Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28718 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3032/2017 r.g. proposto da:

IMS S.P.A., (p. iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS) in persona del

procuratore speciale, Dott. R.M., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati

Angelo Mastandrea, e Barbara Mioli, con cui elettivamente domicilia

presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla via L. Magalotti n.

15.

– ricorrente –

contro

B.A.E., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso,

dagli Avvocati Carla Gregoretti, ed Andrea Saccucci, con cui

elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, al

Viale Parioli n. 2.

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale condizionato proposto da:

B.A.E., come sopra rappresentato e difeso.

– ricorrente incidentale –

contro

IMS S.P.A., come sopra rappresentata e difesa.

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata il

29/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso

chiedendo rigettarsi il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La IMS s.p.a. (il cui socio unico era la capogruppo International Metal Service S.A., ora Jacquet Metal Service S.A., società di diritto francese), leader del mercato italiano nel settore degli acciai speciali (tra questi, in particolare, i prodotti di acciaio inossidabile cd. “lungo”, ossia barre di acciai speciali destinate all’industria meccanica), commercializzati per il tramite di una capillare rete di distribuzione e vendita, citò B.A.E. innanzi al Tribunale di Monza per sentirlo condannare al pagamento della somma “prudenziale” di Euro 5.010.000,00, imputandogli svariati inadempimenti ai doveri di amministratore nel periodo di tempo (2005-2009) in cui questi aveva ricoperto la carica di Presidente del C.d.A. ed amministratore delegato della società istante. In particolare, dedusse che il B.: i) aveva favorito la Nord Est Metalli s.r.l. di (OMISSIS) (d’ora in avanti, breviter, NEM s.r.l.), società pure operante nel settore del commercio di acciai e di cui socio di riferimento e presidente era suo fratello G., sottoscrivendo con la stessa un contratto di agenzia per la commercializzazione dei propri prodotti fittizio e del tutto inutile; ii) aveva finanziato la società del fratello fino ad aprire una filiale di IMS s.p.a. a (OMISSIS), accollandosi il personale della NEM s.r.l. e le spese della stessa all’insaputa dell’azionista di maggioranza; iii) aveva compiuto una serie di operazioni su beni sociali, a vantaggio proprio, di alcuni dipendenti e dei familiari, in danno della società, cedendo a titolo gratuito a soggetti terzi il diritto di opzione di beni che quest’ultima deteneva in forza di contratti di leasing.

1.1. Radicatosi il contraddittorio, ammesse ed assunte le richieste prove orali, nonchè disposta ed espletata una c.t.u. contabile, l’adito tribunale, con sentenza del 17 marzo 2014, n. 987, condannò il convenuto al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 615.959,33, ritenendolo inadempiente agli obblighi stabiliti dall’atto costitutivo e dallo Statuto della IMS s.p.a..

2. Il gravame proposto dal B. contro detta pronuncia è stato deciso dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 29 settembre 2016, n. 3596, la quale ha riformato parzialmente la statuizione impugnata, condannando l’appellante al pagamento, in favore della IMS s.p.a., della minor somma di Euro 32.363,23, oltre interessi dalla domanda giudiziale al soddisfo.

