Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28714 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 16/12/2020), n.28714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16690/2016 proposto da:

A.R., rappresentato e difeso dall’Avvocato M. Vittoria

La Penna, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato Domenico

Benedetti, per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7163/2015 della Corte di appello di Roma

depositata il 31/12/2015,

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 27/10/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma con sentenza n. 512 del 2011 ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il (OMISSIS) da A.R. e B.M.L. ed ha stabilito a carico del primo ed in favore della seconda un assegno di1 divorzio nella misura di Euro 300,00 mensili, rigettando la domanda del contributo al mantenimento proposta dalla ex moglie per il figlio maggiorenne e quella relativa al versamento dell’indennità di fine rapporto, T.F.R., nei termini di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12 bis, non avendo l’attrice dimostrato l’effettiva corresponsione della somma da parte del datore di lavoro.

La Corte di appello di Roma, decidendo, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, sull’appello principale proposto da B.M.L., in parziale accoglimento dell’impugnazione, ha determinato in Euro 17.154,30 la quota dell’indennità di fine rapporto alla prima spettante ed ha condannato A.R. alla sua corresponsione oltre interessi, con rigetto dell’appello incidentale.

2. A.R. ricorre per la cassazione della sentenza di appello con due motivi. Resiste con controricorso B.M.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto; omessa motivazione/omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La Corte di merito aveva errato nel riconoscere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile ed aveva omesso di motivare sulle censure sollevate dal ricorrente.

Dalle prove escusse era emerso che la signora B. svolgeva attività lavorativa, che, non dichiarata, le aveva consentito di percepire, per sua stessa ammissione, una pensione sociale con un reddito complessivo mensile, pari, compreso l’assegno corrispostole dall’ex marito, ad Euro 1.100,00 al mese, somma non gravata dall’onere di pagamento di canoni di locazione, per essere la casa di abitazione di proprietà della prima, e tanto là dove, invece, il ricorrente avrebbe visto peggiorare la propria condizione economica, percependo un reddito di Euro 500,00 mensili.

Non erano stati considerati i beni mobili ed immobili produttivi e non produttivi e le dichiarazioni dei redditi non avrebbero avuto, nei loro esiti di prova, valore vincolante.

2. Il motivo presenta profili di inammissibilità e, comunque, di infondatezza.

2.1. La proposta critica è inammissibile là dove, suo specie del vizio di motivazione, nella sua novellata previsione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, neppure provvede ad individuare il fatto decisivo mancato nella vantazione della Corte di appello, evidenza destinata a venire ancora più in rilievo combinandosi l’omessa individuazione del fatto, nella identità degli esiti decisori dei giudizi di merito, con una cdd.”doppia conforme”.

Questa Corte di cassazione si è infatti espressa nel senso che in caso di “doppia conforme” prevista dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, nella dimostrata loro diversità (Cass. 10/03/2014 n. 5528; Cass. 22/12/2016 n. ‘26774; Cass. 06/08/2019,n. 40994).

L’indicata prospettiva resta estranea alla proposta critica che non confrontandosi con le rationes delle decisioni di merita di primo e secondo grado manca di evidenziare di queste ultime quella diversità che legittima l’introduzione della censurata omissione.

2.2. Il pure articolato profilo della violazione di legge si traduce, ancora inammissibilmente, in una rivisitazione degli esiti istruttori, deducendosi dal ricorrente che controparte lavora in nero e che quindi, presumibilmente, costei realizza, insieme al contributo divorzile, redditi mensili quantificabili e quantificati come superiori a quelli da lui goduti.

Non si denuncia invero in tal modo in ricorso una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, ma una erronea ricomposizione degli esiti istruttori del giudizio.

2.3. In ogni caso e venendo a valutare i profili di infondatezza del ricorso, vero è che la natura assistenziale, perequativo- compensativa sostenuta nella più recente lettura della giurisprudenza di legittimità, sostenuta nella sua affermazione dalle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione (Cass. SU 11/07/2018 n. 18287; Cass. 26/06/2019 n. 17098; Cass. 11/12/2019 n. 32398; Cass. 28/02/2020 n. 5603) resta salvaguardata nella motivazione impugnata là dove i giudici di appello, dopo aver richiamato la durata del matrimonio, pari a trentotto anni, ed il contributo fornito dalla ex moglie alla conduzione della famiglia, l’età della richiedente, di sessantasei anni, confermano l’importo dell’assegno divorzile in quello di trecento Euro mensili.

