Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28719 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3388/2017 r.g. proposto da:

R.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Prof. Carlo Di Nanni, presso il cui studio elettivamente domicilia

in Napoli, alla via Pietro Colletta n. 35.

– ricorrente –

contro

ENTE AUTONOMO VOLTURNO S.R.L., SOCIO UNICO REGIONE CAMPANIA (cod.

fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), (sorta dall’atto di fusione

del 27.12.2012 con cui Circumvesuviana s.r.l., Metrocampania Nord

Est s.r.l. e Sepsa s.p.a. sono state incorporate nell’Ente Autonomo

Volturno s.r.l.), in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, Dott.

D.G.U., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a

margine del controricorso, dall’Avvocato Prof. Marcello D’Aponte,

con cui elettivamente domicilia in Roma, al Viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’Avvocato Prof. Luigi Fiorillo.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI depositata il

27/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso

chiedendo rigettarsi il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.G. citò la Metrocampania Nordest s.r.l. (poi fusa, per incorporazione, unitamente a Circumvesuviana s.r.l. ed a Sepsa s.p.a., nella Ente Autonomo Volturno s.r.l., con socio unico la Regione Campania) innanzi al Tribunale di Napoli onde ottenerne, previa declaratoria dell’insussistenza di una giusta causa di revoca dalla carica di amministratore in essa ricoperta, la condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e morali, asseritamente subiti, come specificamente individuati e quantificati.

1.1. Radicatosi il contraddittorio, l’adito tribunale, con sentenza del 5 dicembre 2012, rigettò la domanda attorea, opinando che la Delib. 10 febbraio 2011, con cui l’assemblea della società decise la nomina, quale nuovo amministratore unico, del Dott. N.A., determinando così la cessazione anticipata dell’ing. R. dalla medesima carica da lui ricoperta fino a quel momento (e fin dalla costituzione della società con atto del 21.4.2000), contenesse la rappresentazione di fatti configurabili come giusta causa di revoca. Aggiunse, inoltre che, a ben vedere, la cessazione dell’attore dalla carica rivestita fu determinata, più che dalla citata Delib. Assembleare 10 febbraio 2011, “…direttamente dall’entrata in vigore della L.R. Campania n. 7 del 2010 che, all’art. 1 comma 14, prevede testualmente che, allo scopo di contenere le relative spese e di rafforzarne l’efficienza, gli amministratori delle società partecipate dalla regione (evidentemente, in ragione della ratio espressa della norma, sia in via diretta che in via indiretta), cessano automaticamente dalla carica”.

2. Il gravame promosso contro questa decisione dal R. è stato respinto dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 27 giugno 2016, n. 2572, la quale, per quanto qui ancora di interesse, ha ritenuto che: i) l’assemblea del 10.2.2011, richiamando ed allegando il piano di lavoro assegnato alle aziende del gruppo EAV, aveva dato adeguata contezza della necessità di modificare gli amministratori unici delle società partecipate del gruppo e che tale necessità, del resto, era stata evidenziata nella stessa relazione del rappresentante del socio unico EAV, riportata nel verbale dell’assemblea predetta; ii) la L.R. Campania n. 7 del 2010, art. 1, comma 14 (che prevedeva, per esigenze di contenimento della spesa, la riduzione dei componenti dei consigli di amministrazione delle società partecipate nel numero di tre componenti e la riduzione del 10/0 delle indennità percepite) era applicabile a tutte le ipotesi di partecipazione, sia diretta che indiretta, della Regione al capitale delle suddette partecipate e che, in ogni caso: ii-a) le esigenze di risparmio e di efficientamento della gestione perseguite dalla legge riguardavano anche le società partecipate che fossero governate da un amministratore unico; ii-b) la cessazione del R. era stata determinata dalla stessa L.R. n. 7 del 2010, mentre l’assemblea aveva provveduto solo alla nomina del nuovo amministratore; ii-c) la Delib. 10 febbraio 2011, aveva comunque fissato un compenso di Euro 54.000, esattamente inferiore del 10%0 rispetto a quello, già previsto per l’appellante, di Euro 60.000.

3. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il R., affidandosi a due motivi. Resiste, con controricorso, la Ente Autonomo Volturno s.r.l. – Socio Unico Regione Campania s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, il Collegio rileva che è presente in atti una lettera, datata 14 settembre 2018, con cui l’Avv. Prof. Carlo Di Nanni, unico difensore costituito del R., informò quest’ultimo di dover rinunciare all’incarico da lui conferitogli per l’odierno giudizio, invitandolo a sostituirlo. Di quello stesso legale, peraltro, vi è notizia del successivo suo decesso in una comunicazione, datata 28 ottobre 2020, indirizzata al Presidente di Ente Autonomo Volturno s.r.l. e pervenuta a questa Corte solo il 10 novembre 2020, con la quale lo stesso R. dichiara di voler rinunciare agli atti di questo procedimento ex art. 390 c.p.c..

1.1. Orbene, è noto che, giusta l’art. 85 c.p.c., la rinuncia alla (così come la revoca della) “procura ad litem” non integra una causa interruttiva del processo, che prosegue senza la necessità di alcun particolare adempimento. Inoltre, secondo un indirizzo interpretativo assolutamente prevalente di questa Suprema Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 4960 del 2016), l’istituto dell’interruzione del processo (nella specie per la morte del difensore) concerne il giudizio di merito, caratterizzato dal principio dispositivo, sicchè non può essere esteso, nel silenzio della legge, a quello di Cassazione che, dopo la notificazione ed il deposito del ricorso, è “dominato”, invece, dall’impulso d’ufficio e, pertanto, non può essere assimilato all’altro (cfr., per tutte, Cass. SS.UU. n. 11195 del 1992 e n. 17295 del 2003). Dalla giurisprudenza di legittimità, infine, può agevolmente ricavarsi (cfr. Cass. n. 7751 del 2020, resa in fattispecie di revoca della procura, ma il cui principio è evidentemente utilizzabile anche per la diversa ipotesi della rinuncia ad essa, alla prima equiparata quoad effectum) che, in caso di morte dell’unico difensore dopo il deposito del ricorso e prima dell’udienza di discussione (o, come nella specie, per evidente identità di ratio, dell’adunanza camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.), sebbene non operi l’interruzione del processo, tuttavia, trattandosi di evento sottratto alla disponibilità della parte, la Corte ha il potere di differire l’udienza, disponendo la comunicazione del provvedimento alla parte personalmente, per consentire la nomina di un nuovo difensore, salvo il caso in cui la stessa parte risulti essere stata già informata del detto evento e, nonostante il congruo tempo a sua disposizione, non abbia provveduto ad effettuare tale nomina.

1.2. Quest’ultima evenienza è proprio quella sostanzialmente verificatasi nell’odierna vicenda processuale nella quale: i) il R., fin dal settembre 2018, doveva considerarsi edotto della necessità di nominarsi altro difensore in sostituzione dell’allora rinunciante Avv. Prof. Carlo Di Nanni; ii) la comunicazione dell’avviso di fissazione del suo ricorso (ex art. 380-bis.1 c.p.c.) per l’adunanza camerale del 10 novembre 2020 risulta essere stata eseguita, ad opera della cancelleria, al medesimo R. personalmente fin dal 22 settembre 2020 (cfr. in atti), senza che quest’ultimo abbia provveduto, medio tempore, alla nomina di altro difensore; iii) non sussiste un problema di effettività del diritto di difesa, sotto il profilo della esiguità del tempo a disposizione della parte per munirsi di un nuovo difensore per la predisposizione di atti difensivi, in funzione dell’adunanza camerale predetta, con la necessaria preparazione, nella specie dovendosi escludere ogni potenziale lesione del diritto suddetto in considerazione della circostanza che quella adunanza si è svolta dopo quasi due mesi dalla ricezione del corrispondente avviso di fissazione da parte del R., peraltro, già informato della necessità di sostituire il proprio originario difensore fin dal settembre 2018.

1.3. Deve qui solo aggiungersi che nessun valore può attribuirsi alla dichiarazione di voler rinunciare agli atti di questo procedimento, ex art. 390 c.p.c., contenuta nella comunicazione del R., datata 28 ottobre 2020, indirizzata al Presidente di Ente Autonomo Volturno s.r.l. e pervenuta a questa Corte il 10 novembre 2020. Si tratta, invero, di un atto privo della sottoscrizione pure di un legale – invece, necessaria, ex art. 3902, c.p.c., comma 2, atteso che, notoriamente, non è consentita alle parti l’interlocuzione diretta con questa Corte in luogo di quella tramite difensore – ed in relazione al quale nemmeno risultano rispettate le ulteriori prescrizioni imposte del menzionato art. 390 c.p.c., comma 3.