2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) ha escluso che fosse configurabile alcun comportamento inadempiente in capo all’appellante per avere provveduto, senza informare preventivamente il consiglio d’amministrazione, all’apertura della filiale IMS s.p.a. di (OMISSIS) e per avere acconsentito che venissero poste in essere una serie di fatturazioni e note di credito fra detta società e NEM s.r.l., opinando essere pacifico che tale operazione rientrasse nei suoi poteri gestionali. Nessuna rilevanza, dunque, poteva attribuirsi a quanto sottolineato dal tribunale in ordine al fatto che tale apertura era avvenuta senza la preventiva autorizzazione del Comitato di Direzione della società capogruppo francese, non essendo la stessa necessaria ai fini dell’operazione richiesta e potendo l’eventuale volontà contraria del primo dare luogo ad una revoca dell’amministratore, ma non rilevare ai fini di una sua responsabilità contrattuale; ii) ha affermato, richiamando il corrispondente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che, anche qualora si fosse ritenuta provata la sussistenza di scelte inopportune da parte del B. dal punto di vista economico, nessuna responsabilità poteva essergli ascritta ex art. 2392 c.c., posto che una tale valutazione atteneva alla discrezionalità imprenditoriale, nè avendo, nel caso di specie, violato alcuna direttiva della casa madre, non sussistendo alcuna indicazione specifica in ordine al divieto di apertura di filiali. Inoltre, pure ove si fosse voluto ritenere che il B. aveva ecceduto rispetto ai poteri conferitigli, ad esempio per avere preso in locazione l’immobile dove aveva collocato la sede secondaria, la società non aveva provato, come sarebbe stato suo onere, il danno asseritamente subito per tale violazione, non potendo essere imputato all’amministratore l’intero ammontare dei costi fissi che IMS s.p.a. aveva dovuto sostenere per l’apertura della filiale; iii) ha considerato infondata la contestazione secondo la quale la IMS s.p.a. aveva sostanzialmente finanziato la NEM s.r.l con molteplici fatturazioni pagate per pronta cassa o anticipatamente ed emissioni di note di credito da parte di NEM s.r.l., le quali non trovavano alcuna giustificazione. Infatti, anche in tale ipotesi non era possibile ritenere che tale comportamento, in mancanza di ulteriori elementi, costituisse un illecito imputabile all’amministratore, seppure si fossero rivelate come sue scelte inopportune economicamente, nessuna responsabilità poteva essergli riconosciuta ex art. 2392 c.c., rientrando tra le valutazioni imprenditoriali di carattere discrezionale eventualmente rilevanti come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale. Peraltro, dall’istruttoria svolta era emerso che tali operazioni avevano trovato una parziale giustificazione nel fatto che la restituzione della merce acquistata alla NEM s.r.l. era stata dettata dall’esigenza di procedere alla riduzione dello stoccaggio di materiale giacente in magazzino, così come richiesto dalla capogruppo francese; iv) ha negato la configurabilità di alcun comportamento inadempiente del B. per avere consentito o, comunque, per non aver impedito la prassi in vigore in azienda volta a consentire la cessione gratuita del diritto di opzione di autovetture che erano state acquistate tramite un contratto di leasing dalla società, in quanto quest’ultima non aveva provato, come ancora una volta sarebbe stato suo onere, la sussistenza di un pregiudizio di carattere economico non avendo dimostrato la diversa volontà della IMS s.p.a. di esercitare il diritto di opzione per riscattare la proprietà dei beni. La società, inoltre, nemmeno aveva dimostrato la sussistenza di un pregiudizio di carattere fiscale per avere le cessioni generato sopravvenienze tassabili, non avendo dimostrato di avere ricevuto delle cartelle esattoriali o, comunque, sanzioni per eventuali irregolarità al riguardo; v) infine, ha confermato la decisione del tribunale nella parte in cui aveva ritenuto sussistente una responsabilità del B. per avere provveduto ad acquistare delle motociclette, comprate poco prima dalla società per motivi di rappresentanza, al valore indicato al bilancio, ossia ad un prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quello sopportato, circa un anno prima, dalla società.

3. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la IMS s.p.a., affidandosi a due motivi. Resiste, con controricorso, il B., proponendo anche ricorso incidentale con un motivo, a sua volta resistito dalla IMS s.p.a.. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c., da entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I due motivi del ricorso principale di IMS s.p.a. prospettano, rispettivamente, “Violazione dell’art. 2392 c.c., anche in combinato disposto con l’art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2391 c.c., rilevante quale falsa applicazione di norme di diritto ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” ed “Omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio emersi dagli atti processuali, rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

