Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28682 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 09/11/2018), n.28682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4852/2012 proposto da:

PAVI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA SILLA 28, presso lo studio

dell’avvocato CARMINE COSENTINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANGELO VERGA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI GALLARATE;

– intimata –

sul ricorso 4956/2012 proposto da:

A.V.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SILLA

28, presso lo studio dell’avvocato CARMINE COSENTINO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANGELO VERGA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA;

– intimata –

e contro

MINISTERO DELLE FINANZE AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI GALLARATE,

in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso le sentenze n. 188/2010 e n. 189/2010 della COMM. TRIB. REG.

di MILANO, depositate il 09/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/10/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per la riunione e l’accoglimento

per quanto di ragione dei ricorsi;

udito per il ricorrente l’Avvocato VERGA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate notificava alla società PA.VI. s.r.l. in qualità di acquirente e a A.V. in qualità di venditore avviso di rettifica e liquidazione con cui, con riferimento all’atto di compravendita di terreno edificabile sito in (OMISSIS) del 21.6.2005 rettificava, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, il valore dichiarato elevandolo da Euro 180.000,00 a Euro 1.177.500,00 oltre a liquidare maggiori imposte di registro, ipotecarie, catastali e relativi interessi nonchè irrogare sanzione amministrativa pecuniaria.

La società contribuente e il venditore impugnavano l’avviso e i ricorsiprevia riunione, venivano rigettati dalla CTP di Varese.

Proposti separati appelli alla stessa sentenza da parte dei contribuenti la CTR della Lombardia, con sentenze n. 188/34/10 e n. 189/34/10 depositate il 9.12.2010, li rigettava sul presupposto che l’ufficio avesse operato correttamente ritenendo l’esistenza di un fabbricato in via di costruzione alla data dell’atto.

PA.VI. s.r.l. e A.V., con distinti ricorsi impugnano le sentenze per cassazione affidando il gravame a sei motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi n. 4852/12 e n. 4956/12.

Nel giudizio di primo grado i ricorsi del venditore e dell’acquirente erano stati riuniti.

In sede di appello sono state emesse due distinte sentenze e i ricorsi per cassazione sono stati separatamente proposti contro le due pronunce. Sebbene i provvedimenti impugnati siano distinti, le due sentenze, integrandosi reciprocamente, definiscono inscindibilmente un unico giudizio e, pertanto, in sede di legittimità, possono essere oggetto di esame contestuale e di un’unica decisione.

1. Con il primo motivo entrambi i contribuenti deducono difetto di giurisdizione perchè la CTR avrebbe compiuto un sindacato di merito in un caso in cui era consentito il mero controllo di legittimità degli atti amministrativi. Errata e insufficiente motivazione.

In particolare lamentano che la CTR avrebbe operato una valutazione di merito del contenuto del provvedimento emesso dal Comune di Marnate sulla domanda del privato volta all’ottenimento di una proroga del permesso di costruire, materia riservata al giudice amministrativo.

La censura non è fondata.

1.1. Di recente le Sezioni Unite di Questa Corte hanno affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, è configurabile solo quando l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si sostituisce a quella dell’amministrazione, nel senso che, procedendo ad un sindacato di merito, si estrinsechi in una pronunzia autoesecutiva, intendendosi per tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (Cass. SU 2720/2018).

Nella specie la CTR, la quale non era chiamata a valutare la legittimità di un provvedimento amministrativo, ma a verificare se dei lavori di costruzione fossero iniziati o meno, si è limitata a leggere il contenuto di un provvedimento di rigetto della richiesta di proroga di un anno di un permesso a costruire per ultimazione dei lavori, nella quale si dà atto con assoluta certezza che erano state realizzate opere di scavo/sbancamento e ne ha tratto la conseguenza, per vero, del tutto logica ed adeguatamente motivata, ai fini della legittimità dell’atto impositivo, che i lavori di costruzione fossero in fase di realizzazione.