2. Venendo, dunque, all’esame del ricorso, i motivi ivi formulati prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione della L.R. Campania 20 luglio 2010, n. 7, art. 1, comma 14 e dell’art. 2383 c.c., comma 3 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. In estrema sintesi, si ascrive alla corte di merito di avere erroneamente interpretato la L.R. Campania 20 luglio 2010, n. 7, art. 1, comma 14, avendolo ritenuto, in ragione della sua ratio (realizzare risparmio ed efficienza nella gestione delle partecipate dalla Regione), applicabile a tutte le ipotesi di partecipazione dell’ente territoriale al capitale delle suddette partecipate, senza che alcun rilievo abbia assunto l’eccezione, sollevata dall’odierno ricorrente, secondo cui tale norma non sarebbe stata applicabile alle società – come la Metrocampania Nordest – che erano governate da un amministratore unico (e non da organo collegiale come previsto espressamente dalla norma), per cui sicuramente nei limiti previsti da quella legge sopravvenuta, e comunque non inserite nell’elenco delle società partecipate dalla Regione Campania (la Metrocampania Nordest era partecipata dalla EAV e non direttamente dalla Regione). Su questa erronea interpretazione della normativa regionale, la medesima corte ha, in conseguenza, violato l’art. 2383 c.c., comma 3, affermando che “la cessazione del R. dalla carica di amministratore unico di Metrocampania è stata determinata dalla legge regionale n. 7/2010, mentre l’assemblea ordinarla della società ha provveduto soltanto alla nomina del nuovo amministratore” (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). Si assume, inoltre, che, nel caso di specie, “poichè non ricorrevano i presupposti per applicare la nuova normativa regionale, è evidente che tale disposizione venne utilizzata dalla società – per il tramite del socio unico, direttamente controllato dalla Regione – per sottrarsi ai propri obblighi civilistici attraverso un uso distorto (e, quindi, un abuso) del potente strumento legislativo di cui la stessa Regione si era dotata. Nulla, infatti, avrebbe impedito di confermare l’incarico allo stesso ing. R. o comunque di ridurgli l’indennità secondo la nuova disciplina legislativa regionale” (cfr. pag. 14 del ricorso). Infine, per l’ipotesi in cui si dovesse ritenere, invece, insuperabile il dettato testuale contenuto nell’indicata disposizione di legge, e si dovesse da questo ricavare una normativa regionale che incida sul rapporto di diritto privato sussistente tra le società di capitali ed i singoli componenti dei loro consigli di amministrazione (rapporto disciplinato esclusivamente dal codice civile), si argomenta in ordine ad un preteso “più che manifesto” dubbio di legittimità costituzionale della menzionata L.R. Campania n. 7 del 2010, art. 1, comma 14, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 2, lett. h) e art. 3 Cost., per violazione degli artt. 2,3,97 Cost., art. 117 Cost., comma 1, nonchè degli artt. 1,2,3,4,35,36,54 Cost., e del canone di ragionevolezza della legge;

II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2383 c.c., comma 3 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”. Si deduce che, seppure si ritenesse che la Corte territoriale abbia correttamente interpretato la legge regionale in esame, risulterebbe comunque violato l’art. 2383 c.c., comma 3, non ricorrendo alcuna ipotesi di giusta causa di revoca, la quale va accertata laddove la “cessazione” dell’amministratore dalla carica abbia fatto seguito alla scelta di modificare la struttura dell’organo amministrativo e/o comunque di procedere alla sua sostituzione, prima della naturale scadenza del mandato. Nella specie, infatti, non sussisteva alcuna esigenza o necessità di sostituire, alla guida della società, un laureato in giurisprudenza ad un ingegnere ed i giudici di appello hanno erroneamente inteso come giusta causa di revoca una circostanza che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non appare conforme al dettato legislativo di cui alla disposizione codicistica suddetta.

3. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè connesse, non meritano accoglimento.

