Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2869 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. III, 06/02/2020, (ud. 02/10/2019, dep. 06/02/2020), n.2869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29652/2017 proposto da:

R.M.C., C.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato MAURO

AMICONI, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO LA SPINA;

– ricorrenti –

contro

R.P., O.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1742/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 7/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza in data

2/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO LA SPINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 94/2012 il Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Paternò “dichia(rò) la risoluzione del contratto di locazione”, stipulato (in forma verbale) tra R.M.C. e C.S. (locatori) e R.P. e O.C. (conduttori), avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS), di tre vani ed accessori, per il canone di Euro 380,00 mensili, condannò i conduttori al rilascio immediato del bene e al pagamento, in favore dei locatori, di Euro 380,00 mensili, a decorrere dall’ottobre 2004 e fino all’effettivo soddisfo, nonchè alle spese del primo grado e a quelle di c.t.u..

Avverso detta sentenza R.P. e O.C. proposero gravame, chiedendo di dichiarare la loro carenza di legittimazione passiva e, quindi, di rigettare la domanda proposta nei loro confronti, e, in ogni caso, di tenere conto dei versamenti effettuati di Euro 180,00 mensili, con decorrenza dall’effettiva data di inizio del rapporto contrattuale e fino alla data del rilascio, avvenuta nel corso dell’anno 2007, ovvero sino alla data di materiale detenzione dell’immobile, da accertarsi nel corso del giudizio, e fatti salvi i versamenti effettuati.

Gli appellati si costituirono chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

La Corte di appello di Catania, con sentenza pubblicata il 7 dicembre 2016, accolse l’appello e, per l’effetto, rigettò la domanda di risoluzione del contratto di locazione sussistente inter partes per inadempimento dei conduttori, ridusse la somma dovuta dagli “appellati” (così indicato nel dispositivo della sentenza impugnata, per evidente lapsus calami, recte appellanti), in solido, in favore dei coniugi R.M.C. e C.S., in Euro 180,00 dal mese di dicembre 2004 al 3 maggio 2013, detratto l’importo di Euro 1.100,00 già versato, compensò interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e pose a carico dei coniugi appellati le spese della c.t.u. espletata in primo grado.

In particolare, la Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, ritenuta provata, in relazione all’appartamento di tre stanze (le trattative tra le parti avevano avuto per oggetto, in alternativa, anche un altro appartamento di due vani, pure dei coniugi C. – R.), la stipulazione del contratto di locazione tra gli appellanti, quali conduttori, e gli appellati, affermò che: a) dagli elementi probatori in atti, risultava l’esistenza di trattative tra le parti che avevano portato alla stipulazione del contratto relativo all’immobile di tre stanze con decorrenza dal mese di dicembre 2004; b) tale contratto, pur se redatto in forma orale, non era nullo, trattandosi di locazione ad uso non abitativo stipulato prima dell’entrata in vigore (gennaio 2005) della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346; c) doveva ritenersi raggiunta la prova di un canone pari ad Euro 180,00, trattandosi di importo non contestato dagli appellanti, tenuto conto che gli appellati non avevano dimostrato l’esistenza di un accordo per un importo maggiore, e che, essendo l’importo del canone lasciato alla libera contrattazione tra le parti, non poteva essere dimostrato a mezzo c.t.u. diretta ad accertare il valore locativo del bene. Pertanto, affermò la Corte di merito, non sussisteva alcun inadempimento dei conduttori, avendo questi dimostrato di voler adempiere al pagamento del canone con vaglia postali, i quali, pur non avendo – ad avviso della Corte di appello – efficacia liberatoria, non essendo stati accettati dal destinatario, valevano ad escludere la mora del debitore ai sensi dell’art. 1220 c.c., sicchè la domanda di risoluzione del contratto doveva essere rigettata. Infine, quanto al pagamento dei canoni, fissato in Euro 180,00 mensili, ritenne la Corte territoriale che, risultando che i locatori avevano rifiutato i vaglia postali, i conduttori erano tenuti a pagare il detto importo dall’inizio del contratto (dicembre 2004) alla data del rilascio (avvenuto il 3 maggio 2013), detratto l’importo di Euro 1.100, ricevuto dai coniugi R. – C., versato come anticipo dei canoni.