1.1. In estrema sintesi, viene censurata la decisione impugnata laddove ha negato qualsivoglia responsabilità del B. per avere: i) provveduto all’apertura della filiale IMS s.p.a. di (OMISSIS), senza informare preventivamente il consiglio d’amministrazione; ii) consentito che venissero poste in essere una serie di fatturazioni e note di credito fra IMS s.p.a. e NEM s.r.l., società facente capo al fratello del B., così sostanzialmente finanziando quest’ultima; iii) consentito o, comunque, non impedito la prassi in vigore in azienda volta a consentire la cessione gratuita del diritto di opzione di autovetture che erano state acquistate tramite un contratto di leasing dalla società. In relazione a tutte queste condotte, si imputa alla corte distrettuale di aver totalmente omesso di verificare, oppure di avere ingiustificatamente limitato la propria corrispondente indagine, se l’amministratore avesse agito in conformità ai canoni della diligenza, anche in relazione a quanto previsto dall’art. 2391 c.c., così incorrendo nella mancata o errata applicazione dell’art. 2392 c.c.. Si ascrive, inoltre, al giudice a quo di non aver valutato le risultanze istruttorie emerse nel corso del procedimento di primo grado, nessuna esclusa.

2. Allo scrutinio di tali doglianze, di cui è possibile l’esame congiunto in ragione della loro evidente connessione, giova premettere che questa Corte, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018), ha chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente – perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro – ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua – pur corretta – interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3.1. E’ utile ricordare, altresì, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 29 settembre 2016 riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da dedursi secondo gli specifici oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014 e da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico: esso, quindi, non ricomprende questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017). Parimenti non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio predetto, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 28887 del 2019), nè una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015).

3.2. E’ noto, poi, che la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sè del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).

3.2.1. In effetti, secondo i principi generali, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. (cfr. l’orientamento inaugurato da Cass., SU, n. 13533 del 2001, poi costantemente ribadito);

3.2.2. In tema di azione di responsabilità verso gli amministratori sociali, dunque, sulla parte attrice incombe la prova dell’illiceità dei comportamenti degli amministratori medesimi. Allorquando tali comportamenti non siano in sè vietati dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, coincidente col precetto di non agire in conflitto di interessi con la società amministrata, o dal dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno dei menzionati doveri. In tal caso l’onere della prova dell’attore/attrice non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore ma investe anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di diligenza (cfr. Cass. n. 2975 del 2020, in motivazione; Cass. n. 1045 del 2007).

3.2.3. Non va dimenticato, infine, che gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili per i rischi che l’impresa normalmente corre durante tutta la sua vita, nel senso che ad essi non potrà essere addossato il risultato negativo dell’attività sociale o di singoli atti ad essa correlati, con conseguente insindacabilità delle scelte gestionali (business judgement rule). In altri termini, se è vero che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 3652 del 1997 e Cass. n. 3409 del 2013, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 15470 del 2017), “all’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico” (atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società), e che, sulla base di quella stessa elaborazione, si è precisato che se “il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte)”, “anche se presentino profili di rilevante alea economica”, è altrettanto innegabile, tuttavia che, in tale tipo di giudizio, può ben sindacarsi “l’omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità”, e perciò anche “la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere” (cfr. Cass. n. 15470 del 2017). In nessun caso, quindi, il giudice potrà sindacare il merito delle scelte imprenditoriali a meno che, se valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti (cfr. Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 2975 del 2020).

3.3. Occorre, a questo punto, verificare se di tali ultimi principi, da essa pure richiamati, la corte distrettuale abbia fatto corretta applicazione nell’odierna vicenda in relazione a ciascuna delle condotte contestate da IMS s.p.a. al proprio ex amministratore.

3.4. Orbene, circa l’asserita apertura della filiale IMS s.p.a. di (OMISSIS), senza informare preventivamente il consiglio d’amministrazione, la corte predetta, come si è già visto, ha escluso che fosse configurabile in una siffatta condotta alcun comportamento inadempiente in capo al B. opinando essere pacifico che tale operazione rientrasse nei suoi poteri gestionali. Nessuna rilevanza, dunque, poteva attribuirsi a quanto sottolineato dal tribunale in ordine al fatto che tale apertura era avvenuta senza la preventiva autorizzazione del Comitato di Direzione della società capogruppo francese, non essendo la stessa necessaria ai fini dell’operazione richiesta e potendo l’eventuale volontà contraria del primo dare luogo ad una revoca dell’amministratore, ma non rilevare ai fini di una sua responsabilità contrattuale.