3.1. Invero, la decisione oggi impugnata ha escluso l’arbitrarietà della scelta assembleare di nominare un nuovo amministratore, in luogo del R., giudicandola giustificata innanzitutto “…dalla necessità di attuare una complessa riorganizzazione societaria ed aziendale caratterizzata, per un verso, dalla diretta attribuzione alla EAV, holding del trasporto regionale, del ruolo, oltre che di controllo, direzione e coordinamento, anche di progettazione e di attuazione del processo di ristrutturazione e liberalizzazione del settore, mediante la costituzione di un’apposita Direzione per la Pianificazione e l’Attuazione della Direttiva n. 1189 emanata l’1.2.2010 dal Presidente della Regione Campania, e, per altro verso, dall’attribuzione alle società partecipate del compito di dar luogo solo all’attività ordinaria, da svolgere, peraltro, secondo le logiche e gli indirizzi individuati, onde evitare che le relative iniziative possano porre vincoli al progetto di riassetto societario, con la conseguente necessità di procedere alla immediata nomina, nel caso della società convenuta, quale suo amministratore unico, non più di un tecnico, come l’attore, ma di un legale”.

3.1.1. In altri termini, la necessità di modificare il profilo degli amministratori unici delle partecipate del gruppo scaturiva – secondo la corte napoletana – dalla diretta attribuzione alla EAV, holding del trasporto regionale, non più del solo ruolo di controllo, direzione e coordinamento fino ad allora svolto, ma anche, in concreto, di quello, di progettista ed attuatore del processo di ristrutturazione e liberalizzazione del settore, sicchè gli amministratori unici delle partecipate dovevano risultare dotati di competenze tecniche necessarie per l’attuazione del predetto processo di liberalizzazione e, quindi, diverse da quelle strettamente connesse alla tecnica dei trasporti.

3.2. Pertanto, come pure condivisibilmente osservato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta, la “giusta causa” della revoca dell’incarico del R. doveva individuarsi nella necessità di attribuire a tutte le aziende, direttamente o indirettamente partecipate dalla Regione, ed indipendentemente dal fatto che fossero rette da un amministratore unico o da un organo collegiale, una nuova “governance” funzionale al perseguimento dei suindicati obiettivi: “governance” che fosse dotata di competenze necessarie a dare attuazione alla direttiva regionale, che non potevano più essere quelle di natura tecnica relative ai trasporti e che finivano, così, con l’incidere sulla persistenza del rapporto fiduciario.

3.3. E’ noto, poi, che ai sensi dell’art. 2383 c.c., comma 3 (norma dettata per le s.p.a., ma analogicamente applicabile pure alle s.r.l. in difetto, per queste ultime, di specifica disciplina), gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni se la revoca avviene senza giusta causa. Trattasi di disposizione la cui ratio va evidentemente individuata in quella secondo cui, pur nella libertà del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari, occorre, in assenza di “giusta causa”, tenere conto del sacrificio economico e sociale dell’amministratore conseguente alla revoca, soprattutto quando la delega comporti un’attività remunerata suscettibile di valutazioni professionali nel mercato dei “manager” (cfr. Cass. n. 7587 del 2016, richiamata in motivazione, dalla più recente Cass. n. 4954 del 2020).

3.3.1. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, peraltro, ha precisato che la giusta causa di revoca consiste nell’esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o non provocate dall’amministratore, le quali pregiudicano l’affidamento nel medesimo ai fini del migliore espletamento dei compiti della carica, dunque nella compromissione del “rapporto fiduciario” (cfr. Cass. n. 31660 del 2019; Cass. n. 2037 del 2018; Cass. n. 7475 del 2017; Cass. n. 23381 del 2013; Cass. n. 7425 del 2012; Cass. n. 16526 del 2005; Cass. n. 15322 del 2004; Cass. n. 11801 del 1998; Cass. n. 3768 del 1985). Più specificamente, la “giusta causa” di revoca dell’amministratore di società non è integrata dalla mera ricorrenza di esigenze di auto-organizzazione della struttura societaria, ove la stessa non sia stata motivata sulla base di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore (cfr. Cass. n. 4954 del 2020, in motivazione; Cass. n. 18182 del 2019).

3.3.2. Inoltre, ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, quale fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie (cfr. Cass. n. 2037 del 2018). Trattandosi di facoltà di recesso attribuita ex lege, la società gode così di una tecnica di autotutela privata, potendo senz’altro porre in essere la deliberazione ad effetto estintivo del rapporto di amministrazione; il controllo giudiziale è solo successivo ed eventuale, ai fini della liquidazione dell’eventuale risarcimento.