Avverso la sentenza della Corte territoriale R.M.C. e C.S. hanno proposto ricorso per cassazione, basato su sei motivi e illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per denunciare l’errata applicazione al contratto di locazione in questione del prezzo di Euro 180,00 indicato dal conduttore”.

Ad avviso dei ricorrenti la Corte di merito avrebbe violato l’art. 115 c.p.c., violando il principio dispositivo delle prove, in quanto essi avrebbero offerto “sia una prova piena… sia una prova presuntiva” di cui avrebbe tenuto conto il Tribunale laddove, nella sentenza di primo grado, aveva ritenuto “presumibile che le parti abbiano poi concordato il canone per Euro 380,00, e cioè quello indicato in citazione”.

Inoltre, secondo i ricorrenti, nella specie la violazione dell’art. 116 c.p.c., si concretizzerebbe nel fatto che il Giudice di appello, nel ritenere non raggiunta la prova della determinazione del canone in Euro 380,00, non avrebbe fatto uso corretto del prudente apprezzamento nel valutare il complesso istruttorio, non avendo tenuto conto della prova presuntiva su cui il Tribunale aveva fondato la sua decisione.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea esclusione del valore probatorio”, i ricorrenti sostengono che la Corte di merito avrebbe, come sintetizzato dai predetti (v. ricorso p. 15), “del tutto omesso una valutazione globale e coordinata del quadro indiziario, in spregio al metodo di valutazione delle prove indirette indicato nell’art. 2727 c.c. e art. 2729 c.p.c., comma 1”, essendosi quella Corte, con la sentenza impugnata, “limitata alla valutazione della sola prova testimoniale del Ci., escludendo tutti gli altri elementi acquisiti nel processo in violazione di quanto disposto dall’art. 115 c.p.c.”.

3. Con il terzo motivo si deduce “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa e apparente motivazione su un fatto probatorio decisivo per le sorti del giudizio in relazione” (così testualmente).

Sostengono i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi “sulla prava raggiunta dagli appellanti” ex artt. 2727 e 2729 c.c., “fatta propria” anche dal Tribunale che, se fosse stata debitamente considerata, avrebbe indotto detta Corte ad accogliere la domanda proposta dai locatori.

4. Segue il quarto motivo, rubricato “Falsa applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione degli artt. 1322,1474 e 1571 c.c., anche in combinato disposto tra essi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Illogicità manifesta e incoerenza della motivazione del capo di sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione dell’art. 3 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. Violazione del principio dell’acquisizione della prova di cui all’art. 116 c.p.c., comma 1, sempre in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”.

Si denuncia l’utilizzo improprio – da parte della Corte di merito del principio di non contestazione laddove la medesima ha affermato che è stata raggiunta la prova, da parte dei locatori, in relazione all’importo di Euro 180,00 quale canone mensile, in quanto non contestato da controparte; ad avviso dei ricorrenti tale principio può essere utilizzato solo nel caso in cui “un fatto allegato da una parte venga, così per come indicato, non contestato da controparte”; al più la non contestazione avrebbe – sempre secondo i ricorrenti – potuto essere richiamata ai fini del riconoscimento del debito, nel senso che i convenuti erano tenuti a corrispondere quanto meno le somme che essi ritenevano dovute, ma non per affermare che si era raggiunta la prova che il canone fosse di Euro 180,00 mensili.

Peraltro, la decisione viene censurata anche sotto il profilo della violazione degli artt. 1322,1474 e 1571 c.c., sostenendo i ricorrenti che: se effettivamente il canone fosse quello indicato dalla Corte di merito, il contratto sarebbe inficiato da nullità, stante lo squilibrio economico tra il valore dell’immobile concesso in locazione e il presunto canone; i proprietari, poi, non avrebbero mai locato l’immobile per un tale canone, fuori mercato, non remunerativo e irrisorio, evidenziando che il valore locativo mensile del bene accertato dal C.T.U. era pari ad Euro 355,00; inoltre, condannare i conduttori al pagamento di un canone mensile di Euro 180,00, pari quasi alla metà del valore locatizio, comporterebbe “la violazione del principio del sinallagma contrattuale”.