3.4.1. Una siffatta argomentazione, ad avviso di questo Collegio, si rivela non completamente in linea con i principi di cui si è detto, avendo omesso di approfondire, tenuto conto pure del prospettato conflitto di interessi ascritto al B. dalla odierna ricorrente per aver agito nell’intento di favorire una società facente capo al fratello, di quali informazioni e/o istruzioni preventive l’appellante effettivamente disponesse nell’ottica del più proficuo perseguimento dello scopo di lucro proprio della società allorquando il primo ne era stato Presidente del C.d.A. ed amministratore delegato.

3.4.2. Invero, si legge nella sentenza impugnata (cfr. pag. 6) che oggetto di censura in appello da parte del B. era stata l’affermazione del giudice di prime secondo cui “l’apertura della filiale di (OMISSIS) è avvenuta nell'(OMISSIS), senza la preventiva autorizzazione del comitato direttivo francese, come ammesso in sede di interrogatorio formale dal convenuto, che ha dichiarato che la finalità di tale apertura era quella di aumentare il fatturato mediante l’espansione dell’attività anche inossidabile trattato da NEM. Ma tale prospettiva di ampliamento non era condivisa dal comitato direttivo francese di IMS SA, come già esposto. (…). La decisione di B.A. di aprire una filiale a (OMISSIS), peraltro gestita da suo fratello, senza informare preventivamente il comitato direttivo francese, che aveva escluso l’acquisizione di NEM, costituisce una condotta in palese violazione delle direttive impartite dalla proprietà…”. E’ innegabile, quindi, che il tribunale aveva attribuito decisivo rilievo, piuttosto che alle mere omissioni informative, alla violazione, da parte del B., “delle direttive impartite dalla proprietà”, cui erano conseguite una serie di operazioni, alle quali era sostanzialmente interessata una società gestita dal fratello dell’odierno controricorrente, del tutto prive di interesse, invece, per la società odierna ricorrente, con conseguente accollo di ingenti ed ingiustificati costi.

3.4.2.1. E’ intuitivo che l’obbligo di diligenza professionale posto dall’art. 2392 c.c., impone all’amministratore di gestire il patrimonio sociale ed indirizzare l’attività economica nel modo più idoneo agli interessi della società, al fine della massimizzazione dell’utile aziendale. In linea generale, dunque, una sua responsabilità non è certamente configurabile per il solo fatto che egli abbia disatteso le direttive della proprietà, la quale, probabilmente, nemmeno ha il potere di impartirgliele: infatti, una volta nominato, i doveri dell’amministratore sono quelli indicati dalla legge e dallo statuto, non altri. Non esiste, invero, un vincolo di mandato tra soci, o maggioranza di essi, ed amministratore, atteso che il rapporto intercorrente tra quest’ultimo e la società, come ente, è disciplinato dalle norme speciali sulle società stesse, le quali non prevedono un potere di direttiva giuridicamente vincolante sugli amministratori da parte della società medesima, salva la possibilità di revoca per giusta causa, nei congrui casi, per il venir meno della fiducia in essi riposta (cfr. Cass. n. 23381 del 2013).

3.4.2.2. Nondimeno, l’agire, come nella specie, da parte del B., Presidente del C.d.A. ed amministratore delegato di IMS s.p.a., in consapevole contrasto con le direttive chiaramente impartite dalla proprietà (e dal comitato direttivo francese), poteva comunque rivelarsi, con accertamento da effettuarsi in relazione a ciascuna delle sue condotte oggi in discussione, come un inadempimento, nella misura in cui queste, se valutate ex ante, fossero risultate manifestamente avventate ed imprudenti (cfr. le già citate Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 2975 del 2020). Tanto a prescindere dalla sussistenza dei poteri conferiti all’amministratore medesimo, e, soprattutto, senza che a ciò fosse di ostacolo il già richiamato principio della insindacabilità degli atti di gestione, affatto recessivo a fronte di un’accertata natura palesemente arbitraria (indipendentemente dalla sua giustificabilità, o meno, sotto il profilo gestionale) della scelta adottata, chiaramente contestatagli, peraltro, da IMS s.p.a. anche sotto il profilo dell’averla compiuta in situazione di conflitto di interessi.

