Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28715 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10651-2018 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO GOTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 758/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 12/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Presidente Relatore Dott. ROSA MARIA

DI VIRGILIO.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Trieste, con sentenza depositata il 12/10/2017, ha respinto il gravame proposto da H.A. avverso la pronuncia del Tribunale, reiettiva della richiesta di protezione internazionale e, in subordine, della protezione umanitaria.

La Corte d’appello ha ritenuto la carenza di elementi probatori in relazione all’affermata effettiva militanza dell’appellante nel movimento JKLF (che persegue la riunificazione delle due componenti del (OMISSIS) indiano e pakistano in unico stato sovrano) quale componente di rilievo nè poteva costituire a riguardo prova il presunto arresto, dato che era avvenuto in occasione di una manifestazione unitamente ad altri; la documentazione fornita, inoltre, gettava ulteriori ombre, non comprendendosi perchè l’ H.A. durante il suo viaggio avesse avuto cura di tenere un passaporto falso conservando invece documenti che avrebbero potuto rivelare la sua identità; inoltre, tutti i timbri apposti alle lettere ed alle dichiarazioni risultavano prima facie prodotti da una stampante laser, nè la parte aveva saputo spiegare come fosse in possesso del mandato di cattura, attesa la sua fuga dal Paese di origine ben prima della denuncia nè perchè avesse tenuto con sè il “biglietto da visita dell’attività commerciale”, del tutto ininfluente ai fini delle richieste avanzate.

Secondo la Corte del merito, pertanto, la versione complessiva fornita dalla parte risultava carente quanto a fatti e circostanze fondamentali ai fini delle richieste avanzate e l’inaffidabilità del richiedente intralciava pesantemente il dovere di cooperazione istruttoria del Giudice; e il tutto, omettendo l’esame in relazione al fatto se le attestazioni false sulle generalità fossero state fornite al fine di evitare l’adozione di un provvedimento di espulsione, “di cui pure l’alias di U.A. potrebbe essere destinatario”.

Ricorre H.A. con due motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, nonchè del vizio di motivazione per non essere stata esaminata la situazione in Pakistan.

Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata presenta motivazione superficiale ed approssimativa, senza tenere in alcun conto le considerazioni dell’appello (neppure riportate nel motivo) e le pronunce del S.C. in materia, e senza valutare la situazione dell’ordine pubblico in Pakistan e del gravissimo livello di corruzione della Polizia e del sistema giudiziario.

Il motivo è inammissibile, stante la totale genericità delle doglianze; inoltre, nell’addebitare alla Corte d’appello la mancata considerazione della situazione del Pakistan, il ricorrente non si confronta neppure con la specifica ratio decidendi resa a riguardo dal Giudice del gravame; ed infatti la Corte triestina ha concluso per l’inaffidabilità del richiedente anche in relazione alle generalità fornite, rilevando che queste costituiscono un intralcio all’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio “in quanto inducono alla ricerca di elementi non utili, se non del tutto diversi e dunque non riferibili(come nel possibile caso di falsa dichiarazione circa il paese di provenienza) per la decisione di accoglimento o rigetto del ricorso.”

Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e il vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta del permesso di soggiorno per motivi umanitari; deduce di essersi attivato per ottenere un’effettiva integrazione in Italia e che sussistono gli estremi per riconoscere il permesso per motivi umanitari “tenuto conto delle difficoltà materiali ed economiche che il ricorrente incontrerebbe nell’ipotesi di rientro in Patria al fine di assicurarsi una vita dignitosa”.

Il motivo, sebbene articolato nella rubrica nel collegamento tra i due differenti vizi di violazione di legge e di motivazione, potrebbe essere interpretato come inteso a far valere il vizio di omessa pronuncia in relazione alla richiesta di permesso umanitario (richiesta che risulta alla stregua delle conclusioni dell’appellante riportate in sentenza), ma in ogni caso deve ritenersi inammissibile per genericità, stante che il ricorrente non ha in alcun modo specificato di avere fatto valere nel giudizio di merito situazioni di vulnerabilità (anche a ritenere, sulla scia della pronuncia 4890/2019, non applicabile nella specie ratione temporis l’abolizione ad opera del D.L. n. 113 del 2018, della protezione umanitaria, e la sostituzione della stessa con la protezione in casi speciali). Ed infatti, come affermato tra le ultime nelle pronunce 3681/2019 e 27336/2018, la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente, non sottraendosi tale domanda all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio. Conclusivamente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Non v’è luogo alla pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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