Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28692 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato BURCHI LUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PATTERI ANTONELLA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 424/2006 del TRIBUNALE di LANUSEI, depositata

il 15/01/2007 R.G.N. 105/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato BURCHI LUIGI;

udito l’Avvocato PATTERI ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Lanusei con sentenza del 28.11.2006 accoglieva l’opposizione proposta dall’INPS avverso l’atto di precetto notificato a cura di D.G. per il pagamento dei ratei della pensione di invalidità dal momento della revoca alla stregua di accertamento giudiziale e per l’effetto dichiarava la nullità dell’opposto precetto. Rilevava il Tribunale che l’INPS aveva provveduto alla liquidazione dell’assegno ordinario di invalidità in ottemperanza a quanto stabilito dalla Corte di appello di Cagliari e che la decurtazione effettuata era in relazione a quanto percepito per assegno di assistenza in relazione alla L. n. 407 del 1990, art. 3, comma 1, con una duplicazione di pagamenti per lo stesso periodo.

Ricorre il D. con tre motivi; resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In primo luogo va rigettata l’eccezione sollevata dall’INPS di inammissibilità del ricorso in cassazione in quanto – a detta dell’INPS – si sarebbe dovuto proporre appello avverso la sentenza del Tribunale di Lunusei. La sentenza impugnata ha qualificato l’opposizione come all'”esecuzione” e pertanto va sul punto ricordato l’insegnamento di questa Corte secondo cui “nei giudizi di opposizione all’esecuzione decisi a partire dal 1.3.2006 la sentenza- a norma dell’art. 616 c.p.c., come modificato L. n. 52, art. 14 – non è impugnabile con l’appello ed è perciò soggetta al ricorso immediato per cassazione” (Cass. n. 9591/2011, Cass. n. 1402/2011).

Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 407 del 1990, art. 3, comma 1. La incompatibilità tra i due emolumenti non poteva applicarsi nel caso di specie poichè, giusta la lettera della legge, la norma invocata doveva trovare applicazione quando vi era erogazione contemporanea dell’assegno di assistenza e della pensione di invalidità e non quando, come era avvenuto, i due emolumenti erano stati erogati in tempi diversi.

La doglianza è infondata in quanto come risulta dalla sentenza impugnata è stato applicato il trattamento più favorevole per lo stesso periodo evitando il raddoppiamento della prestazione dovuta, sia pure posta a carico di soggetti diversi. Le ulteriori doglianze sollevate nel motivo appaiono parimenti infondate in quanto il rilievo per cui andava applicato il criterio di cassa e non di competenza giusta sentenza della Corte costituzionale n. 258/92 non è pertinente, posto che la Corte delle leggi ha esaminato altre fattispecie e non quella relativa all’incompatibilità tra prestazioni.

Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 236 del 2003, art. 42, comma 5.

La doglianza è infondata posto che, come già osservato nella sentenza impugnata, le fattispecie previste nella norma richiamata sono differenti da quella in esame dell’incompatibilità, con la conseguenza non esaminata nel ricorso, che in caso di accoglimento di quest’ultimo, si determinerebbe certamente un arricchimento senza causa.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 1236 c.c. e l’omessa motivazione in ordine alla missiva inviata dall’INPS alla D..

Anche tale doglianza appare infondata in quanto richiede una rivalutazione delle risultanze istruttorie non consentite in questa sede; inoltre parte ricorrente non ha dedotto e comprovato di avere tempestivamente fatto valere il contenuto della lettera in questione.

Le spese di lite del grado di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come al dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 10,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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