La finalità del mantenimento del tenore di vita, da cui si sciolgono, per l’indicata giurisprudenza, ormai, i criteri attributivi e determinativi dell’assegnò divorzile, resta sullo sfondo e nella motivazione in concreto svolta dai giudici di appello, essa non condiziona il riconoscimento della posta creditoria, che viene dalla sperequazione retributiva degli ex coniugi, nè, ancora, il suo ammontare travalicando, certo sì in questa ipotesi, la ratio della norma (art. 5, comma 6, Legge Divorzio) come definita dal richiamato e condiviso indirizzo, integrativo di diritto vivente.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto; omessa motivazione/omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La Corte di appello aveva errato nel riconoscere all’ex coniuge la percentuale del trattamento di fine rapporto, T.F.R., percepito dal ricorrente.

La circostanza che il signor A. fosse andato in quiescenza dietro sua richiesta a partire dal giorno 1 aprile 2005 e, ancora, l’ammontare del trattamento di fine rapporto dovevano essere provati dalla signora B. che invece non aveva dimostrato alcunchè e l’inerzia della parte non poteva essere “scavalcata” dalla Corte Territoriale che aveva richiesto informazioni alla P.A., ex art. 213 c.p.c., in difetto di allegazione o prova dei fatti.

4. Il motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato.

4.1. La dedotta violazione dell’art. 213 c.p.c., nell’acquisizione delle informazioni dalla P.A. non tiene conto della discrezionalità riconosciuta al giudice del merito nell’esercizio della relativa facoltà.

Il riferimento operato in ricorso alle norme dettate in materia di onere della prova, che si vorrebbero violate in ragione della iniziativa ex officio assunta dalla Corte di appello di acquisire informazioni presso la P.A. di appartenenza dell’ex coniuge ai sensi dell’art. 213 c.p.c., sulla data dell’intervenuta quiescenza del ricorrente e sull’ammontare de) trattamento di fine rapporto, non vale a scardinare l’ordito processuale destinato a definire il tema di prova, con alterazione del meccanismo regolato dal principio di disponibilità che, ex art. 115 c.p.c., governa il processo civile.

In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., può aversi solo se si alleghi che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti e quindi disposte d’ufficio al di fuori, dei limiti legali (Cass. 17/01/2019 n. 1229; Cass. 27/12/2016 n. 27000).

4.2. Fermo l’indicato principio, la Corte territoriale argomenta sull’applicabilità dell’istituto della richiesta di informazioni alla P.A. ex art. 213 c.p.c., inserendolo, nella sua operatività, in una cornice di mera allegazione di parte, soddisfatta la quale il giudice del merito – nell’apprezzata necessità di acquisire informazioni relative ad atti o documenti della P.A. che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l’Amministrazione sia in proprio possesso in relazione all’attività da essa svolta – esercita un proprio potere discrezionale.

La Corte di appello rileva innanzitutto che la signora B. aveva allegato puntualmente l’intervenuto stato di quiescenza del marito ed il godimento del trattamento di fine rapporto per poi spingersi a richiedere le informazioni ex art. 213 c.p.c., all’Amministrazione di dipendenza, Inps – Gestione ex Inpdap, sulla maturata anzianità di servizio del signor A. per poi, quindi, una volta individuata, raffrontare la data di cessazione del rapporto di lavoro con quella di proposizione della domanda L. n. 898 del 1970, ex art. 12-bis, al fine di riconoscere l’azionato diritto.

Come già in più occasioni affermato da questa Corte di legittimità, in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicchè la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale – del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass. 15/11/2016 n. 23263; Cass. 28/01/2011 n. 2098; più in generale, sull’esercizio ufficioso del potere di cui all’art. 213 c.p.c.: Cass. 27/06/2003 n. 10219).

Il motivo di ricorso, senza tenere in debita distinzione i piani dell’allegazione dei fatti è quello della loro prova, come puntualmente distinti nella sentenza di appello, invoca la dedotta violazione dell’art. 213 c.p.c., senza riuscire così a dialogare in modo concludente con l’impugnato decisimi là dove la Corte territoriale, nell’osservata scansione tra i due momenti e nel rilevato assolvimento ad opera della parte dell’onere di allegazione, apprezzata altresì la non osservabilità dell’onere della prova, correttamente inserisce l’iniziativa ufficiosa.

5. Il ricorso è conclusivamente inammissibile. Le spese sono liquidate secondo soccombenza come in dispositivo indicato.

Si dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

 

 

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