Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2872 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. III, 06/02/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 06/02/2020), n.2872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17410/2018 proposto da:

T.S., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURA

MARASCO;

– ricorrente –

contro

AMSA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MUZIO SCEVOLA, 60, presso lo

studio dell’avvocato VENERE MERENDINO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA MATTEO FORMICA;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI MILANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1668/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. T.S. ricorre, affidandosi a sei motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale con la quale era stata rigettata la sua domanda di risarcimento danni per le lesioni subite a seguito di una caduta occorsa su una strada, in presenza di una lastra di ghiaccio di notevoli dimensioni, priva di ogni sistema di sicurezza.

2. Ha resistito soltanto la parte intimata AMSA.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. La ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., per error in iudicando con riferimento:

a. ai requisiti del “caso fortuito accidentale” (primo motivo);

b. alla ritenuta natura di caso fortuito rispetto alle normali e prevedibili condizioni climatiche e metereologiche (secondo motivo);

c. alla ritenuta esigibilità della condotta del custode ai fini del caso fortuito (terzo motivo);

d. alla ripartizione dell’onere probatorio tra danneggiato e custode (quarto motivo);

1.1. Con il quinto motivo, deduce inoltre l’error in iudicando per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1 e dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 2051 c.c.;

1.2. Con il sesto motivo, infine, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.. Censura, al riguardo, la condanna alle spese processuali in favore dall’AMSA che era stata chiamata in causa dal Comune in via subordinata ma non era stata da lei evocata in giudizio.

2. I primi cinque motivi devono essere esaminati congiuntamente per l’intrinseca connessione, in quanto contengono plurime censure su vari aspetti applicativi ed interpretativi dell’art. 2051 c.c.: la quinta censura, in particolare, deve essere esaminata in via preliminare, in quanto costituisce l’antecedente logico delle altre.

2.1. Il ricorrente lamenta che la Corte aveva articolato un ragionamento presuntivo errato, neppure espressamente esplicitato, in base al quale aveva ritenuto provata la ricorrenza del caso fortuito incidentale ex art. 2051 c.c., sulla base di fatti, unitariamente valutati quali la stagione invernale (che avrebbe reso prevedibile la lastra di ghiaccio sul marciapiede), la luce diurna (posta a fondamento della visibilità), la distanza del luogo del sinistro dalla residenza (200 mt.) e l’età della danneggiata (72 aa) che avrebbe reso incerta la sua deambulazione ed avrebbe pertanto dovuto imporre una particolare cautela.

2.2. Al riguardo, deve premettersi che il Collegio condivide pienamente il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva.” (cfr. Cass. 27724/2018).

2.3. Tale principio è stato recentemente ribadito, con alcune precisazioni: è stato, infatti, chiarito che “in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con il bene, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (cfr. Cass. 9315/2019; Cass. 2480/2018).

2.4. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto riferendosi alla ricostruzione presuntiva del fatto, dopo aver ritenuto contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, che il ghiaccio presente in loco era stato la causa della caduta della danneggiata – ha affermato che, da una parte, la percepibilità da parte del pedone delle condizioni della strada e la piena visibilità del luogo dovevano indurla ad un particolare prudenza, anche in considerazione dell’età anziana, e della conoscenza dello stato dei luoghi; e dall’altra che, pur configurabile un obbligo di custodia del Comune, non poteva ritenersi esigibile una condotta volta a fronteggiare nell’intero territorio di competenza le conseguenze di condizioni climatiche conosciute a tutta la popolazione.

2.5. La censura, così come quelle che la precedono (nei motivi da 1 a 4) ricondotte tutte all’interpretazione dell’art. 2051 c.c., non coglie la ratio decidendi della sentenza che nel ritenere insussistente la responsabilità del Comune sia in relazione all’art. 2051 c.c., sia in relazione all’art. 2043 c.c., ha affermato che (cfr. pag. 10 u. cpv e pag. 11 della sentenza) – pur presumibile ciò che il primo giudice aveva escluso (e cioè che la caduta fosse avvenuta dove la ricorrente era stata rinvenuta ed era dunque scivolata) – la visibilità del luogo, desumibile anche dalle vaste dimensioni della lastra di ghiaccio, e la prevedibilità delle conseguenze della deambulazione su di essa erano idonee a recidere del tutto il nesso causale fra evento e responsabilità del custode, ed erano idonee a configurare il caso fortuito che consentiva di escludere del tutto la responsabilità del Comune.

2.6. Tanto premesso, i primi quattro motivi sono inammissibili, in quanto chiedono palesemente una rivalutazione di merito dei fatti che hanno caratterizzato la vicenda, già compiutamente esaminati dai giudici d’appello che hanno reso una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale.

La censura pertanto maschera la richiesta di un non consentito terzo grado di merito (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018; ed in termini Cass. SU 7931/2013).

3. Il sesto motivo è infondato.

Infatti, il terzo chiamato diviene a tutti gli effetti parte processuale della controversia, ragione per cui il soccombente, anche se non lo ha evocato in giudizio direttamente, è tenuto a pagare le spese anche nei suoi confronti (cfr. ex multis Cass. 7674/2008; Cass. 2492/2016), a nulla rilevando che le conclusioni fossero state formulate soltanto in via “subordinata”.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

La natura della controversia, avuto riguardo alla giurisprudenza di legittimità da poco stabilizzata, rende opportuna la compensazione delle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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