Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28686 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 09/11/2018), n.28686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28319/2012 R.G. proposto da:

M.A., M.N., M.M., Me.Mo.,

M.S.;

– ricorrenti –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 95/6/12, depositata il 19 luglio 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 ottobre 2018

dal Consigliere Dott. Valeria Piccone;

udito il Pubblico Ministero, in persona di Dott. Sanlorenzo Rita, che

ha concluso chiedendo accoglimento del ricorso incidentale e rigetto

del ricorso principale;

udito l’avv. Luca Ciasullo per la parte ricorrente;

udito l’avv. Bruno Dettori per la controricorrente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. M.A., M.N., M.M., Me.Mo., M.S., propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 19 luglio 2012, che ha parzialmente accolto l’appello da loro proposto avverso la sentenza di rigetto del ricorso avanzato nei confronti dell’avviso di accertamento mediante il quale l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato, per l’anno 2004, una maggiore imposta Ires per Euro 197.350,00, una maggiore imposta Irap per Euro 25.736,00 ed una maggiore imposta IVA per Euro 51.588,00,

irrogando sanzioni per Euro 296.047,50; il parziale accoglimento concerneva i costi sostenuti nel 2004 per Euro 103.291,00 e la distribuzione degli utili extracontabili ai soci.

1.1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.

2.Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate e spiega, altresì, ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità assoluta dell’atto di accertamento adottato nei confronti della società ” M. Fratelli s.r.l. in liquidazione”, dopo la sua cessazione e cancellazione dal registro delle imprese.

1.1. Con il secondo motivo deducono la nullità degli atti di accertamento adottati nei confronti dei soci per difetto di motivazione alla luce della mancata allegazione dell’avviso emesso nei confronti della società ed ivi richiamato.

2. Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di annullamento degli avvisi impugnati dai soci, mentre con il quarto si censura la pronunzia impugnata sempre per omessa pronunzia con riguardo all’art. 91 c.p.c..

3. Il primo motivo è inammissibile.

Premesso che, per costante giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13126 del 24 giugno 2016) nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio, aspetto rilevante, in questa sede, è la circostanza che, pur cessata e cancellata la società, sia stata ritualmente effettuata la notifica ai soci, regolare e non contestata.

4. Anche il secondo motivo con cui si deduce la nullità degli atti di accertamento adottati nei confronti dei soci per difetto di motivazione alla luce della mancata allegazione dell’avviso emesso nei confronti della società è inammissibile, non solo in quanto per la prima volta fatto valere in sede di legittimità ma anche per difetto di autosufficienza atteso che la parte avrebbe dovuto allegare l’avviso ricevuto (per dimostrare la configurabilità di una motivazione per relationem) mentre si è limitata ad allegare proprio l’avviso ricevuto dalla medesima società senza allegare il necessario strumento probatorio (cfr., sul punto, fra le altre, Cass. n. 9323 dell’il. aprile 2017).

5. In ordine alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. e, cioè, all’omessa pronunzia sulla domanda di annullamento degli avvisi impugnati dai soci, va rilevato che non di omessa pronunzia si è trattato, bensì di pronunzia implicita e che rispetto a tale domanda sussiste totale carenza di interesse della parte ricorrente.

Invero, quest’ultima denunzia che, pur avendo la Commissione accolto parzialmente l’appello, dichiarando infondata la pretesa tributaria nei confronti dei ricorrenti, già soci della società M. Fratelli s.r.l. in liquidazione, nondimeno, il giudice d’appello non avrebbe provveduto a disporre l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati da tali contribuenti. Evidente l’inammissibilità della domanda, atteso che di pronunzia omessa non si è affatto trattato, avendo il giudice proceduto a dichiarare infondata la pretesa tributaria nei confronti dei ricorrenti e ad esplicitarne le ragioni in giudizio non occorrendo, quindi, la pronunzia di annullamento degli avvisi, rispetto alla quale sussiste una carenza di interesse dei contribuenti.

