Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28698 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23060/2014 R.G. proposto da:

F.B., elettivamente domiciliato in Roma, via Emilio Dè

Cavalieri n. 11, presso lo studio dell’avv. Anton Giulio Lana,

rappresentato e difeso dall’avv.to Pasquale Tarricone, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1368/ 51/14 della Commissione tributaria

regionale di Napoli 51, depositata in data 7 febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Paolo Fraulini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale per la Campania in Napoli, pronunciando in sede di rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 23397 del 2011, ha dichiarato la legittimità degli avvisi di accertamento numero (OMISSIS) e (OMISSIS) relativi ad IVA, IRPEF ed IRAP per le annualità 2002 e 2003 impugnati da F.B., esercente attività di panificazione in Benevento, che contestavano l’omessa effettuazione delle ritenute di acconto per il dipendente D.P.G..

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che, in relazione alla contestazione avente a oggetto la tenuta alle dipendenze della ditta del contribuente di 4 lavoratori non regolarizzati, la dichiarazione del D.P. veniva confermata dall’estratto conto assicurativo dell’INPS, depositato in atti, dal quale emergeva che l’indennità di disoccupazione per il citato dipendente non copriva gli anni 2002-2003, oggetto degli accertamenti contestati, sicchè confermava l’attendibilità di quanto dallo stesso originariamente dichiarato. A parere del giudice del rinvio, le irregolarità rilevate dagli accertamenti della Guardia di Finanza consentivano di ritenere fondata la contestazione e dimostravano l’infondatezza dell’impugnazione del contribuente.

Per la cassazione della citata sentenza, F.B. ricorre con quattro motivi, resistiti dall’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Il ricorso lamenta:

a) Primo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7, rilevabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” deducendo la nullità della sentenza per avere i giudici del rinvio fondato il proprio convincimento su elementi estranei al giudizio, in particolare sulla circostanza che per l’anno 2004 la ditta F. avesse tenuto alle dipendenze 4 lavoratori non regolarizzati, laddove il giudizio riguardava le annualità 2002 e 2003.

b) Secondo motivo: “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rilevabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” deducendo l’erroneità della sentenza per aver mancato di rispettare il principio di diritto statuito da questa Corte nell’ordinanza di rinvio, avendo omesso di valutare elementi ulteriori rispetto alla sola dichiarazione resa dal dipendente D.P..

c) Terzo motivo: “Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” deducendo la totale omissione da parte della Ctr dell’esame della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal D.P., come anche della documentazione versata dal contribuente e relativa all’assunzione del medesimo in data 19 marzo 2004 e ad altra dichiarazione sostituiva di atto di notorietà rilasciata dal D.P. in data 9 febbraio 2005, ove dichiarava di essere stato assunto il 19 marzo 2004.

d) Quarto motivo: “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione agli artt. 384 e 385 c.p.c., rilevabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” deducendo l’erroneità della sentenza per aver condannato il contribuente a rifondere all’Agenzia delle Entrate anche le spese del precedente giudizio di legittimità, nonostante in tale fase fosse risultato pienamente vincitore.

2) L’Agenzia delle Entrate argomenta nel controricorso l’infondatezza dell’avversa impugnazione, di cui chiede la declaratoria di inammissibilità e comunque il rigetto.

3) Il ricorso va respinto.

4) L’ordinanza di questa Corte ha sancito che la dichiarazione resa alla Guardia di Finanza dal dipendente D.P.G., relativa all’inizio dell’attività lavorativa presso il F. nel giugno 2001 e riportata nel processo verbale di constatazione, non è coperta da fede privilegiata e che pertanto, per contestarne la veridicità, non è necessario proporre querela di falso, essendo la stessa liberamente apprezzabile unitamente ad altre risultanze istruttorie. Così recita l’ordinanza di rinvio n. 23397/2011:

a. (Considerato):

i. l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese e agli altri fatti dal medesimo compiuti o che questi attesti essere avvenuti in sua presenza (Cass. 10702/2005; 10219/1996, 12386/2006); tale efficacia privilegiata non si estende, invece, alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale da terzi (nella specie dal lavoratore), che costituiscono materiale probatorio liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle ulteriori risultanze istruttorie (Cass. n. 9251/2010).

2. In tale contesto, e alla luce del carattere “chiuso” del relativo giudizio, il giudice del rinvio doveva esaminare le prove acquisite agli atti, al fine di valutare se la contestata omissione contributiva per le annualità 2002 e 2003 fosse o meno fondata, alla luce del complessivo materiale probatorio in atti.

3. Tale compito la CTR ha assolto, ribadendo il proprio convincimento circa l’esistenza in atti della prova che negli anni 2002 e 2003 il D.P. era dipendente della ditta del contribuente. Tale conclusione il giudice di appello ha tratto dalla riferita circostanza che l’omessa dimostrazione del versamento dell’indennità di disoccupazione per il citato dipendente nelle annualità 2002 e 2003 dimostrasse che in quel periodo egli lavorava in maniera irregolare per il F., così avvalorando la prima dichiarazione del D.P. che, pur non fidefacente sino a querela di falso, veniva giudicata verosimile e prevalente rispetto ad altro materiale istruttorio.

4. In tale contesto va affermato che:

a. Il primo motivo di ricorso è infondato, non sussistendo alcuna extra petizione, avendo il giudice del rinvio esattamente identificato il thema decidendum del giudizio di rinvio, che consisteva esattamente in una rivalutazione del materiale istruttorio al fine di determinare la fondatezza della pretesa erariale.

b. Il secondo e il terzo motivo, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. Invero non sussiste alcun obbligo per il giudice di merito di motivare su tutti gli elementi probatori versati in atti e di controdedurre a tutte le argomentazioni difensive ad essi inerenti al fine di giustificare la formazione del proprio convincimento. E’ sufficiente che il giudizio sia riconoscibile come tale e privo di aporie che ne minimo l’intellegibilità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4833 del 18/05/1994; id. Sez. 3, Sentenza n. 4777 del 12/05/1998). Nel caso di specie, come sopra riassunto, la CTR ha motivato il suo convincimento sulla prevalenza dell’originaria dichiarazione del D.P. rispetto a ogni diversa possibile ricostruzione. Tale motivazione è insindacabile in questa sede, siccome riconoscibile come tale e perfettamente comprensibile.

c. Il quarto motivo è infondato. Questa Corte ha più volte affermato il principio, totalmente condivisibile e da ribadire, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese, il giudice della fase del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per la liquidazione delle spese del grado di legittimità, deve attenersi al principio della soccombenza, da determinarsi tuttavia tenuto conto dell’esito complessivo della controversia, piuttosto che ai singoli diversi grado del giudizio. (Cass. sent. n. 20289 del 2015; id. n. 7243 del 2006). Ne consegue che, nel caso di specie, la CTR ha fatto corretta applicazione di tale principio, riferendo la condanna alle spese del contribuente proprio alla soccombenza rispetto alla lite nel suo complesso.

5. La soccombenza regola le spese del presente grado di giudizio, dovendosi inoltre dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna F.B. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della presente fase di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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