Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28702 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e FAVATA EMILIA,

che lo rappresentano e difendono giusta procura notarile in atti;

– ricorrente –

contro

D.B.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 801/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2006 r.g.n 1070/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato LUCIANA ROMEO per delega LA PECCERELLA LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’improcedibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30.1 – 7.3.2006 la Corte d’Appello di Roma rigetto gli appelli principale e incidentale rivolti rispettivamente dall’Inail e da D.B.U. avverso la pronuncia di prime cure con la quale, espletata CTU medico legale, era stato dichiarato che il D.B. aveva subito una menomazione comportante un gradiente del 6%, con conseguente condanna dell’Istituto al pagamento dell’indennità corrispondente a titolo di indennizzo del danno biologico.

A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva e, quindi, con specifico riferimento al gravame proposto dall’Inail, la Corte territoriale ritenne che la censura svolta dall’Istituto, di avvenuta erronea applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000 a fronte di domanda presentata nel luglio 1999, fosse inammissibile ai sensi dell’art. 437 c.p.c., in quanto “domanda nuova non sollevata nel giudizio di primo grado”.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale l’Inail ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico articolato motivo.

L’intimato D.B.U. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, eccependo altresì l’improcedibilità del ricorso, stante il mancato deposito, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, degli atti e dei documenti sui quali il ricorso stesso si fonda.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia plurime violazioni di norme di legge, nonchè vizio di motivazione, deducendo in particolare che:

– nell’elenco della documentazione allegata, contenuto nel ricorso introduttivo di primo grado, era stata fatta indicazione della “copia denuncia infortunio (OMISSIS)”; l’Istituto aveva allegato alla propria memoria difensiva di primo grado la “fotocopia denuncia di malattia professionale” del 1999; il CTU officiato in prime cure aveva rilevato che risultava dagli atti di causa la richiesta dell’assicurato, in data 23.6.1999, di riconoscimento come malattia professionale della patologia da cui era affetto e aveva riconosciuto la sussistenza della malattia professionale già all’epoca della domanda;

– nessuna preclusione poteva essere ipotizzata a carico di esso ricorrente (convenuto in primo grado), sia perchè la contestazione dell’errata indicazione della norma regolante la materia del contendere non costituisce eccezione in senso stretto, ma una mera difesa, sia perchè la corretta individuazione della norma applicabile è rimessa alla competenza esclusiva del giudicante;

conseguentemente, con il ricorso d’appello, l’Istituto non aveva dedotto un fatto nuovo, ma aveva soltanto rilevato che, in base ai fatti scrutinati, la norma da applicare non avrebbe potuto essere il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13;

– in subordine, tale ultima norma, inapplicabile alla fattispecie per cui è causa, era stata peraltro anche violata, posto che il CTU aveva riscontrato una percentuale di inabilità permanente del 6% con riferimento alla generica capacità di lavoro e non alla menomazione dell’integrità psico fisica;

– infine la Corte territoriale non aveva indicato in base a quali criteri aveva ritenuto che il gradiente di riduzione dell’attitudine al lavoro riscontrato dal CTU fosse equivalente al medesimo gradiente di riduzione dell’integrità psicofisica.

2. In ordine all’eccezione di improcedibilità del ricorso svolta dal controricorrente, osserva il Collegio che, relativamente alla portata precettiva dell’art. 369 c.p.c., n. 4, con riferimento specifico agli atti contenuti nel fascicolo d’ufficio del giudice a quo, la giurisprudenza di questa Corte ha seguito orientamenti non univoci.

Secondo un orientamento, che si potrebbe definire più rigorista, è stato infatti affermato che l’onere di deposito previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7, è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente di tutti gli atti processuali e dei documenti (negoziali e non) necessari alla decisione del ricorso, ricomprendendosi nel novero degli atti processuali da depositare anche quelli già contenuti nel fascicolo di ufficio dei gradi di merito, essendo tale adempimento funzionale all’ineludibile esigenza che la Corte abbia un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione e non potendosi, comunque, ritenere assolto tale onere con il deposito in Cassazione dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio, rivolta alla cancelleria del giudice “a quo”, prescritto dal comma 3 del medesimo art. 369 c.p.c. (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3522/2011; 3689/2011).

