Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28716 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26794/2016 r.g. proposto da:

G.N., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Massimo Lettera, con cui elettivamente domicilia in Roma, al Viale

Dei Quattro Venti n. 64, presso lo studio dell’Avvocato Diego

Vigorita.

– ricorrente –

contro

Z.M., (cod. fisc. (OMISSIS));

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA depositata il

19/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso

chiedendo rigettarsi il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 10 agosto 2009, n. 3515, il Tribunale di Bologna, accogliendo le corrispondenti domande di Z.M., confermò la revoca, ex art. 2259 c.c., di G.N., moglie separata di quest’ultimo, dalla carica di amministratrice della Fiordipane s.n.c. di G.N., già disposta con provvedimento cautelare in corso di causa del 28 novembre 2005, e dichiarò l’esclusione della stessa dalla medesima società, di cui era socio anche l’attore, per grave inadempimento alle obbligazioni sociali ex art. 2286 c.c..

1.1. Il gravame proposto dalla G. contro tale pronuncia è stato respinto dalla Corte di appello di Bologna con sentenza del 19 aprile 2016, n. 644, che, per quanto qui di interesse: i) ha ritenuto provati, alla stregua delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio disposta in primo grado, gli atti ed i comportamenti di mala gestio alla prima contestati e concernenti la violazione dei doveri relativi alla sua carica di amministratore della società, con riferimento alla mancata contabilizzazione di ricavi per la rilevante somma di circa Euro 1.200.000,00; alla mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro del figlio Z.A.; alla distrazione, in suo favore, di proventi della gestione sociale per circa Lire 1.600.000.000; alla mancata approvazione e sottoscrizione dei soci dei bilanci nei termini di legge ed alla mancata distribuzione dei ricavi per varie annualità; ii) ha rimarcato che il tribunale, “…dopo aver ricostruito i fatti in base alle risultanze processuali, ha dato atto che evidentemente lo stesso socio Z., anche per i rapporti personali tra le parti, aveva tollerato ed era stato in tutto o in parte a conoscenza di tali comportamenti, ma ciò non fa venir meno la responsabilità della G. con riferimento alla gestione sociale, alla violazione degli obblighi a cui era tenuta nella sua qualità di amministratore della società, alla gravi conseguenze subite sino alla perdita del capitale sociale determinate da un tale comportamento, di per sè idonee a determinare la revoca della stessa dalla carica di amministratore e la sua esclusione dalla compagine sociale per gli atti e le condotte gravemente pregiudizievoli poste in essere, in violazione delle obblighi sociali”; iii) ha affermato che, “…in sede di gravame, la G. si è limitata ad una generica contestazione della sentenza di primo grado e degli esiti della c.t.u., sostenendo che non erano stati adeguatamente riscontrati i fatti in contestazione e chiedendo la rinnovazione della c.t.u., senza tuttavia fornire alcun riscontro al proprio assunto ed indicare censure specifiche, per cui non sussiste alcuna ragione per la rinnovazione della c.t.u. richiesta in quanto l’accertamento peritale eseguito in primo grado risulta aver accertato in modo adeguato le modalità dei fatti e dato conto dei riscontri effettuati e dei metodi utilizzati, mediante una ricostruzione logica ed immune da censure che correttamente è stata posta a fondamento della decisione del tribunale in quanto conforme alle prove documentali acquisite in atti”.

3. Contro questa sentenza, ricorre per cassazione la G., affidandosi a sei motivi. Lo Z. è rimasto solo intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è rubricato “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). In particolare, omesso esame e valutazione delle ricorrenza di un conflitto personale tra le parti, coniugi (all’epoca) e soci al 50% della società, nonchè sulla conoscenza e condivisione, da parte del sig. Z., dei fatti inerenti la gestione sociale”. Esso ascrive alla sentenza impugnata di aver soprasseduto completamente sul “grave conflitto personale tra le parti, preesistente la vertenza societaria e che, tuttavia, ne appariva la prima causa”.

1.1. Una siffatta doglianza si rivela infondata, posto che la corte distrettuale ha espressamente esaminato, pure chiaramente condividendolo, l’assunto del giudice di primo grado secondo cui, benchè lo Z., anche per i rapporti personali tra le parti, avesse tollerato e fosse stato in tutto, o in parte, a conoscenza dei comportamenti contestati alla G., ciò non avrebbe escluso le responsabilità di quest’ultima determinate dalle ivi descritte sue condotte gravemente pregiudizievoli, di per sè idonee a determinarne la revoca dalla carica di amministratore della Fiordipane s.n.c. di G.N. e la sua esclusione dalla compagine sociale.

