Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28719 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27664/2011 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Cordeiro

Guerra, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Filippo

Pingue, sito in Roma, via di San Basilio, 72;

– ricorrente –

contro

Equitalia Centro s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Maurizio Cometti e Sante

Ricci, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito

in Roma, via delle Quattro Fontane, 161;

– controricorrente –

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 109, depositata il 5 ottobre 2010.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21 giugno

2018 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

che:

– M.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 5 ottobre 2010, che, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Equitalia Cerit s.p.a., oggi Equitalia Centro s.p.a., ha dichiarato la legittimità delle cartelle di pagamento impugnate, con la sola eccezione di quella relativa all’anno di imposta 2002;

– dall’esame della sentenza si evince che con l’Ufficio aveva iscritto a ruolo imposte non versate dalla Sieve Pelletteria di Mi.Lu. e C. s.n.c., oltre alle relative sanzioni, per gli anni di imposta dal 1997 al 2002;

– il giudice di appello ha accolto, sia pure parzialmente, il gravame, in ragione del fatto che, relativamente al periodo dal 1997 al 2001, il contribuente era stato socio illimitatamente responsabile della predetta società e che non sussistevano gli eccepiti vizi formali;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resistono, con distinti controricorsi, sia la Equitalia Centro s.p.a., sia l’Agenzia delle Entrate;

– il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2290 e 2293 c.c., D.P.R. 26 ottobre 1973, n. 602, art. 25 e D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 5 bis, conv. nella L. 31 luglio 2005, n. 156, per aver la sentenza impugnata ritenuto sussistente la sua obbligazione fiscale per gli anni 1997-2001, benchè gli atti impugnati fossero stati a lui notificati successivamente alla data in cui aveva receduto dalla società e, comunque, dopo lo spirare decadenziale previsto per la notifica delle cartelle di pagamento;

– il motivo è infondato;

– con riferimento al primo aspetto, si osserva che la responsabilità solidale ed illimitata del socio, prevista dall’art. 2291 c.c., comma 1, per i debiti della società in nome collettivo, opera, in assenza di un’espressa previsione derogativa, anche per i rapporti tributari, con riguardo alle obbligazioni dagli stessi derivanti (cfr. Cass. 1 ottobre 2014, n. 20704; Cass. 9 maggio 2007, n. 10584);

– orbene, poichè le obbligazioni tributarie sorgono non già con la notifica della cartella di pagamento, ma dal momento in cui si verificano i relativi presupposti impositivi, la circostanza del momento in cui gli atti impugnati sono stati notificati si presenta, ai fini che qui interessano, priva di rilevanza;

– quanto, poi, al profilo relativo alla asserita illegittimità delle cartelle impugnate per mancato rispetto del termine decadenziale previsto per la notifica al contribuente, la doglianza è inammissibile, in quanto relativa ad una censura non dedotta con il ricorso introduttivo e, dunque, estranea al thema decidendum;

– con il secondo motivo deduce il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e artt. 2262,2289,2290 e 2293 c.c., per aver il giudice di appello ritenuto sussistente la sua obbligazione tributaria anche con riferimento all’anno 2001, benchè il recesso dalla società si fosse perfezionato prima della chiusura del relativo esercizio sociale, in data 27 dicembre 2001;

– il motivo è infondato, in quanto, come già rilevato, l’insorgenza dell’obbligazione tributaria deve riferirsi al momento in cui si verificano i relativi presupposti impositivi e non già, necessariamente, con la chiusura dell’esercizio sociale, per cui, in difetto di una puntuale indicazione dell’oggetto delle obbligazioni tributarie in esame e dei relativi presupposti, non è possibile affermare la non riferibilità delle stesse alla responsabilità del contribuente quale socio illimitatamente responsabile;

– con l’ultimo motivo di ricorso il contribuente si duole della violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6 e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, per aver la sentenza impugnata affermato la legittimità delle cartelle di pagamento relative agli anni 1997-2001, benchè la notifica delle stesse non fosse stata preceduta dall’invio dell’avviso bonario conseguente al controllo automatizzato di cui al predetto art. 36 bis;

– il motivo è infondato;

– il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 bis, comma 3, prevedono l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità (cd. avviso bonario) soltanto nelle ipotesi in cui dai controlli automatici emerga “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” oppure dai controlli effettuati dall’Ufficio ai sensi dei commi 2-bis degli articoli menzionati emerga “un’imposta o una maggiore imposta”, avendo la finalità di “evitare la reiterazione di errori e… consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”;

– più in generale, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo (cfr. Cass., ord., 21 novembre 2017, n. 27716; Cass. 2017, n. 9463; Cass. 12 aprile 2017, n. 9463; Cass., ord., 28 luglio 2016, n. 15740);

– l’invio della comunicazione di irregolarità costituisce un adempimento rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell’interessato ed esula, quindi, dall’ambito dell’esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio nei confronti dell’emittenda cartella di pagamento (cfr. Cass. 6 luglio 2016, n. 13759; Cass. 26 settembre 2014, n. 20431; Cass. 4 luglio 2014, n. 15311);

– pertanto, qualora, come nel caso in esame, non venga prospettata l’esistenza di un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione (della società contribuente) ovvero l’accertamento di una imposta maggiore o diversa da quella liquidata nella dichiarazione sottoposta a controllo nessun invito preventivo a chiarimenti deve essere inviato al contribuente dalla Amministrazione finanziaria;

– nè a diversa conclusione può pervenirsi sulla base della considerazione che, essendosi al cospetto di tardivi versamenti di quanto dovuto, l’omessa comunicazione d’irregolarità al contribuente gli avrebbe impedito di ottenere la riduzione ad un terzo delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2;

– infatti, non è ravvisabile un pregiudizio indiretto, conseguente al mancato invio della previa comunicazione al contribuente, incidente sulla possibilità di fruire del beneficio della riduzione della sanzione pecuniaria irrogata per tardivo od omesso versamento delle imposte dovute, in quanto, da un lato, l’omessa comunicazione dell’invito al pagamento prima dell’iscrizione a ruolo non determina la nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull’efficacia dell’atto, e dall’altro l’interessato può comunque pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella, semprechè quella comunicazione fosse dovuta (cfr., oltre alla citata Cass. n. 13579 del 2016, Cass. 20 giugno 2015, n. 12023; Cass. 12 febbraio 2013, n. 3366);

– pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in favore della Equitalia Centro s.p.a., in Euro 8.000,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, e, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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