Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28695 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5503/2012 R.G. proposto da:

B.G., domiciliato in Roma, presso la cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo

Operamolla, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

Contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, e Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 39/13/11 della Commissione tributaria

regionale di Bari 13, depositata in data 12 luglio 2011;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Paolo Fraulini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per la Puglia in Bari, riformando la sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimi gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) relativi Iva, Irpef, Irap e relative ritenute alla fonte per l’anno di imposta 2003, impugnati da B.G..

2. Ha rilevato il giudice di appello che l’accertamento induttivo era legittimamente basato sul contenuto di una contabilità parallela rinvenuta in un’agenda acquisita presso la sede dell’attività; da tanto discendeva che era onere del contribuente dimostrare che le indicazioni contenute nel citato documento non avevano alcun rapporto con l’attività esercitata. Il contribuente, nel caso di specie, si era invece limitato a dichiarare che i dati riportati sulla stessa non erano relativi alla sua attività, ma non ne aveva mai disconosciuto l’appartenenza, nè aveva fornito alcuna prova per attestare che i dati indicati nell’agenda si riferissero a qualcosa di diverso dall’attività imprenditoriale verificata.

3. Per la cassazione della citata sentenza B.G. ricorre con un motivo, resistito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta “Art. 360 c.p.p., comma 5, per mancanza assoluta di motivazione, omessa, insufficiente, illogico, irrazionale e contraddittoria motivazione in relazione all’accertamento induttivo (fatto controverso e decisivo per il giudizio) – Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.” deducendo l’illegittimità della sentenza siccome affetta da un doppio vizio di motivazione; il primo, relativo alla mancanza assoluta di esplicitazione dell’iter logico con cui sarebbero stati conteggiati i capi prodotti e venduti in nero dall’azienda sulla base degli incomprensibili dati riportati su un’agenda; il secondo, relativo alla contraddittorietà e carenza della motivazione in relazione all’assoluto conflitto fra gli esiti dell’applicazione delle presunzioni per la determinazione dei ricavi – partendo dai dati individuati nell’agenda con quelli certi e verificati – con erronea applicazione del ragionamento presuntivo. Metodologia presuntiva di accertamento che il ricorrente avrebbe contestato sin dal primo atto dell’accertamento, negando che i dati riportati sull’agenda fossero relativi alla propria attività; ne conseguiva che l’accertamento era basato su elementi assolutamente inidonei a fondare le presunzioni, con conseguente illegittimità degli avvisi impugnati, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado e inopinatamente disatteso dal giudice di appello, peraltro sulla base di una motivazione apparente e palesemente contraddittoria illogica e irrazionale.

2. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate argomentano nel controricorso l’infondatezza dell’avversa impugnazione, di cui chiedono il rigetto.

3. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che la legittimazione “ad causam” e ad “processum” spetta esclusivamente all’Agenzia delle entrate con riferimento ai procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001, data in cui è divenuta operativa la sua istituzione (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29183 del 06/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 1550 del 28/01/2015).

4. Nel merito il ricorso va respinto.

5. La sentenza impugnata, con motivazione perfettamente intellegibile e come tale riconoscibile, argomenta la soccombenza del contribuente sulla base della mancata prova, di cui lo dichiara onerato, della irriconducibilità delle annotazioni rinvenute nell’agenda rinvenuta nei locali aziendali con l’attività di impresa esercitata.

6. Tale affermazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte, che, da un canto, ha dichiarato legittimo l’accertamento induttivo basato sul rinvenimento di contabilità parallela (Sez. 5, Ordinanza n. 29543 del 16/11/2018; Sez. 5, Sentenza n. 19598 del 20/12/2003), dall’altro ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perchè nella nozione di scritture contabili, disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (Sez. 5 -, Ordinanza n. 27622 del 30/10/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 12680 del 23/05/2018).

7. Il motivo di ricorso, anzichè confrontarsi con tale ratio decidendi, consta in effetti di un tentativo di far compiere a questa Corte un nuovo giudizio di fatto sulle prove (come dimostrato anche dall’inammissibile interpolazione di documenti in uno con il ricorso, fuori dai casi previsti dall’art. 372 c.p.c.), non consentito in questa fase di legittimità.

8. La soccombenza regola le spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile la costituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze; rigetta il ricorso e condanna B.G. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della presente fase di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 oltre spese prenotate a debito; compensa integralmente le spese di fase tra il ricorrente e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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