3.4. Orbene, nell’odierna fattispecie, il giudice d’appello, come si è già riferito, ha ampiamente argomentato la comprovata ed effettiva sussistenza delle complessive ragioni di ristrutturazione ed organizzative delle partecipate del gruppo EAV, in considerazione dell’ulteriore ruolo (di progettista ed attuatore del processo di ristrutturazione e liberalizzazione del settore) attribuito alla società già capogruppo, così da giustificare il perchè gli amministratori unici delle sue partecipate dovessero risultare dotati di competenze tecniche necessarie per l’attuazione del predetto processo di liberalizzazione e, quindi, diverse da quelle strettamente connesse alla tecnica dei trasporti. Viene in rilievo, dunque, non già la mera esigenza organizzativa della singola società, bensì la necessità di una più profonda ristrutturazione del gruppo stesso e delle funzioni assegnate alle varie sue partecipate, che, implicitamente, incide negativamente sulla persistenza dell’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini dell’odierno ricorrente, senza, peraltro, che ciò debba necessariamente ridondare in condotte d’inadempimento da ascrivere a quest’ultimo (cfr. al riguardo, Cass. n. 23381 del 2013).

3.4.1. Non è allora suscettibile di censura, in parte qua, la decisione impugnata avendo il ricorrente formulato, in particolare con il secondo motivo, una critica che si concretizza, nella sostanza, in un sindacato del merito della scelta assembleare che, per la sua intrinseca natura, sfugge al controllo di legalità del giudice se (come nella specie) sorretto da plausibili ragioni, chiaramente esplicitate dagli organi societari interessati ed inequivocabilmente riconducibili ad esigenze di gestione societaria, con esclusione di qualsivoglia surrettizia finalità che esorbiti dal contratto sociale.

3.5. Quanto, poi, al successivo riferimento effettuato dalla corte distrettuale alla L.R. Campania n. 7 del 2010, art. 1, comma 14, sulla cui asserita errata interpretazione lungamente insiste il ricorrente con il primo motivo, lo stesso si rivela essere, in realtà, una semplice integrazione del percorso argomentativo con cui quel giudice aveva già fornito, affatto compiutamente, le ragioni della ritenuta giustificabilità della Delib. Assembleare recante la nomina del nuovo amministratore. Al più, quindi, quel riferimento configura una ulteriore ratio decidendi, autonoma e distinta dalla prima, dovendo così trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa o infondata impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr., ex multis, Cass. n. 15075 del 2018, in motivazione; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).

3.5.1. Perdono, dunque, qualsivoglia concreta rilevanza pure le argomentazioni del ricorrente in ordine ad un preteso “più che manifesto” dubbio di legittimità costituzionale della menzionata disposizione di legge regionale per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 2, lett. h) e art. 3 Cost., per violazione degli artt. 2,3,97 Cost., art. 117 Cost., comma 1, nonchè degli artt. 1,2,3,4,35,36,54 Cost., e del canone di ragionevolezza della legge, potendosi qui solo aggiungere, per mera completezza, che, in ogni caso, il prospettato vulnus di costituzionalità, come lamentato dal R., appare, prima facie, manifestamente infondato, posto che quella norma (L.R. Campania n. 7 del 2010, art. 1, comma 14) non ha provveduto a codificare una specifica ipotesi di giusta causa per l’anticipata revoca degli amministratori in carica delle società partecipate, così violando la riserva in favore di legge statale, ma si è limitata a stabilire la riduzione del numero degli amministratori e la riduzione del loro compenso. La norma regionale, pertanto, come pure condivisibilmente osservato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta, “lungi dal tipizzare ipotesi di giusta causa andando addirittura oltre il portato delle disposizioni codicistiche, ha inteso unicamente garantire il buon funzionamento ed andamento della pubblica amministrazione, del tutto in armonia con i principi costituzionali”.

4. In conclusione, il ricorso del R. deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarle o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il R. al pagamento, in favore della controricorrente Ente Autonomo Volturno – Socio Unico Regione Campania s.r.l. (incorporante per fusione la Metrocampania Nordest s.r.l.), delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

 

 

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