Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28700 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

DOTT.SSA M.C.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MANFREDI 11, (studio GIULIO VALENTI), presso lo studio

dell’avvocato AVANZATO VINCENZO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ESA ENTE DI SVILUPPO AGRICOLO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 426/2007 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 21/12/2007 R.G.N. 334/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 12.12/21.12.2007 la Corte di appello di Caltanissetta , in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda proposta da M.C.M. al fine di ottenere la condanna dell’E.S.A. (Ente Sviluppo Agricolo) all’inquadramento nella terza fascia funzionale dirigenziale istituita dalla L.R. Sicilia n. 10 del 2000, art. 6, comma 1 con decorrenza dal 17.6.2000 (data di entrata in vigore della legge stessa) ed alla condanna in favore della medesima con decorrenza dall’1.10.2001 delle differenze conseguenti all’inquadramento richiesto.

Osservava in sintesi la corte territoriale che l’operatività della disposizione istitutiva della terza fascia non poteva prescindere dalla preventiva emanazione del regolamento di organizzazione previsto dalla L.R. n. 10 del 2000, art. 1, comma 3 ossia dallo strumento previsto per consentire l’adeguamento dell’ordinamento interno dell’ente ai nuovi principi previsti dalla legge medesima.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.M. M. con un unico motivo.

Resiste con controricorso l’ESA.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla L.R. n. 10 del 2000, artt. 1, 6, 22 e 24 e 31 della LR n. 6 del 1997) ed, al riguardo, osserva che l’omessa o ritardata emanazione del regolamento di esecuzione della legge in argomento non poteva comportare l’inoperatività della relativa disciplina, nè il comportamento inerte dell’amministrazione poteva determinare effetti pregiudizievoli nei confronti dei dipendenti, titolari di un diritto;

che tale disciplina doveva ritenersi di immediata efficacia, potendosi attuare l’equiparazione con il personale regionale in base alle tabelle di cui alla L.R. n. 6 del 1997, art. 31 erroneamente non valorizzate dal giudice di appello; che, in ogni caso, l’esercizio della potestà regolamentare era riferibile alla nuova disciplina della dirigenza, ma non anche ai provvedimenti relativi al trattamento economico e giuridico del personale, estraneo all’ambito di esercizio della potestà regolamentare.

Il ricorso è inammissibile per violazione del precetto dell’art. 366 bis c.p.c..

A norma, infatti, di tale disposizione, deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione in cui il quesito di diritto si risolve in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, inidonea ad individualizzare l’errore di diritto ascritto alla sentenza impugnata e a costituire, al tempo stesso, una regula iuris suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori a quello deciso dalla sentenza impugnata (v. SU. n. 26020/2008; SU n. 26014/2008).

Per come è di tutta evidenza nella fattispecie, se si considera che il quesito formulato (“Dica la Corte che la L.R. 15 maggio 2000, n. 10, art. 6, comma 1, attribuisce immediatamente il diritto all’inquadramento nella terza fascia dirigenziale, prevista dal medesimo articolo, al personale dell’ESA con la qualifica C2 (ex 8 fascia funzionale) e C3 (ex 9 fascia funzionale), già equiparato ai dipendenti regionali con la qualifica di dirigente amministrativo o tecnico sulla scorta della tabella adottata dall’ESA con Delib. n. 172/CA del 4.10.2000 in ossequio alla L.R. 6 del 1997, art. 31 ed approvata con D.P.R.S. 12 aprile 2001, n. 70”) si risolve in una affermazione apodittica e circolare, o, in altri termini, nel risultato atteso dai ricorrenti con la proposizione del ricorso, ma senza che sia possibile individuare, attraverso una sintetica rappresentazione dei termini logici e normativi rilevanti, la questione di diritto oggetto della causa, ed, in particolare, la corretta interpretazione della disciplina, che si assume violata, che giustificherebbero tale esito, così come l’errore di valutazione che inficerebbe, in relazione allo stesso risultato, la sentenza impugnata.

Il che rileva anche sul piano della concreta corrispondenza fra quesito e questione controversa.

Deve rilevarsi, infatti, che è inammissibile il quesito di diritto ove non vi sia corrispondenza (o vi sia solo parziale corrispondenza) fra quesito e motivo, oche il primo non sia esaustivamente riferibile alla questione controversa posta col motivo di impugnazione, rappresentandone la sintesi logico- giuridica.

Per come già precisato da questa Suprema Corte (cfr. ad es. SU n. 14385/2007; Cass. n. 11535/2008), il rispetto del requisito della imprescindibile attinenza dei quesiti al decisum è condizione indispensabile per la valida proposizione del quesito medesimo, sotto pena della sua genericità e della conseguente equiparazione, per difetto di rilevanza, alla mancanza stessa di un quesito. Il che deve ripetersi anche per il quesito puramente assertivo, che non consente, come si è detto, di evidenziare sia il nesso fra la fattispecie e il principio che si chiede venga affermato, sia la regola, diversa da quella posta a base del provvedimento impugnato, la cui auspicata azione condurrebbe ad un esito difforme della controversia.

Con la conseguenza che, nel caso, risulta confermata l’assenza dei requisiti essenziali della fattispecie normativa, che impongono, per come va conclusivamente ribadito, che il quesito sia esplicito e collocato in una parte del ricorso a ciò specificatamente deputata e che lo stesso si risolva in una sintesi logico giuridica della questione che ha determinato l’instaurazione del giudizio, con l’individuazione, immediatamente percepibile da parte del giudice di legittimità, dell’errore di diritto che si assume compiuto e della diversa regola che si sarebbe dovuta applicare, realizzandosi, attraverso la risposta al quesito, quel collegamento fra la risoluzione 1 caso specifico e l’enunciazione di un principio giuridico generale, in assenza del quale l’investitura stessa del giudice di legittimità deve ritenersi inadeguata. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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