Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28712 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21749-2017 proposto da:

HYPO ALPE-ADRIA-BANK SPA, in persona dei legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI

55, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MARIA CORBO’,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO SARDI DE LETTO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SNC (OMISSIS), in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 154, presso lo studio dell’avvocato BERNADETTE CAPIZZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA RUSSO;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE, di MONZA, depositato il 13/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Presidente Relatore Dott. ROSA MARIA

DI VIRGILIO.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto depositato il 13/7/2017, il Tribunale di Monza ha respinto l’opposizione proposta dalla Hypo-Alpe-Adria-Bank s.p.a. al decreto del G.D. del Fallimento (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), che ha accolto la domanda di rivendica dell’immobile oggetto del contratto di leasing stipulato tra detta opponente e la società in bonis, ha ammesso l’importo di Euro 1.928,80 per i canoni arretrati in via chirografaria, quale differenza tra credito insinuato e le somme già pagate come da conclusioni del curatore, respingendo nel resto la domanda della creditrice.

Il Tribunale, premesso che si trattava di contratto di locazione finanziaria pendente alla data del fallimento, da cui l’applicazione della L. Fall., art. 72 quater, da ritenersi risolto alla data del 16/2/2017, in cui il G.D. aveva accolto la domanda di rivendica, e che Hypo aveva chiesto l’ammissione al chirografo dei soli canoni scaduti e non pagati alla data del fallimento e l’ammissione in prededuzione dell'”indennità di occupazione” da parte della Curatela, dalla data del fallimento all’effettiva restituzione, ha rilevato che il G.D. aveva ammesso al passivo al chirografo per la somma di Euro 1928,80, ottenuta compensando la differenza tra quanto pagato sino alla data del fallimento, di Euro 547.614,31 invece che Euro 392.061,78, come riconosciuto dalla Hypo, e quindi Euro 189.773,72, con i canoni scaduti e non pagati, per Euro 191.702,52; che l’accertamento operato dal G.D. non era stato oggetto di opposizione da parte della Hypo, che si era limitata a ribadire la correttezza del proprio calcolo sui canoni scaduti e non pagati, importo pacificamente recepito dal G.D., e non aveva nè dedotto nè tanto meno provato “che l’accertamento effettuato dal Giudice delegato circa l’importo capitale di Euro 547.614,31, già versato dalla (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) in bonis alla Hypo, si sia basato sulla perizia prodotta dalla curatela del fallimento nè aveva contestato specificamente, come era suo onere, l’erroneità del calcolo, effettuato dal giudice delegato, che ha portato alla determinazione della somma di Euro 547.614,31 quale capitale già pagato dalla (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) prima del fallimento”.

Il Tribunale ha respinto l’ulteriore motivo di opposizione, ritenendo risolto dal curatore il contratto da cui, in applicazione della L. Fall., art. 72 quater, la non spettanza dell’indennità di occupazione per il periodo tra dichiarazione di fallimento e restituzione del bene e che, specificamente quanto all’indennità di occupazione tra accoglimento della domanda di rivendica e rilascio, non era dovuta alcuna indennità, in quanto era trascorso un periodo di appena due mesi, tempo assolutamente ragionevole e compatibile con la tempistica di rilascio di un bene immobile.

Ricorre avverso detto decreto Hypo-Alpe-Adria-Bank s.p.a. con unico motivo.

Si difende con controricorso il Fallimento.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione della L. Fall., art. 99, e art. 115 c.p.c., comma 2; deduce che, come da estratto del doc. 12 del fascicolo dell’opposizione, mai contestato, la somma finale “saldo liquido a Vostro dare” è di Euro 185.221,04, di talchè è sconfessata l’affermazione del Tribunale, che l’accertamento del G.D. non era stato oggetto dell’opposizione; sostiene che l’apodittica conclusione del Tribunale non è supportata da alcuna documentazione, di avere censurato l’accertamento del G.D., opponendo che “la riportata decisione cfr. precedente punto sub 4) va radicalmente rimeditata”(cfr. opposizione pag.7), e che la richiesta al detto punto 4 “di essere ammessa al passivo della società (OMISSIS) snc (OMISSIS) e dei soci (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), per l’importo corretto di Euro 185.821,04” non era altro che la contestazione dell’accertamento eseguito dal G.D.

La Hypo ribadisce che il Curatore si era avvalso di una perizia in materia di tasso di interesse, contestata dalla parte per metodologia e calcolo, e sostiene che il Tribunale ha violato l’art. 115 c.p.c., non ponendo a base della decisione le prove documentali in atti, ritenendo accertato un diverso credito, del quale non vi è alcuna prova documentale, con evidente vizio di motivazione.

Da ultimo, la Hypo sostiene la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere il Tribunale confermato l’esclusione dell’ammissione al passivo per l’indennità di occupazione dopo il Fallimento e sino al rilascio, ritenendo congruo il termine di due mesi per la restituzione dell’immobile, che è avvenuta invece dopo tre mesi.

Il ricorso presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Come sopra già detto, il Tribunale ha posto a base della statuizione di rigetto dell’opposizione, quanto alla somma riconosciuta dal G.D. a titolo di canoni scaduti e non pagati, il rilievo della mancata contestazione da parte della opponente dell’importo indicato dal G.D. come corrisposto dalla (OMISSIS) in bonis.

