Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28683 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 19/04/2018, dep. 09/11/2018), n.28683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO R. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13529/2011 R.G. proposto da:

società LIBORIO S.a.s. di P.T. rappresentata e difesa

dall’avv. Leopoldo Dè Medici presso il quale in Roma, via Archimede

n. 97 è elettivamente domiciliata giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 359/14/10 depositata il 3/06/2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

19/4/2018 dal consigliere Roberto Succio;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Molino Pietro, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale del Lazio in accoglimento del gravame del Fisco confermava l’avviso di rettifica impugnato;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione la società contribuente con ricorso affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

– con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia violazione o falsa applicazione del D.L. n. 429 del 1982, art. 12 e dell’art. 11 preleggi, oltre che dell’art. 25 Cost., censura da ricondursi a correlata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 in quanto il secondo giudice avrebbe erroneamente non tenuto conto della sentenza penale emessa dal Tribunale di Roma in danno del sig. T.P., legale rappresentante della soc. Liborio ricorrente, con la quale lo stesso è stato assolto dall’imputazione mossagli sulla base degli stessi fatti posti a base dell’avviso di rettifica impugnato nel presente giudizio;

– con il secondo motivo si contesta la sentenza di seconde cure per omessa e contraddittoria motivazione circa la correttezza degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza alla luce della documentazione prodotta.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso è infondato;

– in diritto, rileva questa Corte come per costante giurisprudenza si sia da tempo stabilito come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3724 del 17/02/2010) ai sensi dell’art. 654 c.p.p., il D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), sia stato implicitamente abrogato all’epoca, e poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25;

– in forza di ciò l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare;

– venendo al caso che ci occupa, la commissione regionale ha correttamente ritenuto che, come stabilito ancora recentemente da questa Corte (Cass. Ord. n. 28174 del 24/11/2017) in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio;

– tal operazione, sia pur con motivazione essenziale, eppure corretta e comprensibile, risulta effettivamente svolta dal secondo giudice;

– il secondo motivo è in parte inammissibile e comunque infondato;

– esso è infatti privo di autosufficienza, non risultando completamente trascritta la parte della sentenza sottoposta a censura, nè le parti dei documenti prodotti in atti dei quali il secondo giudice avrebbe omesso l’esame; di tali documenti invero non viene indicato in ricorso la fase e la sede della loro rituale produzione nel fascicolo della parte (ciò vale sia per la documentazione che dovrebbe provare le quantità di prodotti assunti erroneamente dai verificatori per il calcolo dei corrispettivi, sia per la documentazione che dovrebbe provare l’errore nella rilevazione dei prodotti impiegati nelle prestazioni, sia per la documentazione relativa alla difformità tra prezzi suggeriti dalle associazioni di categoria e prezzi praticati, sia per gli altri profili di fatto sui quali l’atto impugnato si è fondato, vale a dire il calcolo delle prestazioni accertate e il numero delle persone alle dipendenze del contribuente, sia per i documenti relativi al processo penale subito dal ricorrente); in tal senso Cass. Sentenza n. 4980 del 04/03/2014; Cass. Sentenza n. 18506 del 25/08/2006);

inoltre, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di sostanziale certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento, con la conseguenza che la denunzia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa; dall’esame delle deduzioni del ricorrente non emerge alcun elemento che consenta di ritenere sussistente tale decisività (Cass. 25756/2014);

parte ricorrente infatti a fronte del complesso indiziario emerso dalla verifica tributaria ed esaminato e valutato dalla CTR, omette del tutto di specificare espressamente il carattere “decisivo” del fatto oggetto di prova, richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che dovrebbe essere riconosciuto ai documenti in parola. Il mancato esplicito richiamo dagli elementi probatori cui fa cenno il contribuente, non risulta tale da inficiare la valutazione del complessivo materiale probatorio, compiuta dai Giudici territoriali, laddove si osservi che per omessa considerazione di un “fatto decisivo e controverso” in relazione al quale la motivazione si ritiene carente e pertanto inficiata dal vizio di legittimità, deve intendersi, non una questione o un qualsiasi punto della motivazione della sentenza, ma un “fatto principale”, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un “fatto secondario” (cioè un fatto dedotto in funzione di prova determinante di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass. Sez, 3, Sentenza n. 22979 del 7/12/2004; id. Sez, 5, Ordinanza n. 2805 del 5/2/2011; id. Sez, 5, Sentenza n. 13457 del 27/7/2012; id. Sez, L, Sentenza n. 3668 del 14/2/2013), tale cioè che se fosse stato considerato od esattamente rilevato dal Giudice di merito avrebbe determinato sostanzialmente con certezza o con un grado assai elevato di probabilità una diversa decisione, favorevole alla parte ricorrente (Cass. Sez, 2, Sentenza n. 7852 del 11/06/2001; id. Sez., 1, Sentenza n. 4405 del 28/02/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 18368 del 31/07/2013);

– pertanto, non contenendo la denunzia in sede di legittimità, dell’omesso esame del documento, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa, il motivo deve essere dichiarato – anche per questa ragione – inammissibile e comunque infondato;

– infine, nella sua articolazione, il motivo sostanzialmente ripropone eccezioni di merito, il cui riesame non è ammesso in questa sede.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 7.290,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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