, nonché al
risarcimento dei danni derivati dalla violazione del patto di
prelazione stipulato in sede di divisione in data 1-1-1967.
Nel costituirsi, i convenuti contestavano la fondatezza della
domanda.. Tebaldi Patrizia e Ruggeri Giuseppe proponevano altresì
domanda riconvenzionale per ottenere la condanna dell’attore alla
restituzione dell’appartamento in oggetto, mentre Tebaldi Alessandro
chiedeva a sua volta in via riconvenzionale la condanna di Tebaldi
Bruno al pagamento dell’indennità di occupazione dell’immobile.
Con sentenza in data 23-5-2004 il Tribunale accoglieva la
domanda di usucapione proposta dall’attore.
Avverso la predetta decisione proponevano appello i
convenuti.
Con sentenza in data 29-10-2008 la Corte di Appello di
Brescia rigettava il gravame. La Corte territoriale, in particolare, nel

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l’accertamento dell’acquisto in suo favore, per usucapione, della

rilevare che l’attore aveva iniziato a possedere l’appartamento in
questione nel luglio del 1974, allorché vi si era trasferito a seguito
del matrimonio, ed anche dopo il trasferimento di residenza,
avvenuto nel 1989, aveva mantenuto la piena signoria di fatto

termine di usucapione ventennale l’atto di citazione notificato dai
convenuti a Tebaldi Cesare in data 22-2-1992. Il giudice del
gravame, inoltre, rilevava che la scrittura del 24-2-1974, con la
quale Tebaldi Alessandro, alla presenza di Tebaldi Cesare,
dichiarava di aver venduto a Tebaldi Bruno l’appartamento per cui è
causa per il prezzo di lire 2.832.000, pur non essendo configurabile
come valido atto traslativo della proprietà, costituiva elemento
idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra
l’ accipiens e la res Ircullia fosse sorretto dall’animus reni sibi
ha bendi.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Tebaldi Alessandro, Tebaldi Patrizia e Ruggeri Giuseppe, sulla base
di due motivi.
Tebaldi Bruno ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e
falsa applicazione di norme di diritto (individuate, in sede di
illustrazione del motivo, negli artt. 1310, 1165 e 2943 c.c.), in

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sull’immobile, escludeva che potesse valere ad interrompere il

relazione all’affermazione della Corte di Appello, secondo cui
l’elemento temporale necessario per l’acquisto della proprietà
dell’usucapione da parte di Tebaldi Bruno non sarebbe venuto meno
a seguito della notifica a Tebaldi Cesare dell’atto di citazione con il

dell’appartamento per cui è causa, perché detenuto senza titolo.
Deducono che nella specie non appare conferente il principio
richiamato nella sentenza impugnata, circa l’inidoneità degli atti
interruttivi dell’usucapione eseguiti nei confronti di uno dei
compossessori ad assumere rilevanza anche nei confronti degli altri,
in quanto Tebaldi Cesare non era compossessore del fratello Tebaldi
Bruno, ma detentore dell’immobile, posseduto solo da quest’ultimo.
Rilevano che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1165 e 2943
c.c., l’azione di rivendica esperita da chi assume di essere
proprietario nei confronti di chi possegga o detenga per ottenere
l’accertamento del proprio diritto e la restituzione dei beni che ne
sono oggetto, è idonea ad interrompere la prescrizione
Il motivo è infondato, avendo il giudice del gravame
correttamente escluso che la domanda giudiziale proposta nei
confronti del detentore Tebaldi Cesare potesse valere quale atto
interruttivo del decorso del termine di usucapione nei confronti del
possessore Tebaldi Bruno

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quale Tebaldi Patrizia e Ruggeri Giuseppe avevano chiesto il rilascio

E’ vero che, come evidenziato dai ricorrenti, nel caso in
esame, non vertendosi in un’ipotesi di compossesso, non appare
pienamente calzante il principio di diritto richiamato dalla Corte
territoriale, secondo cui gli atti interruttivi dell’usucapione posti in

interruttivo nei confronti degli altri compossessori, in quanto il
principio di cui all’art. 1.310 c.c. -secondo cui gli atti interruttivi
contro uno dei debitori in solido interrompe la prescrizione contro il
comune creditore con effetto verso gli altri debitori- trova
applicazione in materia di diritti di obbligazione e non di diritti
reali, per i quali non sussiste vincolo di solidarietà, dovendosi,
invece, fare riferimento ai singoli comportamenti dei compossessori,
che giovano o pregiudicano solo coloro che li hanno (o nei cui
confronti sono stati) posti in essere (cfr. Cass. 5-7-1999 n. 6942;
Cass. 7-12-1982 n. 6668).
La soluzione adottata dal giudice di appello, tuttavia, appare
conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza in tema di
interruzione del possesso ai sensi dell’art. 1165 c.c.
In proposito, è stato più volte precisato che gli atti
d’interruzione dell’usucapione normativamente previsti (naturale e
giudiziale) -in quanto diretti ad incidere sulla continuità del
possesso, che è una connotazione della situazione oggettiva posta in
essere e mantenuta dal possessore permanentemente manifestando un