Il Tribunale ha specificamente rilevato che l’opponente si era limitata a ribadire la correttezza dell’importo indicato relativamente ai canoni scaduti e non pagati ma non aveva dedotto nè provato che fosse erroneo il calcolo effettuato dal G.D. che aveva portato alla determinazione della somma di Euro 547.614,31, quale capitale già versato dalla società prima del fallimento.

Il Tribunale ha pertanto ritenuta la carenza di contenuto nell’atto di opposizione.

E’ chiara pertanto la natura processuale della ratio decidendi del Tribunale sul punto che qui interessa; in altre parole, il primo Giudice ha ritenuto carente l’esposizione dei motivi dell’atto di opposizione, L. Fall., ex art. 99, comma 2, n. 3.

Ora, a fronte di detta decisione, la ricorrente ha inteso far valere il vizio di erronea applicazione della L. Fall., art. 99, e dell’art. 115 c.p.c..

Quanto al primo profilo, anche a ritenere non vincolante la rubrica del motivo (la parte ha infatti prospettato il vizio di violazione di norma sostanziale ex art. 360, n. 3, e non di norma processuale, ex art. 360 c.p.c., n. 4), deve concludersi per l’infondatezza della stessa prospettazione fatta valere dalla parte.

Ed infatti, la ricorrente intende sostenere l’erroneità della decisione del Tribunale opponendo le risultanze del proprio doc. 12 del fascicolo dell’opposizione; sostiene di avere censurato “l’accertamento eseguito dal Giudice delegato” avendo richiesto con l’opposizione che il provvedimento del G.D. venisse “radicalmente rimeditato” e di essere ammessa al passivo per l’importo corretto di Euro 185.821,04.

Ciò posto, va rilevato come, alla stregua delle stesse generiche indicazioni della ricorrente, non risulti affatto circostanziata l’opposizione in relazione al profilo che qui interessa (pur non costituendo l’opposizione allo stato passivo un vero e proprio giudizio d’appello, da cui l’inapplicabilità dell’art. 342 c.p.c., e quindi il principio di specificità dei motivi, la stessa deve enucleare le ragioni in fatto ed in diritto su cui si fonda, L. Fall., ex art. 99, comma 2, n. 3, da cui la preclusione per i fatti sottesi al provvedimento del G.D. non censurati), da cui consegue l’infondatezza della censura ex actis.

E, come espresso, tra le altre, nelle pronunce 20924/2019, 19410/2015, 8077/2012, 86/2012, 23420/2011) il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), deve necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo; in riferimento alla deduzione di un “error in procedendo” e, particolarmente, con riguardo alla deduzione della violazione di una norma afferente allo svolgimento del processo nelle fasi di merito, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il rispetto dell’esigenza di specificità non cessa di essere necessario per il fatto che la Corte di Cassazione, essendo sollecitata a verificare se vi è stato errore nell’attività di conduzione del processo da parte del giudice del merito, abbia la possibilità di esaminare direttamente l’oggetto in cui detta attività trovasi estrinsecata, cioè gli atti processuali, giacchè per poter essere utilmente esercitata tale attività della Corte presuppone che la denuncia del vizio processuale sia stata enunciata con l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma sul processo, di cui si denunci la violazione, in modo che la Corte venga posta nella condizione di procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica.

La ricorrente ha inteso far valere altresì la violazione dell’art. 115 c.p.c., sostenendo che il Tribunale non avrebbe posto a base della decisione le prove fornite, richiamando a riguardo il doc. n. 12 del fascicolo dell’opposizione, senza peraltro rispettare le prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, e art. 369 c.p.c., comma 4.

Come affermato, tra le tante, nella pronuncia 5478/2018 “Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per essere assolto, postula che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile. La causa di inammissibilità prevista dall’art. 366 c.p.c., n. 6, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, in quanto quest’ultimo sia un atto prodotto in giudizio, postula che si individui dove è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, prevedente un ulteriore requisito di procedibilità, che esso sia prodotto in sede di legittimità (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 23 agosto 2011, n. 17602; Cass. 4 gennaio 2013, n. 124). In proposito, operando i necessari distinguo, le Sezioni Unite hanno tra l’altro affermato che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, la produzione può avvenire per il tramite della produzione di tale fascicolo, ferma restando la necessità di indicare nel ricorso la sede in cui esso ivi è rinvenibile e di indicare che il fascicolo è prodotto, occorrendo tali indicazioni perchè il requisito della indicazione specifica sia assolto”.

La doglianza in oggetto deve ritenersi inammissibile, oltre che per il rilievo sopra evidenziato, per altro generale principio.

Come affermato tra le ultime nelle pronunce 4699/2018 e 26769/2018, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale, situazioni non rinvenibili nella fattispecie, nella quale, peraltro, per quanto sopra già detto, il Tribunale ha in via preliminare, avuto riguardo al contenuto dell’opposizione, ritenuto che l’opponente non avesse contestato l’erroneità del calcolo del G.D. Meramente labiale è il riferimento, a pag. 24 del ricorso, al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, (vizio che, trovando applicazione il novellato vizio di motivazione, non potrebbe che attenere all’omesso esame di fatto decisivo e non alla mera prova del fatto).

L’ambito di applicazione dell’art. 115 c.p.c., come sopra definito rende ragione della inammissibilità della denuncia di tale vizio in relazione alla statuizione di non debenza dell’indennità di occupazione per il periodo dalla data di dichiarazione di fallimento alla riconsegna.

Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4000,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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