Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28706 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GRASSO G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 26232/2015 proposto da:

R.G., R.M., N.I. e R.E.,

quest’ultimo anche quale legale rappresentante della società

D.R. & C. S.R.L., rappresentati e difesi, come da procura

speciale in calce all’atto di costituzione, dall’Avv. Luigi

Fariello, elettivamente domiciliati in Vallo della Lucania, alla via

Ottavio Valiante n. 11 presso il suo studio legale;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1285/28/15 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 30 marzo 2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20 giugno 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso.

Fatto

RITENUTO

che la D.R. & C. s.r.l. e i soci R.E., R.G., N.I. e R.M. impugnavano, con distinti ricorsi, l’avviso di accertamento emesso nei confronti sia della società sia dei soci per l’anno di imposta 2007, con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato maggiori ricavi e minori costi in relazione a una serie di operazioni di acquisto di autoveicoli usati, ritenute dall’Ufficio soggettivamente inesistenti in quanto realizzanti un meccanismo di c.d. frode carosello mediante l’interposizione fittizia di una società “cartiera”, la Hall Cars s.r.l., in transazioni comunitarie con il solo fine di sottrarre all’Erario il gettito Iva con minor versamento di Ires e Irap;

che la Commissione tributaria provinciale di Varese, riuniti i ricorsi, con sentenza 105/12/13, depositata il 18 novembre 2013, accoglieva le doglianze;

che la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la non deducibilità dell’Iva relativa ai costi, nonchè l’imponibilità di Euro 25.000,00, quali ricavi omessi, e dovuta la relativa l’Iva, pari a Euro 5.000,00;

che la D.R. & C. s.r.l. e i soci hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

che l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce l’inesistenza e totale carenza di motivazione della sentenza n. 1285/15 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, anche letto in combinato disposto con gli artt. 112 e 132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, e 118 disp. att. c.p.c.), nonchè l’omessa motivazione in quanto apparente e apodittica (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, anche letto in combinato disposto con gli artt. 112,132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. oppure con l’art. 116 c.p.c.). Secondo parte ricorrente, la pronuncia d’appello è priva di motivazione ovvero si sostanzia nella mera adesione acritica di un atto pregiudiziale o, comunque, endoprocessuale, da cui non risultano le ragioni sulle quali la decisione è fondata. Non consentendo la lettura dell’atto di conoscere l’iter logico giuridico e i fatti su cui tale iter si fonda, ne conseguirebbe l’assenza di motivazione ovvero una motivazione soltanto apparente;

che con il secondo motivo si prospetta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, anche letto in combinato disposto con gli artt. 112 e 132 c.p.c.e art. 118 disp. att. c.p.c. oppure con l’art. 654 c.p.p. oppure con il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 58 oppure con l’art. 116 c.p.c.). La pronuncia impugnata, secondo quanto sostenuto dai ricorrenti, non ha motivato le ragioni per cui è stata totalmente disattesa la sentenza penale passata in giudicato n. 377/12 emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, entrata nel processo di prime cure quale ulteriore prova della correttezza delle argomentazioni del contribuente. Si evidenzia inoltre che la Commissione tributaria regionale non ha tenuto in nessuna considerazione ovvero ha contraddittoriamente e/o insufficientemente motivato gli elementi di fatto, oggetto di discussione tra le parti, la cui esistenza dimostrerebbe la correttezza e la liceità del comportamento della contribuente;

che con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in combinato disposto con le norme procedimentali che regolano la fattispecie delle c.d. “frodi carosello” l’emissione dell’atto di accertamento; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56). La sentenza impugnata avrebbe omesso del tutto di valutare le eccepite irregolarità, sollevate in primo grado e riproposte in grado di appello dall’odierna parte ricorrente, circa la mancata motivazione dell’atto di accertamento, la mancata allegazione del “PVC”, la mancata indicazione delle norme applicate in fattispecie, in combinato disposto con le norme dello statuto del contribuente;

che i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili;

che in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 e applicabile anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) – è consentito denunciare in cassazione oltre al vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e abbia carattere decisivo, l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomparabile” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 23 marzo 2017, n. 7472);

che, nel caso di specie, alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sussiste alcuna mancanza assoluta di motivazione, così come prospettata dai ricorrenti, avendo la pronuncia impugnata fornito le ragioni poste alla base della decisione, per cui non si ravvisano i presupposti indicati dalle Sezioni Unite per individuare, nell’attuale regime processuale, un’anomalia motivazionale denunciabile per cassazione;

che difettano di specificità le doglianze relative al mancato esame della documentazione prodotta poichè, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza del ricorso esige che, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, si proceda a un sintetico, ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di verificare la fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio e accedere a fonti esterne (Cass. 7 marzo 2018, n. 5478).

che inammissibile risulta la richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie con riferimento ai documenti esaminati, essendo tale compito riservato al giudice di merito;

che altresì inammissibile è la censura relativa al mancato esame degli argomenti dedotti a sostegno della propria tesi, non riguardando un fatto ma una questione giuridica, estranea, pertanto, all’ambito di applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

che in relazione al rilievo del giudicato penale di assoluzione per i reati tributari, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – ai sensi dell’art. 654 c.p.p., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25 – l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (Cass. 17 febbraio 2010, n. 3724);

che, in particolare, nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare (Cass. 22 maggio 2015, n. 10578);

che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente;

che la pronuncia impugnata ha espresso le ragioni per le quali ha ritenuto parzialmente fondata la tesi dell’Amministrazione, mentre difettano di specificità i richiami al giudicato cui i ricorrenti attribuiscono una valenza risolutiva;

che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in Euro 7.800,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta civile, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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