5. Del pari infondata la denunziata omessa pronunzia in tema di spese.

La parte, al riguardo, testualmente afferma che il giudice d’appello, nel momento in cui ha rigettato la pretesa tributaria, avrebbe dovuto fare applicazione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannando l’ufficio al pagamento delle spese processuali.

In realtà, la pronunzia vi è stata, avendo la CTR proceduto alla compensazione delle spese, talché, eventualmente, avrebbe potuto essere dedotta una violazione di legge insistendosi per un diverso governo delle spese, ma non certo l’omessa pronunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

6. Per quanto concerne il ricorso incidentale, va rilevato che, con il primo motivo, si deduce violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 112 e 346 c.p.c., e del D.L. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56.

Il motivo è fondato e, pertanto, deve essere accolto.

Premesso che il riferimento all’art. 2909 c.c. induce a reputare configurabile in termini di violazione di legge la censura prospettata, nonostante l’erroneo richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 4 va rilevato che effettivamente risulta verificatosi un giudicato interno nella cui violazione è incorsa la Commissione Tributaria.

Rilevato, infatti, che le conclusioni degli appellanti vertevano sulla nullità degli avvisi di accertamento in rito (con riguardo al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55) e nel merito (per violazione della L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 4, lett. F e comma 5, nonché art. 2697 c.c.) l’accoglimento dell’appello “relativamente ai costi sostenuti nel 2004, per Euro 103.291,00” e la connessa motivazione che ha ritenuto “fondate le eccezioni sollevate dalla ricorrente per il recupero di Euro 103.291,00) ha dato origine ad una violazione del giudicato interno, essendosi la CTR pronunziata su un motivo di appello in realtà mai formulato dai contribuenti omettendo di considerare, quindi, l’esistenza di statuizioni non impugnate – e pertanto passate in giudicato – ed esorbitando dall’ambito del quantum devolutum.

Il capo della sentenza con cui la CTP aveva rigettato le doglianze relative ai ricavi, aspetto ritenuto in primo grado sfornito di prova, non ha formato oggetto di impugnazione in sede di appello (rinvenendosi solo un generico riferimento alla “violazione delle regole sulla competenza”), talché la relativa questione deve ritenersi passata in giudicato.

6.1. Il secondo motivo con cui si deduce, in via subordinata, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 deve reputarsi assorbito.

7. Il terzo e il quarto motivo con cui si deducono, rispettivamente, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, nonché degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., e l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, possono essere valutati contestualmente per l’intima connessione e sono fondati.

La Commissione Tributaria, infatti, affermando che, affinché i redditi extrabilancio possano essere legittimamente tassati in capo ai soci la presunzione deve poggiare su una reale molteplicità di elementi gravi, precisi e concordanti, così come richiesto dall’art. 2729 cod. civ., non ha fatto buon governo del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, (Sez. 6, n. 18042 del 9 luglio 2018), secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di provare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché di dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria; (ex plurimis, Cass. n. 27778 del 2017, Cass. n. 5076 del 2011, n. 9519 del 2009 e n. 7564 del 2003;  Cass. n. 6780 del 2003; Cass. n. 7564 del 2003; Cass. n. 16885 del 2003; Cass. n.18640 del 2008; Cass. n.8954 del 2013).

Tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio può essere vinta dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr. Cass. n. 1932 del 2016, Cass. n. 17461 del 2017, Cass. n. 26873 del 2016) attraverso un ragionamento deduttivo del giudice di merito incensurabile in cassazione sotto il profilo della violazione di legge.

Nel caso di specie, quindi, la C.T.R., ritenendo insufficiente detta presunzione e postulando la necessità di ulteriori convergenti elementi di prova a carico dell’Amministrazione, non si è evidentemente conformata a tale principio, il quale al contrario è chiaro nel senso che a fondare l’accertamento può essere anche da sola sufficiente la detta presunzione, salvo prova contraria a carico del contribuente.

8. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso principale va respinto; vanno accolti il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, e la causa va cassata e rinviata, in relazione ai motivi accolti, alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso principale. Accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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