2. Con il secondo motivo entrambi i ricorrenti lamentano la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione ed erroneo assoggettamento ad imposizione di un fabbricato che non esisteva su suolo all’epoca della vendita. Lamentano in particolare che la CTR avrebbe ritenuto corretto un accertamento che fondava la congruità del valore accertato sul presupposto errato dell’esistenza di un fabbricato già all’atto della vendita.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 24 Cost., D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, introdotto dal D.Lgs. n. 320 del 2001, art. 5 bis, oltre ad omessa e insufficiente motivazione sulla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento. Lamentano in particolare che quanto riportato nell’atto di liquidazione non integrerebbe gli estremi nemmeno di una motivazione apparente.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono violazione dell’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7. Difetto di motivazione sul punto dell’onere probatorio incombente sull’amministrazione finanziaria. Nullità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso relativo alla illegittimità dell’azione impositiva per illegittima, errata e comunque infondata determinazione del presupposto di fatto e del criterio di stima del bene. Lamentano in particolare che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che oggetto della cessione fosse non una semplice area fabbricabile, ma un’area con sovrastante fabbricato plurimo in via di edificazione e, quindi, legittimo un criterio di stima erroneo.

Le censure possono essere trattate congiuntamente in quanto strettamente connesse.

Esse non sono fondate.

4.1. Va qui richiamato il principio secondo cui la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, e di consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa; pertanto, fermo restando l’onere della prova gravante sull’Amministrazione, è sufficiente l’enunciazione dei criteri astratti in base ai quali è stato determinato il maggior valore, ma non anche degli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, presa conoscenza del criterio di valutazione adottato, è in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale (da ultimo, Cass. n. 3197/2018; Cass. n. 22148/2017; Cass. n. 11560/2016).

Nella specie la CTR ha osservato che l’avviso conteneva “l’esatta indicazione delle parti contraenti, l’esatta identificazione dei beni oggetto della compravendita, l’esatta consistenza dei beni, identica a quella determinata in atto dalle parti, il criterio di valutazione adottato dall’Ufficio stesso, con richiesta di stima all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Busto Arsizio, competente per territorio, integralmente allegata all’avviso notificato, il calcolo adottato dall’Ufficio per la determinazione del valore, il maggior valore accertato e la conseguente liquidazione dell’imposta e delle sanzioni”. Il Giudice di appello ha ritenuto, correttamente, che tali elementi non possono essere reputati meri riferimenti formali ma più che idonei a soddisfare il requisito della motivazione dell’avviso.

4.2. Con riferimento all’esistenza sui mappati di un fabbricato in corso di costruzione, la CTR ha motivato sul punto, osservando che nello stesso atto di compravendita l’oggetto del contratto era stato individuato dalle parti come “appezzamento di terreno con insistente fabbricato pluripiano in via di edificazione in forza di concessione edilizia”, mentre ha ritenuto che la corrispondenza intercorso con il Comune di Marnate avente ad oggetto la “richiesta di proroga di un anno per la ultimazione dei lavori”, non avesse un significato univoco e che, trattandosi della proroga per la ultimazione dei lavori di un solo anno, insufficiente per l’integrale costruzione dell’immobile, fosse un ulteriore elemento dal quale desumere che, per ammissione della stessa parte, i lavori fossero già iniziati e che dovessero essere solo ultimati.

4.3. Quanto alla valutazione la CTR ha osservato che presupposto dell’avviso di rettifica non era l’esistenza di un fabbricato completo alla data dell’atto, ma di un fabbricato in via di costruzione; l’ufficio aveva applicato un deprezzamento del 45% sul valore OMI posto a base della rettifica valorizzando l’area edificabile più che la parte edificata, proprio in considerazione del fatto che il fabbricato era in via di costruzione.