1.2. Non sussiste, dunque, il denunciato omesso esame, che, giova ricordarlo, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo, qui applicabile ratione temporis (risultando impugnata una sentenza pubblicata il 19 aprile 2016), introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 – dovendo riguardare un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deve intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

1.2.1. La ricorrente, peraltro, nemmeno ha adeguatamente giustificato la “decisività” dell’omissione lamentata. “Decisività” che deve riferirsi al “fatto” (il cui esame sarebbe stato omesso) in sè ed asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza fattuale non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015). Nè ad una siffatta nozione possono ricondursi fatti e/o circostanze da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte bolognese, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.

1.3. Per mera completezza, infine, va sottolineato che “nelle società di persone composte da due soli soci, il dissidio tra questi imputabile al comportamento di uno dei due gravemente inadempiente agli obblighi contrattuali ovvero ai doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o correttezza inerenti alla natura fiduciaria del rapporto societario, rileva come giusta causa di recesso del socio adempiente o, in alternativa, di esclusione del socio inadempiente, ma non può costituire causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2272 c.c., n. 2, giacchè detto dissidio non è tale da rendere “impossibile” il conseguimento dell’oggetto sociale, essendo eliminabile mediante uno dei due rimedi predetti” (cfr. Cass. n. 18243 del 2004).

2. Il secondo ed il terzo motivo sono rubricati, rispettivamente: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ed in particolare violazione o falsa applicazione dell’art. 2259 c.c.” e “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ed in particolare violazione o falsa applicazione dell’art. 2286 c.c.”. Si assume, in sintesi, che tutti i fatti contestati dovevano ritenersi conosciuti ed accettati da entrambi i compartecipi alla società, sicchè mai avrebbero potuto integrare causa determinante la revoca dell’amministratore o ragione rilevante ai fini dell’esclusione di uno dei soci. Il terzo motivo, inoltre, rileva, in via gradata, la violazione o la falsa interpretazione dell’art. 2286 c.c., perchè i fatti contestati alla G. riguardavano le attività da lei svolte quale amministratrice della società, piuttosto che inadempienze della medesima quale socia.

2.1. Tali doglianze sono scrutinabili congiuntamente perchè affette dalla medesima ragione di inammissibilità.

2.2. E utile ricordare, innanzitutto, che questa Corte, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018), ha chiarito che: i) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente – perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro – ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua – pur corretta – interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che la corte bolognese: i) ha ritenuto provati, alla stregua delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio disposta in primo grado, gli atti ed i comportamenti, peraltro compiutamente descritti, contestati alla G.; ii) ha specificato che il fatto che lo Z., “…anche per i rapporti personali tra le parti”, avesse tollerato e conosciuto, in tutto o in parte, quegli atti e comportamenti non facesse venir meno la responsabilità dell’odierna ricorrente; iii) ha considerato quegli stessi atti e comportamenti come idonei a giustificare sia la revoca di quest’ultima dalla carica di amministratrice della Fiordipane s.n.c. (per le gravi conseguenze, fino alla perdita del capitale sociale, subite dalla società), sia la sua esclusione dalla compagine sociale (per gli atti e le condotte gravemente pregiudizievoli poste in essere in violazione delle obblighi sociali).

2.3.1. Trattasi, evidentemente, di valutazioni presupponenti accertamenti di carattere fattuale, a fronte delle quali le censure di violazione di legge contenute nei motivi in esame si risolvono, sostanzialmente, nell’opporre al convincimento del giudice a quo, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è già detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020). Costituisce, del resto, granitico orientamento di questa Corte che il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

2.4. Tanto assorbe, evidentemente, anche il profilo di censura subordinato esposto nel terzo motivo, atteso che, sebbene sia condivisibile l’assunto che le questioni dell’esclusione del socio e della revoca dell’amministratore per giusta causa restano distinte e non sovrapponibili, per disciplina legale e presupposti differenti, essendo l’eventuale revoca dalla carica di amministratore non incidente sulla qualità di socio dello stesso (cfr. Cass. n. 18844 del 2016; Cass. n. 8570 del 2009; Cass. n. 5019 del 2009; Cass. n. 27504 del 2006; Cass. n. 6871 del 1994, in motivazione), nella specie, la corte distrettuale ha espressamente considerato i comportamenti in questione come suscettibili di giustificare anche l’esclusione della G. dalla società di cui era pure amministratrice, così dimostrando di aver compiuto, su questo specifico punto, una distinta valutazione.

