Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28688 del 18/10/2021

Cassazione civile sez. I, 18/10/2021, (ud. 03/06/2021, dep. 18/10/2021), n.28688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12280/2019 proposto da:

A.U., elettivamente domiciliato presso l’avv. Francesco

Bonatesta, dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, in via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

04/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/06/2021 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il Tribunale di Bologna, con decreto emesso il 4.3.19, ha rigettato il ricorso proposto da A.U., cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento della Commissione territoriale che aveva respinto l’istanza di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, osservando che: era da escludere la protezione internazionale poiché le dichiarazioni del ricorrente non erano credibili, in quanto generiche e poco circostanziate, e non coerenti su aspetti rilevanti della vicenda narrata; era da escludere anche la protezione sussidiaria in quanto dalle fonti esaminate non si desumeva la sussistenza nella regione di provenienza del ricorrente di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; non ricorrevano i presupposti della protezione umanitaria non essendo a tal fine sufficiente l’attività lavorativa svolta per pochi mesi e l’iscrizione ad un corso di formazione professionale, tenuto altresì che in Pakistan, ove si trova la sua famiglia, il ricorrente lavorava.

A.U. ricorre in cassazione con due motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 24 del 2014, art. 4,D.P.C.M. n. 234 del 2016, art. 2,D.P.R. n. 445 del 2000, art. 33, comma 4, non avendo il Tribunale, ai fini dell’adozione delle misure di protezione relative ai minori stranieri, accertato l’età del ricorrente in quanto il certificato di nascita rilasciato dal consolato del Pakistan – “legalizzato” dalla Prefettura di Ravenna – costituiva prova legale della qualità di minore non accompagnato in capo all’istante.

Il secondo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver il Tribunale riconosciuto la protezione umanitaria, alla luce della minore età del ricorrente e della sua iscrizione al corso biennale di formazione professionale.

I due motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili.

Preliminarmente, va osservato che in ordine alla situazione dei minori che fanno ingresso in Italia, ai fini della protezione internazionale, si registrano vari orientamenti di questa Corte. Secondo un primo indirizzo, in tema di protezione umanitaria, il giudice, ai fini dell’accoglimento della domanda, deve valutare la minore età del richiedente al momento del suo ingresso in Italia, trattandosi di condizione personale di particolare vulnerabilità la quale, al pari di altre (come lo stato di gravidanza, l’età avanzata, la disabilità, etc.), determina, pur in mancanza di un concreto rischio per la vita, l’integrità fisica o la libertà individuale, il pericolo, in caso di rimpatrio, di una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali inviolabili del richiedente (Ord. n. 17185 del 14/08/2020; v. anche SU, n. 29459/19).

Secondo altro orientamento, il diritto del minore straniero non accompagnato alla più incisiva protezione internazionale non può proiettarsi oltre il compimento della maggiore età, al raggiungimento della quale viene meno il bisogno di una più intensa protezione. Ne consegue, per tale opinione, sul piano processuale, che se da un canto è sufficiente che la minore età, quale condizione (cd. “possibilità giuridica”) dell’azione, sussista al momento della decisione, è necessario, d’altro canto, che essa persista sino al momento della stessa (Cass., n. 17115/2020).

E’ stato altresì affermato che, in tema di protezione umanitaria, il giudice, ai fini dell’individuazione di eventuali situazioni di vulnerabilità, nell’accertare il livello d’integrazione raggiunto in Italia dal richiedente, comparato con la situazione in cui versava prima dell’abbandono del paese di origine, deve valutarne la minore età, in considerazione della particolare tutela di cui gode nel nostro ordinamento il migrante minorenne, in specie ove sia non accompagnato, trattandosi di condizione di “vulnerabilità estrema”, prevalente rispetto alla qualità di straniero illegalmente soggiornante nel territorio dello Stato, avuto riguardo all’assenza di familiari maggiorenni in grado di prendersene cura ed al conseguente obbligo dello Stato di adottare tutte le misure necessarie per non incorrere nella violazione dell’art. 3 Cedu (Cass., n. 11743/2020; n. 13079/19). Premesso ciò, va rilevato che la doglianza afferente al mancato esame della condizione di minore del ricorrente e all’erronea valutazione dei documenti prodotti da quest’ultimo per dimostrare la minore età al momento dell’ingresso in Italia, è inammissibile poiché tende al riesame del merito dei fatti.

Infatti, al riguardo, la motivazione del Tribunale è esauriente: inizialmente, a seguito dell’arrivo del ricorrente in Italia (aprile 2017) egli fu preso in carica dai servizi sociali di (OMISSIS) i quali, sia per la scarsa collaborazione del ricorrente sulle modalità di arrivo in Italia e sulla possibilità di produrre un documento di riconoscimento, che per i tratti fisici (che inducevano dubbi sulla minore età), trasmisero gli atti al giudice tutelare il quale dispose esami pediatrici e radiologici dai quali si evinceva una maggiore età. Successivamente alle dimissioni dell’istante dalla struttura in cui era stato collocato quale minore non accompagnato, lo stesso aveva prodotto un certificato di nascita autenticato attestante la sua minore età, per cui fu di nuovo disposta una procedura di tutela di cui non si è saputo l’esito poiché nel frattempo il ricorrente sarebbe divenuto maggiorenne (in data 27.12.2018).

Pertanto, sulla base dei suddetti elementi, il Tribunale ha ritenuto non attendibile il documento prodotto, evidenziando ulteriori profili dubbiosi sull’effettiva età dell’istante, in quanto quest’ultimo aveva dichiarato di aver abbandonato la scuola, mentre il certificato prodotto attesta che il ricorrente si era diplomato e che era stato un bravo studente.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00 di cui 100,00 per esborsi, e delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021

 

 

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