La CTR ha dunque accertato che l’ufficio non aveva usato il valore OMI come parametro legale ma quale dato di partenza, osservando che anche la perizia di parte si basava su un metodo di stima di comparazione, disattendendo, per altro verso, la valenza probatoria degli elementi estimativi forniti dalla contribuente con la perizia di parte, elementi che non possono assurgere a prova dell’inattendibilità delle quotazioni dell’O.M.I..

Ne discende che il ricorrente, lamentando violazione di legge, non può chiedere alla Corte l’espressione di un giudizio sostitutivo che rinnovi il potere di governo del materiale probatorio, attività questa riservata al giudice di merito e perciò in sede di legittimità non consentita.

E’ vero, infatti, che il giudicante non ha fatto mostra di ignorare gli elementi di segno contrario che il contribuente ha addotto per confutare il convincimento giudiziale raggiunto in prime cure, ma dando maggiore rilevanza ad altri elementi, ne ha ridotto la significatività ai fini della soluzione della lite, senza che ciò possa costituire ragione di violazione delle norme vanamente invocate in ricorso.

4.4.Le censure motivazionali non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).

Di conseguenza, il preteso vizio di motivazione “può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione” (ex multis, Cass. n. 8718/2005). Inoltre, l’omissione o insufficienza della motivazione resta integrata solo a fronte di una totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero di una palese illogicità del tessuto argomentativo, ma non anche per eventuali divergenze valutative sul significato attribuito dal giudice agli elementi delibati, non essendo il giudizio per cassazione un terzo grado di merito (Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 12779/2015 e n. 12799/2014).

5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano nullità/illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di pronunciare sul difetto di prova da parte dell’ufficio, per violazione dell’art. 112 c.p.c.; Lamentano in particolare la omessa pronuncia sulla nullità/illegittimità dell’avviso di rettifica e liquidazione perchè recante una pretesa fiscale indimostrata e comunque priva di fondamento.

La censura non è fondata.

5.1. L’omessa pronuncia denunciabile come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art 112 c.p.c..

Sul punto questa Corte ha già avuto occasione di rimarcare che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311). In particolare, si è precisato (Cass. 14 marzo 2006, n. 5444) che la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si coglie nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), là dove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti principali della controversia.

6. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono illegittimità del provvedimento dedotto in giudizio nella parte in cui reca l’irrogazione delle sanzioni e per omessa motivazione ed esistenza di cause di non punibilità.

La censura non è fondata.

6.1. La CTR ha correttamente evidenziato che il calcolo dell’imposta operato dall’ufficio accertatore, nonchè la determinazione della misura delle sanzioni e degli interessi, non sono esercizio di attività discrezionale dell’ufficio, ma attività di determinazione che risponde a quanto specificamente disposto dalla legge e richiamato nello stesso avviso di rettifica. La CTR ha accertato che non si era verificata alcuna violazione del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 16, comma 2 e che i criteri per la determinazione delle sanzioni erano stati indicati alla pag. 5 dell’avviso di rettifica in calce alla tabella riassuntiva.

6.2. Quanto alla causa di non punibilità, osserva il Collegio che, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorchè non necessariamente doloso. E’, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, ponendogli l’onere di provare il contrario (Cass. 22890/2006; conf. 13068/2011, cfr. 4171/09, sulla non necessità di un intento fraudolento). L’esimente della buona fede, rileva, invece, solo se l’errore sia inevitabile, occorrendo che l’ignoranza dei presupposti dell’illecito sia incolpevole, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. 10607/03, in tema d’importazione di valuta). La prova liberatoria avrebbe, dunque, dovuto essere fornita da parte contribuente. La CTR ha evidenziato che l’affermazione dei ricorrenti di avere incolpevolmente ritenuto che le aree dovessero considerarsi fabbricabili e non aree con annesso fabbricato non era attendibile in quanto a farla erano gli stessi soggetti che, alla data della compravendita, avevano convenuto di acquistare e vendere due appezzamenti di terreno “con insistente fabbricato”.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi n. 4852/12 e 4956/12 e li rigetta.

Condanna i contribuenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.800,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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