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essere nei confronti di un compossessore non hanno effetto

potere esclusivo sul bene corrispondente all’esercizio della proprietà
o d’altro diritto reale-, per essere efficaci, debbono essere rivolti
direttamente nei confronti del possessore medesimo, in guisa da
intervenire su detta situazione impedendola o contestandola; ond’è

d’inerzia, deve o privare il possessore della disponibilità materiale
del bene, determinando un’interruzione naturale del possesso, ovvero
compiere un atto di esercizio del diritto, proponendo nei confronti
del possessore stesso ed esclusivamente di esso una domanda
giudiziale intesa a recuperarlo (cfr., anche in motivazione, Cass. 2311-2001 n. 14917; Cass. 21-5-2001 n. 6910; Cass. 14-11-2000 n.
14733).
L’atto

o

il

fatto

interruttivo,

pertanto,

per

incidere

negativamente sul decorso del termine richiesto dalla legge per
usucapire, devono necessariamente essere diretti contro il possessore
Deve escludersi, di conseguenza, che la domanda giudiziale
diretta ad ottenere il rilascio di un immobile, proposta dal
proprietario esclusivamente nei confronti del detentore materiale,
possa valere ad interrompere il decorso del termine di usucapione nei
confronti del possessore del bene, rimasto estraneo al relativo
giudizio.
2) Con il

secondo

motivo

i ricorrenti

l’insufficiente e contraddittoria motivazione,

denunciano

nonché l’errata

che, per conseguire tale risultato, il proprietario, uscendo dallo stato

valutazione giuridica dei fatti, in relazione all’affermazione
contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la dichiarazione di
vendita del 17-2-1974 sottoscritta da Tebaldi Alessandro e Tebaldi
Bruno, pur non potendo valere come valido atto di trasferimento

possedesse animo domini.

della proprietà, costituiva elemento per ritenere che l’acquirente
Sostengono che la scrittura in esame,

presupponendo un atto di alienazione inesistente, era inidonea a
produrre effetti traslativi e a fondare l’esistenza nell’attore del
requisito psicologico del possesso.
Il motivo è privo di fondamento.
Deve premettersi che, secondo il costante orientamento della
giurisprudenza, chi agisce in giudizio per ottenere di essere
dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito,
deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta
fattispecie acquisitiva e quindi, tra l’altro, non solo del corpus, ma
anche dell’animus. Tale elemento, tuttavia, può eventualmente essere
desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di
attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà; sicché
allora è il convenuto che deve dimostrare il contrario, provando che
la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un
titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale (tra
le tante v. Cass. H-6-2010 n. 14092; Cass. 6-8-2004 n. 15145; Cass.
13-12-2001 n. 15755; Cass. 5-7-1999 n. 6944).

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/

Nella specie, la Corte di Appello, con apprezzamento in fatto
non censurabile in sede di legittimità, ha accertato che Tebaldi
Bruno ha cominciato ad esercitare il possesso

irti dominio

dell’appartamento per cui è causa nel luglio del 1974, allorché vi si è

riferito dai testi anche dopo il successivo trasferimento di residenza,
avvenuto nel 1989, ha continuato a disporre in via esclusiva di tale
immobile, lasciandovi buona parte del mobilio, consentendo che altri
congiunti con le loro famiglie ne facessero saltuario uso,
conservando in via esclusiva le chiavi della porta d’accesso e
ponendo l’appartamento anche di recente a disposizione del figlio.
A fronte dell’acclarata sussistenza del requisito materiale del
possesso, con motivazione immune da vizi logici e giuridici il
giudice del gravame ha desunto dalla scrittura del 24-2-1974 -recante
la sottoscrizione di entrambe le parti-, con la quale Tebaldi
Alessandro, alla presenza di Tebaldi Cesare, dava atto di aver
venduto a Tebaldi Bruno l’appartamento per cui è causa per il prezzo
di lire 2.832.000, elementi idonei a far ritenere che il rapporto di
fatto instauratosi tra

l’accipiens e la res tradita fosse sorretto

rem sibi habendi.
Premesso, infatti, che la mancanza di un titolo non impedisce
il possesso, discendendo la qualità di possessore dalle modalità
concrete dell’esercizio della utilizzazione del bene, si rammenta che,

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trasferito in occasione del matrimonio; e che il medesimo, come

secondo la giurisprudenza, il possesso del bene può essere acquisito
anche a seguito di un atto traslativo della proprietà che sia nullo, in
quanto, anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà,
raccipiens” può possedere il bene “animo domini”; ed anzi, proprio
“tradì/io” venga eseguita in virtù di un

contratto che, pur invalido, è comunque volto a trasferire la proprietà
del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di
fatto instauratosi tra raecipiens” e la “res tradita” sia sorretto
dalranimus reni sibi habendi” (Cass. 4-6-2013 n. 14115; Cass. 29-72004 n. 14395, Cass. 29-1-1999 n. 815).
Nella specie, è evidente che la scrittura del 17-2-1974, essendo
priva degli elementi formali dell’atto di vendita, non poteva produrre
alcun effetto traslativo della proprietà dell’immobile per cui è causa
in capo a Tebaldi Bruno. Poiché, tuttavia, nella menzionata scrittura
si dava atto dell’avvenuto trasferimento dell’immobile in favore di
quest’ultimo, tale documento si prestava ragionevolmente a provare
che l’attore avesse cominciato a possedere il bene con il
convincimento di esserne divenuto effettivo proprietario; e ciò anche
alla luce della presunzione di possesso prevista dall’art. 1141 comma
I c.c. in favore di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, allorchè
non sia offerta dall’avversario la prova dell’inizio della relazione di
fatto come semplice detenzione.

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la circostanza che la

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate
come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese, che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori di legge
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 11-201
Il Consigliere estensore

Il Pre

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