3.4.2.3. Tra i doveri imposti dalla legge, cui gli amministratori devono adempiere ex art. 2392 c.c., sussiste altresì l’obbligo per ogni amministratore, codificato dall’art. 2391 c.c., di dare notizia, agli altri amministratori ed al collegio sindacale, di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. Se poi si tratta di amministratore delegato, egli deve astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale. In questi casi, la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la Società dell’operazione.

3.4.2.4. Nell’odierna vicenda, come si è già riferito, la finalità di ampliamento di fatturato, asseritamente giustificativa dell’apertura della filiale suddetta (consentire, cioè, alla IMS s.p.a. di commercializzare, oltre che prodotti di acciaio inossidabile cd. “lungo”, come già accadeva, anche lamiere di acciaio inossidabile cd. “piano”, trattate, invece, da NEM), non era condivisa dal comitato direttivo francese di IMS SA (circostanza, questa, sostanzialmente incontroversa), espressamente dichiaratosi, anzi, assolutamente disinteressato alla commercializzazione pure delle lamiere di acciaio inossidabile cd. “piano”. Pertanto, la corrispondente operazione compiuta dal B. doveva essere valutata, oltre che sotto il profilo della sua manifesta avventatezza ed imprudenza ex ante, pure sotto il diverso aspetto, peraltro dedotto in causa, fin dall’origine, dall’attrice/odierna ricorrente, dell’avere il B. stesso inteso favorire, così agendo, altra società facente capo al proprio fratello.

3.4.2.4. Occorreva, in altri termini, che la corte d’appello, nel compiere l’accertamento suddetto, verificasse – sulla base degli addebiti rivolti al suo ex Presidente del C.d.A. ed amministratore delegato dalla odierna ricorrente, nonchè nel contesto del riparto degli oneri probatori di cui si è detto in precedenza – quali fossero le informazioni che il B. aveva effettivamente a disposizione al momento dell’apertura della filiale suddetta: se vi fossero, cioè, elementi tali da richiamare la sua attenzione, così da verificare, se la condotta da lui tenuta, che la corte d’appello ha giudicato legittima solo perchè astrattamente consentitagli dai suoi poteri gestori desumibili dalla richiamata visura camerale, fosse, o meno, invece, connotata da colpa perchè, ex ante, manifestamente avventata ed imprudente, anche in relazione a quanto sancito dall’art. 2391 c.c..

3.4.2.5. In tale ottica, allora, era necessario esaminare l’intero materiale istruttorio disponibile, ritualmente offerto dalle parti, per i fini dell’accertamento, sotto il profilo della condotta del B., della sua responsabilità alla stregua del vigente art. 2392 c.c., nei sensi finora descritti, rivelandosi, per contro, del tutto inappagante la mera considerazione della formale esistenza, in capo al B. medesimo, del potere di compiere gli atti gestori di volta in volta individuati. Dopodichè, una volta eventualmente accertata la violazione da parte di quest’ultimo, degli obblighi gravanti su di lui quale amministratore (anche, giova ribadirlo, in relazione alla previsione di cui all’art. 2391 c.c.), bisognava ulteriormente verificare se, ed in quali eventuali limiti, potesse concretamente essere predicata la sussistenza del nesso eziologico tra detta condotta ed il pregiudizio arrecato alla società.

3.4.2.5. In parte qua, dunque, la sentenza impugnata, assolutamente carente quanto alla ponderazione del profilo della sussistenza, o meno, della manifesta avventatezza e/o imprudenza ex ante, anche in relazione a quanto sancito dall’art. 2391 c.c., dell’operazione in esame (apertura della filiale IMS s.p.a. di (OMISSIS)) compiuta dal B., malgrado il disinteresse espressamente manifestatogli dal comitato direttivo francese di IMS SA, non merita conferma, rimettendosi al giudice di rinvio di rivalutare anche se, ed in quali limiti, tutte le operazioni (evidentemente prive di qualsivoglia interesse per la società odierna ricorrente, per quanto si è finora detto) che dall’apertura di tale filiale erano conseguite si fossero tradotte in un accollo di ingenti ed ingiustificati costi per la IMS s.p.a..

