Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28693 del 18/10/2021

Cassazione civile sez. I, 18/10/2021, (ud. 03/06/2021, dep. 18/10/2021), n.28693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17206/2020 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della Corte di Cassazione, rappres. e difeso dall’avv. Giulio

Marabini, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappres. e difende;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

20/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/06/2021 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

M.M., cittadino della Nigeria, propose opposizione al provvedimento della Commissione territoriale che aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria, per l’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente e per l’insussistenza di gravi motivi di carattere umanitario.

Con Decreto del 20.3.20, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso osservando che: le dichiarazioni del ricorrente erano inattendibili, con esclusione di ogni pericolo di persecuzioni in caso di rimpatrio; il ricorso non riguardava lo status di rifugiato; dalle fonti esaminate non si desumeva la situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nella regione di provenienza dell’istante, ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. c); non ricorrevano i presupposti della protezione umanitaria per la mancata prova dell’integrazione sociale e lavorativa, non essendo a tal fine sufficiente l’attività lavorativa svolta e lo studio della lingua italiana. M.M. ricorre in cassazione con due motivi.

Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. e), artt. 4, 9, 15 20 direttiva 2004/83, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), art. 14, nonché omesso esame di fatto decisivo, avendo il Tribunale negato la protezione sussidiaria, erroneamente escludendo che in Nigeria vi fosse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, considerando che il predetto art. 14 non aveva recepito il disposto dell’art. 8 della suddetta direttiva circa il riferimento alla regione d’origine, sicché il Tribunale avrebbe dovuto accertare la situazione di violenza sull’intero territorio nazionale, nonché nelle altre regioni indicate.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, att. 5, comma 6 e art. 19, per aver il Tribunale negato il riconoscimento della protezione umanitaria, omettendo di considerare l’avvenuta integrazione sociale attraverso l’attività lavorativa svolta nell’ultimo anno continuativamente, sebbene con contratti a tempo determinato, per un’impresa forlivese.

Il primo motivo è inammissibile poiché diretto al riesame dei fatti relativi alla protezione sussidiaria, ex art. 14, lett. c), oltre che generico, avendo il Tribunale esaminato varie fonti. Con riguardo alla doglianza afferente all’omesso esame della situazione di violenza indiscriminata sull’intero territorio della Nigeria, va osservato che è sufficiente che il Tribunale abbia verificato tale situazione nella regione di provenienza del ricorrente – limitando la pericolosità solo ad alcune regioni dello Stato – essendo a tale fine irrilevante che l’art. 14, non abbia recepito il contenuto del citato art. 8 (v. Cass., n. 29621 e 8230/20 secondo cui: “non sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, nel caso in cui il pericolo di minaccia grave, derivante da violenza indiscriminata non sia presente nella regione di provenienza del richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussiste nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese”).

Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Invero, il motivo tende a ribaltare l’interpretazione sulla mancata prova dell’avvenuta integrazione sociale del ricorrente, o della sussistenza di condizioni individuali di vulnerabilità, avendo il Tribunale motivato adeguatamente sulla questione, escludendo che lo svolgimento di attività lavorativa a tempo determinato e la conoscenza della lingua italiana fossero elementi sufficienti al fine del riconoscimento del permesso umanitario.

Nulla per le spese, atteso che il Ministero non ha depositato il controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021

 

 

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