3. Il quarto ed il quinto motivo sono rubricati, rispettivamente, “Nullità del procedimento e della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che recepisce accertamenti mai compiuti nel procedimento e, di fatto, sovrappone la domanda del sig. Z. agli esiti della c. t. u. ” e “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ed in particolare violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1, in rapporto alle prescrizioni di cui all’art. 2697 c.c.; in ogni caso, violazione dell’art. 61 c.p.c. e art. 2697 c.c.”. Si ascrive alla corte territoriale di aver recepito in sentenza accertamenti istruttori (quanto all’omesso deposito dei bilanci sociali, all’omessa divisione degli utili, alla distrazione di somme) mai compiuti nel corso del procedimento e di essersi rifatta a risultanze estranee al contenuto della c.t.u. e proprie della domanda dello Z.. In ogni caso, la medesima sentenza si fondava su di una interpretazione delle risultanze della medesima c.t.u. – la cui funzione, si specifica, è quella di strumento di valutazione, sotto il profilo tecnico scientifico, e non giuridico di dati già acquisiti, così da non poter essere utilizzata al fine di esonerare le parti dall’onus probandi – completamente errata, non risultando in atti alcuna irregolarità imputabile alla G. in presenza, peraltro, di condotte sempre condivise ed accettate dall’altro socio.

3.1. Anche queste doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè chiaramente connesse, sono complessivamente immeritevoli di accoglimento alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso.

3.2. Giova premettere che la consulenza tecnica di ufficio è un atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza cd. deducente) ovvero, in determinati casi, assurge a fonte di prova dell’accertamento dei fatti (consulenza cd. percipiente). Essa, dunque, costituisce l’elemento istruttorio da cui è possibile trarre il fatto storico, rilevato e/o accertato dal consulente (cfr. in motivazione, Cass. n. 12387 del 2020), il cui esame è demandato al giudice del merito. Nella specie, è evidente che la corte territoriale ha proceduto ad una ricostruzione delle condotte ascritte alla G. proprio sulla base delle risultanze della espletata c.t.u. per poi trarne le dovute conseguenze logico-giuridiche.

3.3. Le censure de quibus riportano, poi, solo parzialmente (cfr. pag. 17 del ricorso) le risultanze della c.t.u. espletata in primo grado: in particolare, sono state riprodotte esclusivamente le conclusioni rese dal nominato consulente all’esito delle verifiche svolte sulla documentazione contabile esaminata, di cui, in questa sede, nemmeno è dato conoscerne la concreta tipologia. Da esse, comunque, emerge che i rilievi da contestarsi alla G., quale amministratrice della Fiordipane s.n.c., riguardavano la mancata contabilizzazione di ricavi per la rilevante somma di circa Euro 1.200.000,00; la mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro del figlio Z.A. con la medesima società; la distrazione di proventi della gestione sociale per circa Lire 1.600.000.000.

3.3.1. E’ innegabile, allora, che si è al cospetto di condotte (il cui accertamento fattuale non è ulteriormente sindacabile in questa sede) che, già da sole, complessivamente valutate, avrebbero ampiamente legittimato la pronuncia, in danno della G., di revoca della predetta carica di amministratrice della menzionata società, nonchè la sua esclusione da quest’ultima, sicchè il denunciato errore in cui, secondo la ricorrente, sarebbe incorsa la corte distrettuale quanto all’ascrivibilità, o meno, all’appellante, dell’omesso deposito di bilanci e/o mancata distribuzione di utili, resterebbe privo di effettiva rilevanza decisiva.

3.4. A ciò aggiungasi che la denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è inammissibile, giacchè, incongruente rispetto ai parametri normativi invocati, posto che la G. si duole della valutazione della c.t.u., assunta ad elemento probatorio, operata dalla corte territoriale, ma non già che quel giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nell’art. 115 c.p.c., ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, ovvero ancora, quanto all’art. 116 c.p.c., che la medesima corte abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, oppure, al contrario, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. n. 12387 del 2020; Cass. n. 11892/2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in Cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione).

4. Il sesto motivo è rubricato “Nullità del procedimento e della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per omessa rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio – Alternativamente, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in particolare violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., comma 1 e art. 196 c.p.c., nonchè art. 2697 c.c., in rapporto al diritto costituzionalmente garantito alla difesa”. Si contestano le argomentazioni con cui la corte bolognese ha disatteso l’istanza della G. di rinnovazione della c.t.u. ex art. 196 c.p.c..

4.1. La doglianza è complessivamente infondata per la decisiva ragione che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè neppure è necessaria una espressa pronunzia sul punto” (cfr. Cass. n. 22799 del 2017, nonchè, in motivazione, la più recente Cass. n. 13736 del 2020). Nella specie, peraltro, la corte bolognese, come si è esposto in sede di descrizione dei “Fatti di causa”, ha pure compiutamente indicato le ragioni che l’hanno indotta a disattendere la richiesta in tal senso della odierna ricorrente.

5. In conclusione, il ricorso della G. deve essere respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo lo Z. rimasto solo intimato, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della G., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di G.N., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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