3.5. Diversa soluzione merita, invece, la censura che le doglianze in esame rivolgono contro l’affermazione della corte distrettuale che ha giudicato infondata la contestazione secondo la quale la IMS s.p.a. aveva sostanzialmente finanziato la NEM s.r.l. con molteplici fatturazioni pagate per pronta cassa o anticipatamente ed emissioni di note di credito da parte di NEM s.r.l., le quali non trovavano alcuna giustificazione.

3.5.1. Si è già riferito che, secondo la corte predetta, anche in tale ipotesi non sarebbe stato possibile ritenere che tale comportamento, in mancanza di ulteriori elementi, costituisse un illecito imputabile all’amministratore, seppure si fossero rivelate come sue scelte imprenditoriali inopportune economicamente, trattandosi di sue valutazioni discrezionali eventualmente rilevanti come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale. La stessa corte, però, ha pure rimarcato che dall’istruttoria svolta era emerso che tali operazioni avevano trovato una parziale giustificazione nel fatto che la restituzione della merce acquistata alla NEM s.r.l. era stata dettata dall’esigenza di procedere alla riduzione dello stoccaggio di materiale giacente in magazzino, così come richiesto dalla capogruppo francese.

3.5.2. L’assunto del giudice distrettuale, dunque, tiene conto di uno specifico accertamento fattuale desunto dall’istruttoria svolta in primo grado, sicchè mostra di avere tenuto conto, seppure implicitamente, con formulazione ex ante, della ragionevolezza delle scelte esercitate dall’amministratore in considerazione dell’avvenuta adozione, così agendo, delle condotte necessarie al rispetto della scelta della capogruppo francese.

3.5.2.1. In relazione alla contestazione di questo addebito, pertanto, le corrispondenti argomentazioni dei motivi di ricorso in esame, ponendo l’accento su fatti non valutati o mal considerati e su risultanze emergenti dalla sentenza penale assolutoria o da ulteriori elementi, si risolvono in una richiesta di riesame del merito delle valutazioni già compiute dal giudice di appello, evidentemente obliterando, però, che, come ancore recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019)

3.6. A conclusioni sostanzialmente analoghe, poi, deve pervenirsi quanto all’ulteriore censura che i motivi in esame rivolgono contro l’affermazione della corte distrettuale che ha giudicato infondata la contestazione mossa al B. di aver consentito o, comunque, non aver impedito la prassi in vigore in azienda volta a consentire la cessione gratuita del diritto di opzione di autovetture che erano state acquistate tramite un contratto di leasing dalla società.

3.6.1. In parte qua, infatti, basta ricordare che la sentenza impugnata ha ritenuto comunque insussistente, per le ragioni ivi indicate, fondate su accertamenti di natura innegabilmente fattuale, la prova del corrispondente danno invocato dalla IMS s.p.a., sicchè, le odierne argomentazioni di quest’ultima, volte sostanzialmente a contestare l’an di una siffatta pretesa risarcitoria, comunque non sarebbero idonee, ove pure si rivelassero fondate, a provocare la cassazione di detta decisione.

4. L’unico motivo del ricorso incidentale del B. assume che la sentenza impugnata sia affetta da “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” per averlo ritenuto responsabile dell’acquisto di due motociclette, comprate poco prima dalla società per motivi di rappresentanza, al valore indicato al bilancio, ossia ad un prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quello sopportato, circa un anno prima. Ciò malgrado quanto, a suo dire, emerso in contrario, dall’istruttoria svolta,

4.1. Trattasi di censura che, per come concretamente argomentata, si rivela affatto inammissibile, perchè si risolve, esclusivamente, in una (peraltro generica) critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il B. intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. n. 7119 del 2020).

5. In conclusione, il ricorso principale della IMS s.p.a. deve essere accolto nei soli limiti di cui si è detto, mentre quello incidentale del B. deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

5.1. Va dato atto, infine, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del B., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso principale della IMS s.p.a. e dichiara inammissibile il ricorso incidentale di B.A.E.. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del B., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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