Secondo un altro orientamento è stato invece ritenuto che, avuto riguardo al combinato disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi dei quali il legislatore ha imposto (oltre che l’indicazione) anche l’obbligo di deposito, a pena di improcedibilità del ricorso, sono soltanto quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata, atteso che, diversamente, si causerebbero effetti processuali del tutto incoerenti sotto il profilo sistematico, quali un inutile appesantimento della produzione in giudizio, la duplicazione degli oneri posti a carico delle parti ed un aggravio della difficoltà di esercitare i diritti difensivi con pregiudizio del principio di effettività della tutela giurisdizionale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4898/2010; 17196/2010;

18854/2010).

2.1 Il contrasto è stato tuttavia composto dalle Sezioni Unite con la statuizione – per quanto qui specificamente rileva – secondo cui l’onere del ricorrente di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita del visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, (cfr, Cass., SU, n. 22726/2011).

2.2 Nella specie – stante il deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio – non può configurarsi alcuna improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c. con riferimento al ricorso introduttivo del giudizio e alla CTU espletata in prime cure, trattandosi di atti processuali che devono essere inseriti nel fascicolo d’ufficio di quel grado (a mente dell’art. 168 c.p.c., comma 2), il quale, a sua volta, deve essere richiesto, per l’inserimento nel fascicolo d’ufficio del grado d’appello, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., comma 3.

3. Con particolare riferimento alla relazione del CTU, deve poi rilevarsi che, avendo l’Inail provveduto a trascriverne in ricorso i passaggi relativi all’accertata presentazione della denuncia amministrativa nel 1999, senza che l’odierna parte resistente abbia mosso alcuna contestazione in ordine alla conformità di tale trascrizione all’effettivo contenuto delle osservazioni dell’ausiliare tecnico, deve ritenersi effettivamente acclarato che la denuncia della malattia professionale venne inoltrata in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000, recante le tabelle valutative del danno biologico.

3.1 A mente del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2, le nuove prestazioni ivi contemplate, sono erogate per “…i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonchè a malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3”; quest’ultimo comma, a sua volta, prevede che “Le tabelle di cui alle lettere a) e b), i relativi criteri applicativi e i successivi adeguamenti sono approvati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su delibera del consiglio di amministrazione dell’INAIL. In sede di prima attuazione il decreto ministeriale è emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”. La giurisprudenza di questa Corte ha re iterata mente affermato che il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2000, art. 13 si applica unicamente per i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente all’entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000, recante le tabelle valutative del danno biologico (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 21022/2007; 17089/2010; 9956/2011).

4. Un tanto premesso, deve riconoscersi che il divieto di nuove domande ed eccezioni, di cui al disposto dell’art. 347 c.p.c., comma 2, concerne soltanto le eccezioni in senso proprio relative a fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto fatto valere in giudizio, non rilevabili d’ufficio, e non anche le cosiddette eccezioni improprie o mere difese, dirette soltanto a negare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4763/1999; 9238/2001; 8855/2002; 8739/2003), ovvero a negare l’applicabilità di una determinata disciplina normativa alla fattispecie dedotta in giudizio (cfr, Cass., nn., 3284/2004; 12728/2006).

5. Il motivo di ricorso risulta dunque fondato nei termini sopra indicati, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.

Conseguentemente il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata.

Risultando dalla sentenza impugnata che il giudizio era stato promosso per ottenere la concessione di rendita rapportata al gradiente di inabilità e, pertanto, con riferimento alla disciplina previgente al D.Lgs. n. 38 del 2000, ed effettivamente applicabile, ratione temporis, alla fattispecie dedotta in giudizio, va disposto il rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi ai suindicati principi e provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alla doglianza accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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