Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28698 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2020, (ud. 20/10/2020, dep. 16/12/2020), n.28698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1303-2019 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PRIMA COMPONENTE ANAGNI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 2,

presso lo studio dell’avvocato ITALICO PERLINI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati LUISA CELANI, GAETANO CAPPUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2129/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Roma, a conferma della sentenza del Tribunale di Frosinone, ha rigettato il ricorso di B.D. dipendente della Società An. Plast. s.r.l. (poi divenuta Prima Componente Anagni s.r.l.) con qualifica di operaio, il quale aveva chiesto il riconoscimento di danni per condotta da mobbing subita durante il periodo lavorativo 1994 – 2000;

la Corte territoriale, sulla base degli esiti dell’istruttoria e delle consulenze mediche, ha affermato la legittimità del comportamento della società datrice, escludendo l’esistenza di qual si voglia attività vessatoria posta in essere dalla stessa in danno dell’appellante;

quanto alle plurime sanzioni disciplinari inflitte all’appellante, culminate nel licenziamento disciplinare, la sentenza ha confermato la legittimità delle stesse;

la cassazione della sentenza è domandata da B.D. sulla base di due motivi;

la società ha opposto difese;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, parte ricorrente deduce “Nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. – error in procedendo omessa pronuncia ammissione mezzi istruttori”; la Corte d’appello avrebbe errato nel mancare di pronunciarsi in merito all’omessa pronuncia del Tribunale circa la richiesta di ammissione della prova testimoniale formulata dall’appellante in primo grado; qualora avesse accolto la richiesta, riformando così la precedente statuizione, sarebbe certamente giunto a una diversa conclusione;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso esame di un fatto decisivo della controversia”, consistente nella mancata considerazione, da parte del secondo giudice, degli esiti del giudizio contro l’Inail con cui, in un’altra sentenza, lo stesso Tribunale di Frosinone aveva riconosciuto in capo al B. un’invalidità permanente dell’11 per cento in seguito ad incidente sul lavoro, a riprova della non esigibilità dei ritmi produttivi imposti dalla Società ed oggetto del provvedimento di licenziamento per motivi disciplinari;

il primo motivo è infondato;

la Corte d’appello ha affermato (p. 4) che poichè i fatti vagliati dal Tribunale di Frosinone sono i medesimi allegati dall’appellante e poichè il loro accertamento è intervenuto nel contraddittorio delle parti, non vi erano preclusioni di sorta a che quell’istruttoria rilevasse ex art. 115, anche nel giudizio di appello, e, dunque, non sussiste il vizio di omessa pronuncia;

inoltre, il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. ex multis, Cass. n. 7406 del 2014) ritiene che il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non possa dar luogo al vizio di omessa pronunzia; quest’ultimo si configura soltanto in relazione alle domande di merito, e non assurge, quindi a causa autonoma di nullità della sentenza; al riguardo potrebbe profilarsi al più una nullità (propria o derivata) della decisione, sebbene per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto risulti errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte in base al principio di diritto affermato da questa Corte;

in altri termini, il vizio di omessa pronuncia non ricorre, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (ex multis cfr. Cass. n. 20191 del 2017);

quanto alla doglianza relativa alla mancata predisposizione di una nuova c.t.u. d’ufficio (di cui la sentenza fornisce, comunque, adeguata motivazione a p.5), si richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice del merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporne la rinnovazione, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri istituzionali, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto; (cfr. ex multis, Cass. n. 22799 del 2017, nonchè Cass. n. 2103 del 2019);

quanto al secondo motivo esso va dichiarato inammissibile perchè risulta proposto per la prima volta in sede di legittimità;

qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, la parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice del merito, ma altresì – in ossequio al principio di specificità del ricorso – di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente la questione oggetto della doglianza è stata posta, in modo da consentire a questa Corte di valutare ex actis la veridicità di quanto sostenuto (in tal senso cfr., ex multis, Cass. n. 6945 del 2018);

nel caso in esame l’infortunio sul lavoro è menzionato dalla Corte territoriale (p. 5 sent.), ma in senso opposto a quello voluto dall’odierno ricorrente, al fine cioè di ribadire la correttezza della condotta della società, la quale, avviando a visita medica aziendale il B., intendeva proprio verificarne la compatibilità delle condizioni fisiche con le mansioni contrattualmente richiedibili al lavoratore;

il ricorso va in definitiva dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della parte soccombente;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.500 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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