Infine, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 3 Cost., in quanto “vi sarebbe una disparità di trattamento per l’ipotesi di determinazione del valore risarcitorio afferente ad una occupazione sine titulo rispetto alla determinazione del canone non pattuito, recttlis non provato dalle parti” potendosi, nel primo caso, far ricorso ad una c.t.u. per accertare il valore locatizio di mercato dell’immobile mentre, nel secondo caso, si perverrebbe “ad un valore dell’immobile che non tiene conto del valore di mercato, in assenza di prova fornita dalle parti”.

I ricorrenti concludono chiedendo che, qualora sia disattesa la prova presuntiva, il canone di locazione sia determinato facendo ricorso all’applicazione analogica dell’art. 1474 c.c., che disciplina il caso di mancata determinazione espressa del prezzo nella compravendita.

5. Con il quinto motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 1175; 1182; 1220; 1277; 1455 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5”.

Sostengono i ricorrenti che la fondatezza dei motivi che precedono dovrebbe determinare la caducazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha statuito l’insussistenza dell’inadempimento da parte dei conduttori; lamentano la violazione, da parte di quella Corte, delle norme richiamate nella rubrica del motivo in parola nonchè l’omessa valutazione, da parte della medesima Corte, “della circostanza circa il presunto pagamento effettuato con i vaglia postali dai conduttori riferito al periodo 20052006 e indi (la) confessione del mancato pagamento per il periodo successivo sino alla data del rilascio dell’immobile (21.5.2013)”.

6. Con il sesto motivo si censura anche il capo della sentenza attinente alle spese di giudizio, sostenendosi che la fondatezza del ricorso per cassazione determinerà, ad avviso dei ricorrenti, anche la revisione del capo della sentenza impugnata attinente alle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e a quelle di c.t.u..

7. Seguendo l’ordine logico, vanno per primi congiuntamente esaminati il secondo ed il terzo motivo.

7.1. Tali mezzi risultano fondati per quanto di ragione.

7.2. Va osservato anzitutto che non sussiste difetto di specificità dei predetti motivi alla luce di quanto indicato in ricorso nell’illustrazione degli stessi nonchè a p. 6 e 7 del richiamato atto, e che, come già precisato da questa Corte (Cass. ord., 6/07/2018, n. 17720), in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., la denunciata mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, ove il giudice di merito non abbia motivato alcunchè al riguardo (e non si verta nella diversa ipotesi in cui la medesima denuncia sia stata oggetto di un motivo di appello contro la sentenza di primo grado, nel qual caso il silenzio del giudice può essere dedotto come omissione di pronuncia su motivo di appello), non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi e nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioè come omesso esame di un fatto secondario (dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale), purchè decisivo.

7.3. Effettivamente va poi rilevato che la Corte di merito, come denunciato dai ricorrenti, ha sostanzialmente omesso una valutazione globale e coordinata del quadro indiziario, in quanto, pur menzionando tali indizi (v. p. 8. della sentenza) ha finito per tener conto della sola testimonianza del Ci. senza saggiarne complessivamente la consistenza alla luce del necessario coordinamento con gli altri elementi del complesso probatorio (v. Cass. 19/12/2017, n. 30529, in relazione al reso interrogatorio formale della R.) nè potendosi escludere valore indiziario alle risultanze della disposta c.t.u. in tema di valore locativo dell’immobile locato per uso diverso dalla locazione, pur valendo al riguardo le regole della libera contrattazione.

Trattasi, all’evidenza, di omesso esame di fatti secondari (dedotti come giustificativi dell’inferenza di un fatto ignoto principale) decisivi (Cass., ord., n. 17720/2018 già citata) e di omessa valutazione globale degli stessi.

Così operando, la Corte di merito risulta non essersi attenuta ai principi già affermati da questa Corte, e che vanno in questa sede ribaditi, secondo cui “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Cass., ord., 12/04/2018, n. 9059; v. anche Cass., ord., 16/07/2018 n. 18822, secondo cui “E’ censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziarla, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva”).

8. All’accoglimento, per quanto di ragione, dei motivi secondo e terzo consegue l’assorbimento dei restanti motivi.

9. In conclusione, il ricorso va accolto per quanto di ragione nei termini sopra precisati; la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.

Stante l’accoglimento, sia pure per quanto di ragione, del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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